Percorsi per l'internazionalizzazione del sistema Umbria

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Roberto Nardi

Presidente Camera di Commercio di Livorno

La competizione tra Paesi e territori è inasprita dalla crisi. Cosa comporta questa situazione per le esportazioni? Le imprese come possono migliorare il loro posizionamento sui mercati esteri?


Chi esporta? Per quanto riguarda i volumi senz’altro per le imprese grandi, grandissime. Poi le imprese medie, di dimensione tra i 250-500 dipendenti che sono i veri campioni nazionali da questo punto di vista, in termini di organizzazione. Sono 210.000 le imprese italiane che abitualmente esportano. Altre 70.000 lo potrebbero fare, o comunque saltuariamente lo fanno. Ma c’è una quantità consistente di imprese medio-piccole che non hanno un’organizzazione tale per concentrarsi in maniera stabile sui mercati internazionali e che hanno difficoltà soprattutto a riuscire ad aprire delle filiali.
Tra l’impresa e il mercato, serve quindi un’organizzazione che dia stabilità, che sia in grado di curare i rapporti dopo la missione, ma soprattutto di consolidarli, di validarli, di renderli credibili e prolungarli nel tempo. E soprattutto che sappia dare al cliente finale ma anche al piccolo imprenditore una serie di indicazioni che solo chi sta su quel mercato può capire. Chi conosce le dinamiche economiche di un territorio ma ha anche  l’esperienza di quello che in Italia si produce e di come si produce, può anche, in qualche modo, assicurare al cliente finale quello che effettivamente si aspetta. Da questo punto di vista l'Italia deve recuperare un deficit di comprensione: per troppo tempo  ci siamo concentrati solo ed esclusivamente sul prodotto, pensando che ce lo compravano comunque.


Bisogna recuperare il terreno perduto.

La strada complicata della riorganizzazione dell’export italiano va percorsa con coerenza. Puntando alla creazione di centri stabili, evitando concentrazioni eccessive in alcune aree e assolute carenze di servizi e di supporto alle imprese in altre zone.
Tanto per capirci, in Germania non possiamo avere venticinque uffici, che si chiamano in tutti i modi voi li potete chiamare e poi invece accusare colpi in un paese grande come la Cina, ma anche in un paese molto importante come gli Stati Uniti, che pure conosciamo bene. Oppure essere, di fatto, completamente scoperti in molti paesi africani. Tutto il Medio Oriente, ad esempio, è servito da un ufficio ICE che ha sede ad Amman e deve occuparsi anche di parte della Turchia, di parte del vicino Oriente, di parte dell’Iraq e anche dell'Iran. E' evidente che quell'ufficio non può efficacemente sostenere il suo compito. Quindi si deve essere presenti, prima di tutto, là dove il mercato si sviluppa e dove abbiamo possibilità di portare i nostri prodotti.
Chiudo dicendo una cosa: non è che l’esportazione risolve tutto il problema della manifattura italiana. Non dobbiamo pensare che siccome le esportazioni crescono il problema della manifattura è legato solo a un problema temporaneo di consumi interni. In realtà, il problema della politica industriale italiana, negli ultimi trenta anni, non è stato mai affrontato.
Le imprese hanno cercato di risolverlo a modo loro con i mezzi che avevano, pochi per quanto riguarda le piccole e piccolissime imprese. Attenzione, questo problema è sottovalutato ma non è ulteriormente rimandabile. Si risolve in parte con l’export ma soprattutto con azioni dirette. Ora il peso di costi diretti e indiretti delle imprese grava sul prodotto finale e quindi anche sull’export. Nell’eventualità di una ripresa di valore dell’euro ovviamente le nostre esportazioni saranno suscettibili di qualche ritocco. Le imprese italiane che ce l’hanno fatta, al prezzo di costi elevatissimi, sono state costrette ad essere ancora più brave dei loro concorrenti esteri in tutti i loro settori organizzativi.
Molte imprese che non ce l’hanno fatta ma che forse ce la potevano fare sono state costrette a chiudere, creando una grande quantità di disoccupati. Personale prezioso, che in molti casi aveva in dote un elevato grado di formazione. Proprio quella formazione che ci costa molto come “sistema Paese”, che abbiamo molta difficoltà a mantenere e che buttiamo via, come abbiamo fatto negli ultimi venti anni. I cosiddetti “cervelli”, che emigrano  vanno all’estero perché in Italia non trovano collocazione nei servizi avanzati ma non trovano nemmeno spazio in quella manifattura che possa soddisfare le loro necessità.