STUDI E RICERCHE

30 settembre 2013

Smart cities: le condizioni per un loro reale contributo

Unioncamere: le idee del Presidente Dardanello

di Ferruccio Dardanello

Estratto dagli atti del Convegno “L’impresa cittadina attiva nella smart city” Roma, 22 maggio 2013

Pochi numeri, solo per inquadrare il problema: se nelle città vive ormai più del 50% della popolazione mondiale è altrettanto vero che nelle città viene prodotto più del 50% del PIL e viene consumato circa il 90% delle risorse prodotte nel mondo e il 75% dell’energia. Questa centralità delle politiche urbane è sottolineata anche nella nuova programmazione europea che prevede che almeno il 5% del FESR vada ai piani per le città (oltre un miliardo di euro per l’Italia). L’Unione Europea ha stanziato poi più di 10 miliardi di euro nel decennio 2010-2020 nel solo SET-Plan dedicato alla riduzione delle emissioni di CO2 nelle città. Il Governo italiano infine ha messo in piedi un programma di bandi pubblici a valere sul PON Ricerca e Competitività per oltre un miliardo e duecento milioni di euro, a cui vanno sommati almeno parte delle risorse dei Piani Città avviati con il Decreto della scorsa estate “crescita 2.0”. Da ultimo, ricordo che ABI Research prevede una spesa nel settore di 116 miliardi di dollari a livello mondiale per le aree urbane. Il tema delle città è quindi centrale in qualsiasi politica di sviluppo. In questo contesto il paradigma della smart city […] ha spesso messo in primo piano il rapporto tra istituzioni e cittadini, in un’ottica di semplificazione dei servizi e di interattività. Questo è senz’altro un aspetto importante, ma la città è un insieme ben più ricco e articolato del Comune inteso come singola organizzazione pubblica. Comprende i cittadini, le imprese, il terzo settore, le associazioni di rappresentanza, gli intermediari finanziari, le public utilities, le fondazioni bancarie, le altre istituzioni pubbliche e private.
Limitare il dialogo tra l’offerta di tecnologie e il Comune è restringere a un perimetro troppo ristretto la rete degli interessi in gioco. È pur vero che sempre più ai Comuni è richiesto un ruolo di governance (regista e catalizzatore delle politiche pubbliche), di tessitore principale di una rete diffusa di attori protagonisti per il successo di obiettivi condivisi. Ma è pur altrettanto vero che progetti così ambiziosi, come quello di infrastrutturare la città di sistemi permanentemente interconnessi, interattivi e di interesse generale, non possono vedere coinvolta la sola responsabilità dell’attore pubblico. I progetti per le smart communities non si vincono “dentro” l’amministrazione della città, ma in un più ampio spazio di co-progettazione con tutti i portatori di interesse, in cui il ruolo del sistema delle imprese è centrale. Da qui discende l’idea chiave del nostro ragionamento: le imprese che nascono e prosperano in una città non costruiscono solo business, ricchezza e occupazione, ma costruiscono comunità.
Eppure il dibattito sul ruolo delle imprese nelle smart cities è ancora debole e spesso marginale rispetto alla maggiore enfasi che è data al rapporto tra Istituzione comunale e cittadini, sia sotto forma di servizi sia per quanto attiene alla partecipazione alla vita democratica. Ma anche le imprese sono clienti di quei servizi e con le loro scelte e i loro valori determinano spesso
il successo o l’insuccesso delle politiche pubbliche per lo sviluppo. Partendo da questa considerazione [emerge la necessità di] aprire un confronto tra gli addetti ai lavori, gli studiosi, il mondo delle imprese e le amministrazioni su un aspetto poco discusso del paradigma smart city: il ruolo della “cittadinanza” delle imprese nella costruzione della comunità intelligente.
Nessuna città può essere smart, infatti, se non crea un ecosistema che ponga le condizioni per l’imprenditorialità innovativa, per la crescita delle PMI, per l’aumento dell’occupazione
e con essi del benessere equo e sostenibile.
In poche battute vediamo cosa vuol dire ragionare sulla crescita urbana sia dal punto di vista delle condizioni abilitanti a implementare un ecosistema favorevole per le imprese smart, sia dal punto di vista dei contributi che il sistema delle imprese può dare per rendere più smart l’area urbana in cui opera. Una città intelligente cura la piena occupazione dei suoi cittadini e promuove l’insediamento e la nascita di imprese creando le migliori condizioni per il loro sviluppo.
In una smart city le imprese creano beni relazionali e comunità e contribuiscono così al benessere se, e solo se, trovano le condizioni per:

  • essere libere da eccessivi pesi burocratici: entra qui in campo la semplificazione amministrativa, la facilitazione alla creazione dell’impresa e alla sua localizzazione, la messa a disposizione di punti di contatto unici per le imprese (del tipo dei SUAP), la chiarezza delle normative e la loro trasparenza, la razionalizzazione dei livelli decisionali pubblici
  • essere davvero libere di crescere e svilupparsi serenamente: perché la libertà negativa di potersi svincolare da lacci e lacciuoli non basta, è necessario per le imprese una libertà positiva che è data dal poter contare su un tessuto sociale abilitante. Qui parliamo della creazione di un contesto favorevole all’impresa che comporta la legalità e la lotta alla corruzione, le migliori condizioni fiscali e le agevolazioni alle assunzioni, la disponibilità sul mercato locale delle professionalità necessarie all’attività produttiva, la certezza  della giustizia in tempi ragionevoli, la disponibilità di finanziamenti a condizioni accettabili essere portatrici di innovazione: essere cioè continuamente sfidate dal tumultuoso cambiare dei bisogni personali e sociali a creare innovazione di prodotto e di processo e nello stesso tempo trovare nell’ambiente le sinergie necessarie: una solida partnership con le Università e con la ricerca pubblica, un quadro certo e duraturo nel tempo di agevolazioni alla ricerca e all’innovazione, una politica di attenzione alle start up che sia lungimirante e privilegi le imprese più creative, un’attenzione delle amministrazioni pubbliche nell’essere guida di innovazione pilotando con intelligenza la leva del public procurement
  • poter contare su condizioni che abilitino reti d’impresa e nuove filiere: l’ambiente urbano, con le opportunità di contaminazione e confronto che offre, può essere l’ecosistema  ideale per le reti d’impresa come delineate dal nuovo strumento del contratto di rete e può favorire, se intelligentemente promosso, lo sviluppo di nuove filiere produttive sia nei settori industriali sia, e forse ancor di più, nei settori dei servizi. Si pensi ad esempio al turismo, alla cura alle persone, alla gestione delle informazioni basate sui dati pubblici
  • essere portatrici di valori e di responsabilità: cittadinanza d’impresa (Corporate Citizenship) vuol dire riconoscere che un’impresa cresce e prospera meglio in un tessuto sociale ricco, sano e coeso, teso a uno sviluppo equo e sostenibile, e che nello stesso tempo essa ha una responsabilità reale nel costruirlo e nel mantenerlo. Nel Libro Verde del  luglio 2001, la Commissione Europea definisce la Responsabilità Sociale d’Impresa come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Una città intelligente integra, in una strategia complessiva di sussidiarietà orizzontale, questi sforzi e li usa per un progresso sociale e civile della comunità
  • partecipare alle scelte strategiche: ossia sedersi ai tavoli della programmazione strategica per condividere le visioni dell’evoluzione della comunità urbana in un mediolungo periodo secondo la metodologia dei Piani Strategici, ossia del coinvolgimento multistakeholders di tutta la comunità locale in una riflessione sul proprio futuro e sulle azioni ed i progetti per realizzarlo.