Green Economy: per uno sviluppo sostenibile dell'Umbria

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Giorgio Mencaroni

Presidente della Camera di Commercio di Perugia

Presidente Mencaroni, Rossetti ha citato l'espressione “rete di imprese”. “Fare rete” è uno slogan usato molto dal mondo politico. Ma sembra che in Umbria sia difficile...

Il sistema camerale ha investito molto sulle reti di imprese. Anche con il recente bando che aiuta le reti di impresa a costituirsi e ad operare effettivamente insieme.
Deve essere una rete vera, non solo una scusa per dire: siamo in tre, stiamo insieme e quindi ci muoviamo momentaneamente o temporaneamente insieme su qualcosa. Io insisto su questo tema della rete di impresa, perché abbiamo avuto anche un altro momento, due anni fa, subito dopo la crisi virulenta che si è manifestata nel 2008 – ma la crisi c’era anche da prima dell’agosto-settembre del 2008 –, in cui si è pensato che la piccola impresa dovesse scomparire a beneficio solo della grande impresa. Ce lo spiegavano anche autorevoli economisti. Poi invece poi ci siamo resi conto che forse, in realtà, la presenza in Umbria di un sistema di microimprese ha ritardato l'arrivo della pesante crisi economica già in atto in altri territori dove la grande impresa era prevalente. La piccola impresa continua ad esistere, c’è ancora. Ma è fondamentale che le piccole imprese si uniscano, si mettano insieme, se vogliamo competere sia sui mercati nazionali, che sui mercati internazionali. Questo credo che sia lo sforzo che oggi noi dobbiamo compiere.
Ma io insisto su un punto, e anche all'interno del Centro Estero Umbro ne parliamo spesso: la Camera di Commercio non può più continuare a dare contributi alla singola impresa. Noi dobbiamo dare contributi al prodotto per la valorizzazione del territorio. Provo a spiegarmi meglio: se le aziende che lavorano nel campo delle energie rinnovabili sono un fattore di eccellenza per la nostra realtà, noi dovremmo fare in modo che questo fattore sia conosciuto al di fuori, ma sia anche un prodotto attraverso il quale venga valorizzato il territorio e il sistema Umbria.
Tutte le grandi imprese hanno necessità di una subfornitura, che però non può legarsi al 100% con una sola impresa, altrimenti è destinata a vivere a seconda dei cicli che avrà la grande impresa. E infatti abbiamo visto che quando la subfornitura o l’economia di alcune città si è legata ad un solo settore e poi quel settore è entrato in crisi, è entrato in crisi l’intero sistema di quelle città. Perché il settore di lavoro principale di quella città o tutta la subfornitura di quella città erano legati a quel mondo industriale.
Allora io credo la rete sia necessaria perché si possa fare subfornitura. E perché la subfornitura diventi valore aggiunto, noi dovremmo però farla conoscere, dovremmo fare in modo che sia identificabile. Perchè  spesso e volentieri, quando giriamo nel mondo, ci rendiamo conto che alcuni prodotti umbri sono conosciuti, ma non sono identificati con il nostro territorio.
Vale sia per quanto riguarda il campo agroalimentare, che il mondo industriale, sia nell'artigianato artistico, che nel  terziario avanzato.
Noi non abbiamo un’identificazione, è questo che ripeto sistematicamente, perché oggi il modello Umbria o il nome Umbria non è identificabile, quindi noi dovremmo avere un brand unico per identificare le nostre realtà. Se voi andate su Google, ci sono oltre 20 marchi con il nome Umbria e non si riesce a capire che cosa identifichino. La stessa Regione, nei suoi vari settori, credo che abbia cinque o sei volte la denominazione “Umbria”: una volta con il bollino rosso, un’altra volta c’è “Umbria” scritto in verde, un’altra volta c’è “Umbria” scritto in inglese, in un altro caso c’è un’altra dicitura... Insomma, una serie infinita di loghi.
Quello che voglio dire è che se riusciamo a portare nel mondo, con un unico marchio, i prodotti di eccellenza del nostro sistema di produzione umbro, che possono essere i vini del territorio o gli oli o il legno o quello che sia, la piccola impresa può riuscire, attraverso la grande azienda, a unirsi e a crescere. Anche la grande azienda che può non avere in simpatia questa mia  posizione. Certo, la grande azienda ha sudato, lavorato e lottato per raggiungere un certo livello con un proprio marchio. Ma anche la sua crescita futura dipenderà dalla rete di imprese. Non sto parlando di sussidarietà. Ma se noi dobbiamo andare avanti e crescere, è necessario che i grandi pensino anche ai piccoli, perché se muoiono i piccoli, i grandi non è che avranno una lunghissima vita.

