STUDI E RICERCHE

13 marzo 2019

Le terre rare: l'arma strategica della Cina

di Antonella Jacoboni

"Gli Stati Uniti non godono di un surplus commerciale con la Cina da anni. I cinesi dovrebbero smetterla con il commercio sleale, rimuovere le barriere commerciali e tener in vigore solo le aliquote reciproche. Gli Stati Uniti perdono 500 miliardi di dollari l'anno, in decenni abbiamo perso trilioni. Non può andare avanti così!" ha scritto Donald Trump in uno dei suoi numerosi twitters del 2018 per spiegare la sua politica protezionistica e la sua azione per limitare le importazioni di merci dal paese asiatico.

La crescita del commercio mondiale nel 2019 sarà più lenta del previsto, solo del 3,7% invece del previsto 4%, secondo il WTO, che regola e controlla gli scambi internazionali. Le cifre sono state riviste al ribasso anche come conseguenza  delle decisioni del presidente Trump di imporre i dazi sui prodotti cinesi e sull'acciaio ed alluminio provenienti da paesi extra Usa. A tutto questo si devono aggiungere gli effetti delle  potenziali ritorsioni doganali annunciate da Pechino.

Tra i tanti beni colpiti dai dazi Usa con aliquote del 25% erano state incluse anche le terre rare, ma con grande velocità, è stata fatta una clamorosa retromarcia. Che cosa è accaduto? Che cosa sono le terre rare (Rare Earth  Element)?

Sono diciassette metalli strategici, con nomi stravaganti (lantanio, neodimio, promezio, cerio, lutezio, olmio ecc.) che si estraggono da minerali presenti in natura e la cui domanda da parte dei mercati mondiali è cresciuta considerevolmente negli ultimi anni. Hanno molti usi industriali: i magneti di elevata qualità usati per le auto ibride, le unità di memoria di computers (hard disk, dvd, cd), le superleghe metalliche a basso peso con elevata resistenza al calore e molto utilizzate in aviazione. Altri impieghi sono nell'alta tecnologia di uso quotidiano come gli smart-phone, le smart-tv, i tablet, le lampade a fluorescenza e i led, i display al plasma, ma anche gli amplificatori ottici, i fosfori per lastre mediche e le fibre ottiche.

Le terre rare (conosciute anche come Ree) hanno un ruolo fondamentale nel settore militare perché necessarie alla produzione di aerei supersonici, laser, sistemi di visione notturna, radar, sonar, satelliti, missili intelligenti, aeromobili a pilotaggio remoto, come i droni.  Questo aspetto è di vitale importanza per l'industria bellica, in particolare quella degli Stati Uniti e dei paesi occidentali, che hanno adottato la strategia del “network centric warfare”, basata sulla informatizzazione dei processi operativi della forze armate. Una rete di computers coordina e sincronizza, grazie alla condivisione in tempo reale dei dati, i movimenti di truppe  e mezzi da combattimento. Secondo A. Giannulli (Limes 2014) sono allo studio anche armi ad “alta energia diretta” cioè capaci di indirizzare sui bersagli, in modo molto preciso, diverse forme di energia non cinetica. L'obiettivo non è colpito da un proiettile o da una esplosione, ma da radiazioni elettromagnetiche o da raggi laser o dal plasma ad elevata energia. Le bombe elettromagnetiche non sollevano polveri, sono simili a quelle nucleari, ma senza radiazioni e senza effetti termici. Ci sono notevoli vantaggi tra cui quello di poter sostituire l'uomo sullo scenario bellico, il loro costo è inferiore a quello delle armi convenzionali e sono in grado di colpire bersagli multipli  con grande precisione. Gli scienziati militari americani sono consapevoli che i loro studi sono inutili se non c'è un approvvigionamento sicuro di terre rare che possa rifornire l'industria bellica: infatti queste armi di nuova generazione necessitano di ingenti quantitativi di tali metalli.

Le riserve mondiali di Ree sono di circa 120 milioni di tonnellate e i giacimenti sono presenti sopratutto in Cina, con 44 milioni di tonnellate, in Russia, con 18 milioni, in India con 6,9, in Australia con 3,4 ed infine in Usa e in Groenlandia con 1,4 milioni di tonnellate. (dati US Geological Survey 2016).

Il Giappone ha annunciato che enormi riserve sono state trovate nei fondali dell'Oceano Pacifico, ma la loro estrazione non è ancora iniziata, e per la loro posizione sarà sicuramente costosa.

Nel 2017 la Cina ne ha prodotte 105mila tonnellate, pari a circa 81% dell'offerta globale, l' Australia 20mila tonnellate e la Russia 3mila, mentre gli Usa non estraggono le loro risorse. Il Giappone ne consuma più di 20mila tonnellate l'anno, la stessa quantità viene utilizzata dagli Stati Uniti e più di 7mila tonnellate dall'Unione Europea.

