PRIMO PIANO

31 marzo 2011

Trasparenza: una cultura prima ancora che un obbligo di legge

di Luciano Hinna

La trasparenza è un valore che sembra scontato a prima vista, ma scontato non è. Intorno a questo valore ruota buona parte dell’ultima riforma della pubblica amministrazione introdotta con il decreto 150 del 2009. Infatti, senza trasparenza non si riesce a creare quella pressione sui risultati e sui comportamenti da parte degli stakeholder esterni alle PA e da parte degli stessi dipendenti pubblici. Senza trasparenza si vanifica tutto il processo di misurazione e valutazione delle performance; senza trasparenza non si riesce a gestire il sistema della selettività e della premialità, senza trasparenza non si gestisce l’integrità e non si combatte la corruzione. Vale quindi la pena coglierne la filigrana tecnica e culturale per poter utilizzare questo valore al meglio. La trasparenza non è solo un elemento sancito dalla norma, ma è anche una opzione etica ed in quanto tale assume un valore culturale: esiste un “minimo” che può essere assunto come un dovere organizzativo ed un “massimo tendenziale” lasciato allo spazio etico, a ciò che non è richiesto dalla norma ed è quello che fa la differenza quando si confrontano i vari modelli di democrazia nei vari paesi. Il tutto si colloca nel grande filone dell’Open Data Government che ha già animato l’agenda di tanti governi dopo la crisi finanziaria recente. La trasparenza, però, non è un concetto nuovo: il legislatore italiano si è interessato a più riprese della trasparenza amministrativa e lo stesso concetto nel tempo ha subito una evoluzione legata anche all’utilizzo di nuovi strumenti che la garantiscono. Con la recente riforma della PA è stato introdotto (art 11 Dlgs 150) il concetto di “trasparenza intesa come accessibilità totale”, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione ed ogni fase del ciclo della performance.” Si tratta della “casa di vetro” alla quale faceva riferimento Giannini negli anni Settanta? Certamente si ispira a quel concetto. La norma, infatti, fissa le modalità di trasparenza, ovvero gli strumenti e i mezzi (…siti istituzionali), ma individua anche che cosa deve essere oggetto della trasparenza stessa (…ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione). La norma, infine, delinea anche le motivazioni, intese come “controllo sociale” (civic audit) sia all’interno delle stesse organizzazioni che da parte del cittadini esterni alla amministrazione (…allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità). È questa la pressione sui risultati che si viene a creare da parte dell’opinione pubblica: un elemento nuovo per certi versi e tutto da coltivare. Da quanto fin qui esposto si comprende come esistano traiettorie e dimensioni diverse della trasparenza: quella giuridica, quella organizzativa e quella culturale Tralasciando quella organizzativa, delineare la traiettoria giuridica è semplice: basta mettere in fila le norme che dal 1957 ad oggi si sono succedute e che direttamente o indirettamente hanno trattato della trasparenza. Si è passati da una concezione della trasparenza come una concessione del principe al suddito ad un diritto dei cittadini da esercitare a prescindere dagli interessi specifici sottostanti. Si è passato dall’accesso agli atti, un diritto del cittadino da salvaguardare, ma limitatamente ai temi ed ai contesti che lo riguardavano da vicino, alla necessità di dare informazioni su che “cosa la PA fa” – la stagione degli URP, per intenderci-, fino ad arrivare alla trasparenza prevista dalla riforma su “come lo fa”, “chi lo fa”, e “ con quali risultati” – il piano della performance ex ante, il rapporto di performance ex post con gli indicatori di qualità dei servizi, i profili professionali, la premialità etc. Ora, ciò che va rilevato è che nella maggior parte dei casi le amministrazioni hanno incontrato grandi difficoltà già ad adeguarsi alle norme del passato, e quindi non è difficile immaginare le difficoltà che si incontrano per adeguarsi a quelle introdotte con la recente riforma. Il problema però non è tecnico, è di cultura, quindi di comportamento. Nel panorama ovviamente non mancano le solite best practice, ma mediamente la nostra PA non si è ancora orientata al nuovo concetto di trasparenza mentre oggi la realtà sociale lo richiede. La nuova economia dei siti e dei blog, la “blogsfera” come viene normalmente definita, consente una domanda ed una offerta di trasparenza che non era neanche immaginabile solo qualche anno fa. Oggi, un cittadino qualunque armato di un semplice cellulare ed un collegamento internet, ovvero strumenti alla portata di tutti, può creare dei problemi ad una multinazionale o ad un governo, ad un sindaco o ad un ente locale o a una qualsiasi struttura pubblica: il suo messaggio può esser ripreso da milioni di persone e nel giro di pochissimo tempo fare il giro del paese cosicché un episodio, positivo o negativo che sia, può essere immediatamente sulla bocca di tutti e creare consenso o dissenso, a seconda dei casi. Tutto questo è importante, ma non sufficiente: è necessario che anche i cittadini, gli stakeholder, l’opinione pubblica si approprino di questo diritto ed esprimano una domanda crescente di trasparenza che non potrà che migliorarne l’offerta a vantaggio della democrazia e quindi a vantaggio di tutti. L’evoluzione che si intravede è intendere la trasparenza come strumento di relazione e coinvolgimento con i propri stakeholder per avvicinare sempre più le singole PA alla società civile e migliorarne non solo il rapporto, ma, attraverso una attenta strategia di ascolto (accountability evoluta), coglierne i suggerimenti per migliorare anche la qualità delle prestazioni. Come coinvolgere i cittadini e l’opinione pubblica? La pubblica amministrazione purtroppo non è ancora vissuta come un bene comune, un bene pubblico; è come se, per assurdo, non fosse pubblica. Se un tempo il cittadino in quanto suddito veniva lasciato fuori dal castello, oggi è la PA che rischia di essere emarginata dalla società civile anche per distrazione di quest’ultima. Da qui l’importanza di gestire la trasparenza in modo diverso utilizzando lo strumento della stakeholder engagement mutuato dalle tecniche di responsabilità sociale delle imprese – su cui poggia la possibilità di realizzare quel civil audit che la riforma, in qualche misura, delinea. In conclusione le dimensioni della trasparenza introdotte con la riforma sono sostanzialmente quattro: • rispetto all’oggetto: che deve definire chi fa che cosa, come, con quale risultato; • rispetto agli strumenti tecnologici che vanno armonizzati e messi a sistema (URP, siti, numeri verdi, rete amiche etc); • e rispetto agli strumenti gestionali e stato introdotto dalla riforma uno strumento nuovo: il piano della trasparenza; La trasparenza, però, se è vero che un diritto per il cittadino ed un dovere per la PA, è vero anche che è uno strumento di relazione con i cittadini ed è essa stessa oggetto di misurazione come una delle dimensioni della performance aziendale, ma perche funzioni necessita di un livello culturale adeguato. La trasparenza, infatti, è una cultura che deve alimentare sia l’offerta della PA che la domanda dell’opinione pubblica, e se la riforma incide sulla offerta come si fa a qualificare la domanda? La sfida è anche li: la trasparenza è una veste mentale da indossare ed altre forze debbono necessariamente entrare in campo: scuola, politica, economia etc. Gli inglesi usano una espressione efficace per descrivere coloro che sono riluttanti alla trasparenza: dicono che quando giocano tengono le carte strette al petto e si guardano intorno sospettosi e guardinghi perché temono, come nel quadro di Caravaggio, che qualche baro aggiri l’imparzialità e la lealtà del gioco. Giocare a carte scoperte conviene a tutti: forse diminuirebbero i bari ma certamente consentirebbe un maggiore controllo sociale che è quello che la trasparenza può consentire.