Il discorso della rete d'impresa vale anche per il settore energetico.

Certo, è prioritario. Ma a proposito di economia verde, vorrei porrei due domande ai nostri interlocutori.
Di recente ho partecipato ad un convegno nel quale si parlava dell'incidenza del fotovoltaico e dell'eolico  sul contesto del fabbisogno energetico nazionale. Per il ministro Romani il fotovoltaico vale il 5 per cento del  fabbisogno. Nel convegno si diceva che il fotovoltaico ha una incidenza  attorno all’1%, mentre l’eolico attorno al 2%. Allora la prima domanda che pongo è questa: se è vero che l'Italia, secondo le disposizioni dell'Europa, deve raggiungere il 17 per cento del fabbisogno energetico con le energie rinnovabili, mi chiedo e vi chiedo: qual è l’intervento migliore da realizzare in tempi rapidi per sviluppare questa tecnologia?
L’altra riflessione è questa: noi dobbiamo fare una profonda distinzione tra qualità della vita e redditività d’impresa, perché voi capite che se noi stabiliamo, come ci spiegava Spagnolo, che lo scopo della green economy è quello di garantire alle generazioni future di avere almeno una qualità della vita pari a quella attuale e quindi è una scelta fondamentale, allora male si lega questo tema con la redditività d’impresa; perciò, su questo, chiaramente, dovremo ragionare.
Oggi che cosa succede? Che lo Stato, la Comunità Economica Europea e le Regioni danno dei contributi abbastanza consistenti per la realizzazione degli impianti. Di conseguenza l’impianto diventa remunerativo grazie al contributo che riceve e quindi c’è una capacità di impresa grazie ai contributi pubblici. Il problema è enorme. Cioè, oggi c’è una corsa – e quindi ritorno alla qualità della vita e alla redditività – imprenditoriale su questo settore perché c’è il contributo dello Stato dato senza un controllo, senza una politica di indirizzo per capire qual è l’intervento realmente utile. Senza una linea che appaia coerente da un punto di vista tecnico per realizzare gli impianti  più idonei. E senza una politica di sviluppo sulle energie future.
Rossetti ha detto: dobbiamo sostituire i tetti in eternit. Sono perfettamente d’accordo. Come sono d'accordo con quanto citava la dottoressa Regina che parlava di un esempio realizzato, quello della casa ecologica di Berlino, in via Fasanenstrasse 87. Cose concrete, fatti che hanno anche un indirizzo preciso. Troppo spesso  assistiamo invece ad interventi che non hanno una linea, una strategia. Stiamo parlando di temi che riguardano l'ambiente, la qualità della vita. C'è la redditività di questi impianti fotovoltaici ma c'è anche il turismo, legato all'ambiente ed alla qualità della vita, che è nevralgico per una regione come la nostra.
Poi c'è il problema dello smantellamento di questi impianti. Chi si è posto il problema? Abbiamo la garanzia che domani, chi ha costruito gli impianti e ha usufruito dei contributi si impegnerà a smantellarli? Quali fideiussioni ci sono?
Poi, un'altra questione. Un docente dell'università di Bologna, di recente, spiegava che un terreno coperto per 20 anni con i pannelli non tornerà più ai valori di produttività che aveva prima della realizzazione degli impianti a terra. Altri esperti fanno anche presente che  le acque sorgive, quindi le falde, avranno dei miglioramenti perché non ci saranno più immissioni di diserbanti o di altri prodotti utilizzati nell’agricoltura.
Ma il senso di questo nostro incontro è capire qual è la rotta da seguire. E siccome abbiamo qui la massima autorità regionale in tema di energia,  l’invito che faccio alla Regione è di fare delle politiche corrette in questo senso.
Chiudo sui finanziamenti regionali. Chi presenta un impianto che risponde a certe caratteristiche riceve un contributo. Se il titolare di quell'impianto  vende il suo appezzamento di terreno e ha un altro pezzo di terreno per fare 1 o 2 MW, può ripresentare la domanda due anni dopo e ottenere un altro finanziamento per realizzare un nuovo impianto che può poi ancora  rivendere. E' un meccanismo pericoloso, che non richiede esperti del settore ma solo proprietari di terreni dove si possono piazzare impianti per poi mercanteggiare...
Un altro tema è quello del mercato degli affitti nel mondo agricolo. Anche lì, forse dovremo trovare un giusto equilibrio, visto che parliamo di qualità della vita.