Attualmente Pechino si trova in una posizione di monopolio pressoché assoluto e controlla sia l'offerta che la domanda e le ragioni di tale situazione sono il risultato di una serie di scelte strategiche del governo cinese. Negli anni '90 ha effettuato politiche di sovvenzioni e sussidi alle sue industrie minerarie che permettevano alle imprese nazionali di vendere le terre rare in perdita e quindi a prezzi molto inferiori a quelli dei concorrenti esteri, che sono stati costretti a chiudere le proprie miniere. Ci sono state, inoltre, acquisizioni strategiche di aziende anche con modalità opache. E' il caso della Magnequench, ex filiale della General Motors: grazie ai finanziamenti del Pentagono era diventata leader nel settore dei magneti permanenti e fu acquisita nel 1995 da due società cinesi, schermate da una società americana, la Sextant Group, che poi, nel 2001, trasferirono la produzione in Cina.

La Repubblica Popolare ha abilmente scelto di posizionarsi in ogni fase della filiera: dall'estrazione mineraria, alla lavorazione dei semilavorati e dei prodotti finiti. Ha creato una situazione di monopolio mondiale ed ha estromesso gradatamente tutti i concorrenti internazionali che optarono per l'abbandono delle miniere e per la delocalizzazione;  nel 2004 la quota cinese della produzione mondiale era arrivata al 92%.           

Forte di questo la Cina nel 2005 iniziò ad applicare restrizioni alle esportazioni del 5% l'anno, fino a quando nel 2010 Pechino annunciò, repentinamente e spregiudicatamente, la riduzione di circa il 40% delle esportazioni di terre rare. Il motivo scatenante fu un contenzioso con il Giappone riguardante le isole Senkaku, attualmente appartenenti al Sol Levante, ma di cui la Cina rivendica la sovranità. In un primo momento il blocco riguardò solo il Giappone, ma poi fu esteso ad Europa e Stati Uniti. In realtà il Dragone voleva ampliare la sua sfera di influenza nel Mar della Cina meridionale e nello stesso tempo impadronirsi dei  vasti giacimenti petroliferi presenti in quelle acque. A livello diplomatico il governo di Pechino si giustificò osservando che l'estrazione delle Ree è molto inquinante, perché sono spesso mescolate con elementi radioattivi come l'uranio e fece appello a ragioni di tutela dell'ambiente.

Questo fu un atto dirompente per i paesi occidentali che erano e sono dipendenti dalle importazioni dei preziosi elementi chimici. Per il Giappone, gli Stati Uniti e i paesi dell’Unione Europea la riduzione della fornitura cinese rischiava di compromettere e paralizzare le industrie ad alta tecnologia e nel frattempo i prezzi erano lievitati del 300%, con punte fino al 4000%. La controversia fu risolta dal WTO che riconobbe come la Cina avesse violato le regole, ma solo nel  dicembre del 2014 il governo di Pechino ha rimosso le quote fisse sulle esportazioni, normalizzando la situazione.

La classe dirigente cinese è molto cauta e prudente, ma il caso delle terre rare è emblematico e dovrebbe far riflettere gli Usa e l'Unione Europea: il mondo dipende dalla Cina per l'approvvigionamento di queste preziose materie prime.

Un altro elemento su cui soffermarsi è che il secondo paese per riserve è la Russia, dove stanno entrando in produzione alcuni giacimenti; Pechino e Mosca possiedono da sole il 60% delle risorse mondiali e potrebbero costituire un cartello che fisserebbe i prezzi mondiali ed, inoltre, decidere di avere una convergenza sul piano militare. Questo è il pericolo che corre l'Occidente, tanto più che il presidente cinese Xi Jinping e l'establishment del partito comunista hanno stabilito di trasformare il paese in una potenza militare entro il 2050.

La riforma dell'Esercito di Liberazione è stata avviata nel 2015, perché la capacità bellica deve essere adeguata alla potenza economica; senza un forte esercito la crescita commerciale può essere a rischio, è la tesi di Pechino. La costruzione della futura rete infrastrutturale della Nuova Via della Seta sancirà anche l'esistenza di un impero commerciale e quando c'è una egemonia ci deve essere anche un esercito efficiente pronto a difenderla.

"Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di perdere e vincere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia". (Sun Tzu “ L'arte della guerra”).

Gli Stati Uniti e L'Unione Europea conoscono la Cina? Ma sopratutto conoscono se stessi?

 

Antonella Jacoboni è ricercatrice presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Perugiaantonella.jacoboni@unipg.it

* Nel precedente articolo “Donald Trump e la politica Usa dei dazi: l'avversario perfetto” ho scritto Ali Baba invece di Alibaba; mi scuso con i lettori.

 

 

Bibliografia

AA.VV. 2013  "Che mondo fa"  Limes Rivista di Geopolitica n.11, Gruppo Editoriale L'Espresso

AA.VV. 2014  "Cina Russia Germania Unite da Obama"  Limes Rivista di Geopolitica n.8, Gruppo Editoriale L'Espresso

AA.VV. 2017  “Cina Usa la sfida”  Limes Rivista di Geopolitica  n.1, Gruppo Editoriale L'Espresso