STUDI E RICERCHE

30 giugno 2012

Le imprese della provincia di Perugia non vedono ancora rosa

di Anna Cagnacci

 L’ufficio studi della Camera di Commercio di Perugia per analizzare lo stato di salute delle aziende perugine al persistere della crisi economica, ha monitorato l’economia provinciale, intervistando oltre 800 imprese della provincia, appartenenti ai principali settori di attività economica: agricoltura, manifatturiero, costruzioni, commercio e turismo, assicurando, inoltre, la rappresentatività del comparto artigiano. Nonostante il 2009 sia ormai riconosciuto come l’anno peggiore per l’economia italiana e per quella provinciale, il persistere della crisi fa percepire agli imprenditori come anno di maggiore difficoltà gli anni successivi, con un andamento che segue una progressione di tipo esponenziale. Il 2011, infatti, è indicato dalle imprese come l’anno di maggior sofferenza. Si passa dal 4% di imprese che indica come anno peggiore il 2008, al 59% di imprese che indica invece il 2011. La prolungata recessione tende a enfatizzare le criticità più recenti rispetto a quelle passate. Chiedendo, infatti, agli imprenditori un giudizio sui risultati della loro impresa nel periodo della crisi emerge che, complessivamente, la performance aziendale nel 2011 è giudicata insoddisfacente dal 53% del campione e addirittura disastrosa dal 16%. Riguardo al 2009, invece, ben il 53% delle imprese giudica i propri risultati buoni. Riguardo all’evoluzione della crisi e, in particolare, agli andamenti delle principali variabili economiche nel corso del 2011 un calo tendenziale del fatturato, contrapponendosi a poco più del 23% che segnala, invece, un incremento. Pertanto il saldo tra la percentuale di imprese che segnala una crescita e quelle che segnalano una flessione risulta negativo di ben venti punti percentuali. Se si analizza, invece, il solo fatturato estero, emerge che il 29% degli imprenditori segnala un decremento mentre, all’opposto, il 26% indica una crescita, evidenziando ancora una volta che soffrono maggiormente le imprese che si rivolgono al mercato interno, rispetto a quelle che riescono a esportare il proprio prodotto all’estero. L’occupazione è segnalata stabile dal 64% delle imprese, ma la flessione dell’organico dichiarata dal 28% del campione rappresenta un segnale di criticità per l’economia provinciale, che appare intensificarsi in corrispondenza delle imprese del turismo e delle costruzioni. Per fronteggiare l’eccesso di occupazione, le imprese hanno adottato soprattutto lo strumento più flessibile a loro disposizione, vale a dire la diminuzione delle ore lavorate. Un’impresa su quattro ha ridotto le ore di lavoro, con una percentuale che sale al 45% nel settore del turismo. La Cassa Integrazione Guadagni è stata utilizzata dal 16% delle imprese; com’è ovvio, soprattutto dal settore manifatturiero e dalle imprese con un numero di addetti oltre 50. Il ricorso ai licenziamenti ha coinvolto, invece, quasi il 12% del campione, con punte del 19% per l’edilizia e del 18% per il turismo. Ma l’occupazione non è l’unico problema che le imprese si sono trovate ad affrontare nel corso del 2011. La mancanza di liquidità ha portato le imprese a prolungare i tempi dei propri pagamenti: il 22% ha posticipato i pagamenti dei fornitori di beni intermedi e materie prime, il 16% del campione ha ritardato l’erogazione degli stipendi e, infine, il 13% ha allungato i tempi di versamento di tributi e contributi. Le imprese lamentano anche un aumento del costo degli approvvigionamenti e una conseguente contrazione dei margini di profitto, visto l’impossibilità di scaricare questi aumenti sul prezzo dei prodotti, a causa della stagnazione dei consumi. Per arginare gli effetti della crisi, tuttavia, delle imprese su tre ha adottato almeno una misura di contrasto. Le iniziative utilizzate dalle imprese possono essere distinte in due filoni: misure