**********

Presidente Mencaroni, anche oggi affiora spesso magicamente la parola qualità. Insieme ad altre che usiamo spesso: rete, filiera, marketing. Sappiamo anche che all'estero l'Umbria è troppo poco conosciuta. Ma non si può fare marketing se il “prodotto regione” non è sinonimo, appunto di qualità.

Partiamo dalla green economy. Basili ha toccato due punti interessanti. La resa dei prodotti che vengono installati per la produzione di energia. E quello degli smaltimenti. Siccome parliamo di qualità della vita, vorrei capire che cosa si sta facendo su questo tema specifico.
Francesca Regina ha ricordato la visita che abbiamo fatto come Camera di Commercio in Germania per visitare una centrale a biomasse. Sulle biomasse siamo abbastanza avanti in Umbria, anche grazie all'Università e al lavoro del professor Cotana. Abbiamo tecnologie avanzate ma poi, per quello che ne so, e potrei non essere ben informato, abbiamo una sola centrale di una certa importanza, nella provincia di Terni, che riceve il cippato, cioé il legno sminuzzato, per poter produrre energia. Con alti costi: abbattere le piante, creare cippato e doverlo trasportare a Terni...
Come spiegava Basili oggi, per il sistema di reti di trasporto energia che abbiamo in Italia, l’intervento più efficace deve essere quello di realizzare impianti in loco, cioè dove questa energia poi verrà consumata.
Altro punto su cui riflettere è quello degli interventi “a spot” nel mondo agricolo, che, ne siamo certi, non sono destinati ad avere vita lunga. Allora dobbiamo razionalizzare i progetti e capire come intervenire su questi impianti.
Come imprenditore opero nel turismo. E quindi sono molto interessato alla natura che ci circonda. Un  ambiente degradato è di scarso interesse per il turista, al di là di qualunque altro aspetto. Quindi credo che la qualità della vita, in un territorio, sia la risorsa fondamentale. Spesso abbiamo detto che dobbiamo promuovere il benessere dell'Umbria. A questo proposito, su un punto c'è bisogno di chiarezza assoluta:
C'è un punto sul quale vorrei essere chiaro: stiamo costruendo molti centri benessere, scimmiottando la politica di altre regioni come, ad esempio, il Trentino. Ma credo di poter dire valga molto di più la qualità della vita di una regione che non i centri benessere negli alberghi.
Si è parlato ancora di “Umbria cuore verde d’Italia”. Noi sosteniamo che la qualità della vita, nella nostra regione, sebbene sia cambiata e in parte degradata rispetto a dieci anni fa, è però ancora elevata. Perchè allora non creare in uno dei nostri borghi, che sono dei gioielli urbanistici, una piccola città “carbon free”, ad impatto zero, che esalti e valorizzi la qualità ecologica dell'Umbria?

