Percorsi per l'internazionalizzazione del sistema Umbria

Interventi del pubblico

La crisi, prima finanziaria e poi economica,  dura da troppo tempo. Molto più tempo di quello che molti economisti avevano previsto.

GIANFRANCO CAVAZZONI, Università degli Studi di Perugia.

Questo mi induce a riflettere su due questioni che in parte avete anche toccato. Due riflessioni che mi pare che siano strettamente connesse con l’argomento di oggi: una riguarda il processo di accumulazione della ricchezza e l’altra riguarda il concetto di territorio.
Io credo che il modo con il quale il capitalismo fino ad oggi ha creato le condizioni per la crescita debba essere profondamente rivisto; io credo che l’avvento della stagione keynesiana, che ha mobilitato risorse pubbliche in tutti i Paesi occidentali ha fatto virare verso una socializzazione dell’economia. Cosa voglio dire? Che è l’aumento dei consumi individuali che fa crescere i mercati nazionali ed internazionali. Voglio qui ricordare due numeri: dei circa 7 miliardi di individui che oggi sono presenti su questo globo c’è 1 miliardo di ricchi, 1 miliardo di poveri e 5 miliardi di affamati. Io credo che questa ripartizione della ricchezza debba essere completamente rivista. Cito uno studio recente di un collega americano, che ha detto che nel prossimo decennio, dei 75 miliardi di trilioni di dollari che rappresenteranno i consumi del globo circa 35 trilioni proverranno dai consumi dei Paesi cosiddetti sviluppati e 30 trilioni di dollari dai Paesi che oggi diciamo essere non sviluppati. La storia ormai passa in quei paesi che citava prima il nostro collega americano.
Per quanto poi la nostra Umbria, credo che spread e spending review ci stiano facendo riflettere su quello che è il territorio e su quello che potrebbe invece essere in futuro: una Provincia o due, territori che chiedono di essere inglobati o che vogliono lasciare la regione, regioni allargate... C'è da riflettere sui nuovi localismi produttivi. Cosa significa per noi umbri? Significa che il potere da orizzontale tende sempre più a diventare verticale. Ecco perché dico dobbiamo essere molto attenti, il mondo della scienza, l'università, ma soprattutto il mondo dell’impresa, di fronte a queste cose. Riguardo ai livelli della internazionalizzazione che citava prima il professor Ferrucci, dobbiamo essere coscienti che    in Umbria solo un paio di imprenditori sono arrivati a malapena al terzo livello. E allora, dimensione aziendale, servizi  e infrastrutture, saranno purtroppo ancora un freno importante per un territorio che in un prossimo futuro va considerato oltre i confini attuali.


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ANNA SCHIPPA, Forma.azione.

Vorrei provare a dire due cose, la prima cosa parte da un’esperienza che ho fatto ieri pomeriggio e che secondo me mette in luce un vuoto che comincia a diventare preoccupante delle Istituzioni centrali, dei Ministeri. Occupandomi di finanziamenti pubblici, ieri ho visto che il Ministero del Lavoro, di concerto con lo Sviluppo economico, ha emesso un bando – devo dire di pochi soldi ma lo porto solo a titolo di esempio – per finanziare corsi di italiano a chi poi vuole venire a lavorare in Italia. La prima reazione mia è stata: oddio, ma adesso facciamo corsi di italiano, facciamo venire altre persone in Italia, ma già sappiamo che chi ha perso il lavoro, chi è in cassa integrazione in questo momento sono per la maggior parte proprio i cittadini immigrati. E quindi mi sembrava un po’ un controsenso adesso andare a creare, come dire, percorsi di attrazione rispetto a dei paesi, come l’Albania, poi come dire il ministero ha scelto una serie di paesi prioritari.
Molti di voi mi conoscono, non credo di poter essere tacciata di chiusura o di razzismo, assolutamente, ma mi sono posta il problema. Considerate che il ministero ha investito sei milioni di euro: è assolutamente poca cosa, però secondo me è significativo magari spostare il denaro su altre scelte. Anche perché poi ho chiamato il nostro rappresentante in Albania, che è il dottor Fantasia, di Sviluppo Italia, e lui mi ha detto che è il secondo bando che esce, ma che il primo è totalmente in alto mare perché è stata fatta la formazione linguistica in Albania, in Tunisia, in Marocco eccetera, però poi, negli ultimi due anni, non si sono create le condizioni per dar seguito al progetto. Figuratevi oggi, con la crisi del lavoro che è diventata ancora più grave.  Ho fatto l'esempio di un bando ma una cosa di questo tipo mette in evidenza una cecità totale in una fase così importante e difficile dove anche quei pochi soldi forse vengono ciclicamente investiti nel modo sbagliato senza fare una valutazione sul tipo di impatto ha avuto il bando precedente.
La seconda riflessione, invece, che spero possa essere un po’ di sintesi rispetto agli interventi che ho sentito, parte essenzialmente da una considerazione del presidente Mencaroni, cioè l’idea di una chiusura totale anche del sistema camerale, dieci anni fa, non oggi, rispetto non tanto all’esportazione e alla promozione del manufatto, cioè del prodotto, ma rispetto all’idea, perché lì dietro all’osteria o dietro al progetto del caffè italiano c’era poi anche un’idea valida da tenere in piedi e da esportare.
Oggi abbiamo bisogno che tutto il sistema, sia quello pubblico che quello privato, e nel privato ci metto anche il mondo ovviamente camerale dell’associazione degli imprenditori, lavori anche su quel 70% della nostra economia che non è il manifatturiero. Parlo dell'Umbria. Noi abbiamo la necessità di esportare le cose che sappiamo fare. Due in particolare. La prima è la cultura. Siamo una delle regioni che ha più competenze e più capacità nella organizzazione di eventi culturali, da Umbria Jazz al Festival del Giornalismo fino alle altre ormai storiche manifestazioni. Eventi in cui abbiamo sviluppato capacità e competenze che potremmo portare in giro per il mondo con la regia del sistema camerale.
C'è poi un'altra questione, nella quale sono ancora più coinvolta: come Italia prendiamo dall'Europa molto meno di quanto diamo. Abbiamo un buon sistema di progettazione ma un pessimo sistema di partenariato e di lobby. Perdiamo i progetti europei e quindi perdiamo soldi. Non sulla progettazione, e devo dire che l’Umbria, come la Toscana e l'Emilia, su questo fronte lavora benissimo. Ma ci manca la capacità di creare partenariati forti, allargati e consolidati. In sintesi, non sappiamo fare lobby. Scusate se mi permetto di dare un giudizio così forte. Ma dobbiamo migliorare su questo punto. Puntiamo di più sui servizi: sarebbe bello che l'Umbria riuscisse ad esportare idee e competenze legate agli eventi culturali ed alla progettazione.

 

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