puramente reattive, dettate da contingenze sfavorevoli, oppure strategie più aggressive, orientate ai prodotti e ai mercati. Al primo filone appartengono: l’indebitamento presso le banche, segnalato dal 56% delle imprese, la compressione del margine di profitto, indicato dal 54%, fino ad arrivare alla riduzione del personale, adottata dal 33% del campione. Tra le azioni più aggressive di contrasto alla crisi si segnala l’adozione di innovazioni realizzate mediante il miglioramento del proprio prodotto, la ricerca di nuovi sbocchi per la produzione, realizzata attraverso l’individuazione di nuovi mercati o nuovi clienti, entrambe con una percentuale del 41%. Nonostante la percentuale elevata d’imprese che hanno realizzato innovazioni, se si analizzano complessivamente gli investimenti realizzati nel corso del 2011, emerge che quasi la metà delle imprese non ha effettuato alcun tipo di investimento e, tra quelle che li hanno realizzati, oltre la metà ha effettuato investimenti per un valore pari a quello del 2010. Soltanto il 16% ha investito in misura maggiore rispetto all’anno precedente; ma, in corrispondenza di questo valore medio, si riscontra una grande variabilità all’interno dei settori: agli estremi troviamo il manifatturiero, con la percentuale più alta, pari al 20%, e l’edilizia con il valore più basso. La maggior parte degli investimenti riguarda l’acquisto di impianti e macchinari (60%), ma non mancano investimenti in marketing e in formazione professionale. Tra le principali finalità per cui si realizzano investimenti le imprese indicano soprattutto il miglioramento del proprio bene o servizio per renderlo più competitivo e accrescere la propria quota di mercato (45%), la sostituzione di macchinari divenuti obsoleti (39%), l’aumento della capacità produttiva (37%), la riduzione dei costi (25%) e lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi (19%). Segnali di forte difficoltà da parte delle imprese emergono anche dall’analisi della situazione del credito. Nel biennio 2009-2010 il 54% del totale delle imprese intervistate ha avuto bisogno di richiedere un credito alle banche, mentre nell’ultimo anno la percentuale è salita di quattro punti percentuali, raggiungendo il 58% nel 2011. Quello che, tuttavia, è cambiato in misura consistente è il motivo per il quale le imprese hanno dovuto richiedere il credito. Prima del 2009 quasi la metà delle richieste era destinata alla realizzazione di investimenti mentre l’altra metà era utilizzata per far fronte a esigenze di cassa. Nel 2011 si è registrata una forte riduzione delle richieste di credito per realizzare investimenti, che si son fermate al 27%, mentre sono aumentate in modo significativo le richieste di credito legate alle esigenze di cassa, fino a raggiungere un valore medio provinciale del 65%, e arrivare addirittura all’84% in corrispondenza del settore delle costruzioni. Nel corso del tempo è variata in maniera consistente anche la percentuale di imprese che si sono viste accettare la richiesta di finanziamento da parte delle banche. La quota di imprese a cui è stato accordato il credito è passata dal 70% del biennio 2009/2010 al 54% del 2011. Parallelamente la percentuale di imprese che si sono viste rifiutare del tutto il credito è salita dal 6% del biennio 2009/2010 al 17% del 2011. Complessivamente quasi la metà delle imprese nel 2011 si è vista rifiutare totalmente o parzialmente la richiesta di credito: ciò significa che quasi il 50% delle imprese non ha avuto a disposizione la liquidità di cui aveva bisogno. E la situazione peggiora per le imprese più piccole: mentre per le grandi imprese la percentuale di rifiuto dei prestiti si attesta al 3%, per le imprese più piccole la percentuale arriva al 18%. Tra le imprese che avevano avuto approvata - parzialmente o interamente - una richiesta di credito, l’esigenza di ricontrattare tale finanziamento si è manifestata per