Una sfida per la politica...

Penso ad una cosa concreta. Un borgo nel quale si possano applicare i concetti di green economy. Che produca energia. Non solo attraverso l'eolico o il fotovoltaico ma anche grazie a sistemi meccanici: come le pedane a pressione in un luogo dove ci sia movimento di persone.
Per l'Umbria sarebbe una forma importante di promozione. Conoscendo il nostro campanilismo, la difficoltà maggiore sarebbe quella di individuare il borgo per questo progetto. L'intervento pilota avrebbe certamente un costo. Ma per la regione sarebbe uno spot pubblicitario di enorme rilevanza mediatica in tutto il mondo. E si potrebbero sperimentare nuovi materiali per l'edilizia. Spagnolo citava le finestre fotovoltaiche. Il settore edilizio negli ultimi anni si è fortemente contratto. Oggi una legge dello Stato prevede che ristrutturando un condominio o un immobile, si può decurtare il 36% di Irpef, per un certo numero di anni, della spesa sostenuta per quel bene. Bisogna pensare a nuove regole che diano priorità ad interventi edilizi che prevedano  contenimenti energetici o contribuiscano a migliori condizioni di qualità della vita all’interno degli edifici.
Ma l'Umbria di cosa ha bisogno veramente? Caro dottor Rossetti, le esprimo una mia preoccupazione: nella maggior parte dei casi, purtroppo, in Umbria siamo installatori o rivenditori di pannelli ma non protagonisti di una economia nuova. Con le nuove decisioni del governo e i tagli previsti agli incentivi stabiliti negli anni scorsi a favore della green economy, i dati di fatturato elevatissimi di tante aziende umbre sono, purtroppo, destinati a scendere. Non lo auguriamo a nessuno. Ma il punto è che dobbiamo costruire un progetto regionale di green economy per dare una base solida a questa nuova economia.

Quindi “green economy” come leva del marketing territoriale.

Certo. La green economy, come ci spiegano gli esperti presenti a questo tavolo, è relativa soprattutto alla qualità della vita. Parliamo di un benessere diffuso in tutta la regione che dobbiamo quindi trovare nei servizi, negli autogrill, nella qualità dei prodotti, nella mancanza di inquinamento. E anche nella sicurezza, un tema che riguarda molto Perugia e che oggi è diventato un problema inderogabile.
Quando parliamo di benessere non dobbiamo pensare solo a quello fisico, ai massaggi, le saune e i bagni turchi. Ma ad una regione dove si vive bene. Su questo c'è bisogno di una azione congiunta di tutto il sistema regionale. E' una cosa troppo importante per poter essere scaricata solo su alcune categorie.
Mi tolgo per un attimo il cappello da presidente della Camera di Commercio e penso al mondo del commercio e dei servizi. Non è ipotizzabile che quando si parla dell’animazione di un centro storico, si pensi che ci sia solo l’interesse dei commercianti. Questo interesse non è solo dei piani terra ma deve arrivare fino al tetto degli edifici. Anche se sopra il negozio c’è una banca o un ufficio o un’abitazione, c’è sempre l’interesse della qualità della vita, perché animare un centro storico vuol dire avere anche un grado di sicurezza e di vivibilità elevato. Indubbiamente, a volte, possono essere anche strumentali gli interventi dei commercianti finalizzati all’ottenimento del proprio tornaconto, ma d’altra parte fanno gli imprenditori. Sarebbe il colmo se non fosse così, ma loro spendono soldi propri, questa è la diversità. Per cui, ripeto, auspico una partecipazione più attenta alla qualità della vita dei nostri centri storici da parte di tutte le categorie.