un numero abbastanza elevato di imprese. Si va dal 25% di imprese che nel corso del biennio 2009/2010 hanno chiesto la ricontrattazione di un credito concesso prima del 2009, al 18% di imprese che hanno chiesto di ricontrattare un credito ottenuto nello stesso biennio 2009/2010. Infine le imprese che hanno richiesto la ricontrattazione per crediti chiesti e ottenuti nel corso del 2011 rappresentano il 20% del totale, facendo emergere le condizioni di forte criticità in cui si trova un quinto delle aziende costrette a rinegoziare il credito a pochi mesi di distanza dalla sua concessione. La situazione, sotto il profilo del credit crunch, è resa ancor più drammatica dal fatto che la percentuale di quanti si sono visti rifiutare la richiesta di ricontrattazione sale dal 28% per i crediti concessi nel biennio 2009/2010 al 43% per i crediti richiesti nel corso del 2011. E le previsioni che gli imprenditori fanno sulla situazione economica non sono incoraggianti. Il primo dato che emerge è che l’88% delle imprese ritiene che la crisi durerà ben oltre il 2012: in particolare, il 42% ritiene che possa esaurirsi in due anni, mentre il 46% pensa che si prolungherà oltre questo intervallo di tempo. Ma quali sono gli andamenti previsti dagli imprenditori per le principali variabili economiche? L’occupazione nel corso del 2012 è prevista in riduzione da quasi il 40% delle imprese. L’aspettativa di un calo del fatturato è indicata addirittura da tre imprenditori su cinque. Qualche segnale positivo si registra per l’export: le imprese che prevedono un aumento del fatturato estero, infatti, sono maggiori di quelle che prevedono una riduzione, con un saldo positivo che si attesta a +5. La liquidità delle imprese nel corso del 2012 è segnalata in riduzione dal 71% delle imprese, a fronte di appena un 4% che segnala una crescita. Riguardo, invece, all’esposizione debitoria, mentre la metà delle imprese si aspetta una situazione di stabilità nel corso del 2012, ben il 43% prevede un peggioramento della propria posizione debitoria. Ma quali sono gli ostacoli che, secondo gli imprenditori, impediscono la ripresa economica e il superamento della crisi? La pressione fiscale è l’ostacolo che occupa il primo posto della graduatoria, con un punteggio pari a 4,8, quasi il massimo se si considera che gli imprenditori potevano assegnare agli ostacoli che ritenevano più importanti un voto massimo pari a cinque punti. Il secondo posto è occupato dall’eccesso di burocrazia, che registra un punteggio pari a 4,6, e, con un punteggio poco inferiore, troviamo l’elevato costo del lavoro (4,4) al terzo posto e le difficoltà del credito (4,2) al quarto. E quali rimedi indicano gli imprenditori per superare la crisi? Nella graduatoria delle azioni da adottare per contrastare la crisi al primo posto si trova la riduzione della pressione fiscale, indicata da quasi il 90% delle imprese. Al secondo posto, indicato da tre imprese su cinque, troviamo il contrasto all’evasione fiscale che ormai anche tra gli imprenditori è visto come uno strumento essenziale per riportare il nostro Paese a livelli di maggiore equità e competitività. La “riforma dell’articolo 18”, che continua ad animare il dibattito politico del nostro paese, non sembra riscuotere l’interesse degli imprenditori. Pur essendo presente tra le opzioni che potevano essere indicate dalle imprese come rimedi possibili al superamento della crisi, la riforma dell’articolo 18 è stata ignorata dalle imprese più piccole, com’era prevedibile, ma è stata considerata poco anche dalle imprese di maggiore dimensione, giacché nella graduatoria stilata delle imprese con oltre 49 dipendenti appare soltanto al nono posto. Sono altre le azioni che si devono adottare per avviare quella ripresa che nel nostro Paese tarda ad arrivare, mettendo a dura prova la capacità di resistenza delle imprese.

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