STUDI E RICERCHE

Come riparare i danni provocati dalla pandemia

Di fronte ai notevoli costi umani, sociali ed economici che già stiamo contando, in un clima di grandi tensioni e responsabilità, la partita si gioca sulla riduzione delle diseguaglianze

di Antonella Jacoboni

 

La pandemia provocata dal COVID-19 ha colto di sorpresa il mondo e i capi di stato hanno dovuto prendere decisioni impensabili come il confinamento, il “lockdown”. La sospensione di molte attività manifatturiere e del terziario ha provocato notevoli costi umani, sociali ed economici  in un clima di grandi tensioni e responsabilità.

Usciremo da questo momento storico con un forte ridimensionamento. Che fare?

R. Carvalho de Azevêdo, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha detto che “nessuno sarà immune” ed ha auspicato che non ci sia un’inversione della internazionalizzazione degli scambi e un capovolgimento della globalizzazione. Siamo di fronte ad uno shock che non ha precedenti nella storia contemporanea e per rimettere in moto la crescita, e tornare ai livelli pre-crisi, è necessario che gli Stati ritrovino la fiducia. “La cosa più difficile sarà convincerli che siamo di nuovo in carreggiata”.

“Gli uomini non sono prigionieri del loro destino, ma solo prigionieri delle loro menti” disse F. D. Roosevelt, il presidente americano del New Deal.

Secondo le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale la contrazione annuale dell'economia mondiale sarà del 4,9% quest'anno, mentre quella dell'Unione Europea a 27 dovrebbe essere di circa un 10% nel 2020 e di un  ulteriore 6% nel 2021. Lo shock per l'UE è simmetrico, poiché l'epidemia ha colpito il Pil di tutti gli stati membri, anche se in modo diverso: Germania -7,8%, Francia -12,5%, Italia -12,8 e Spagna -12,8% (dati Fondo Monetario Internazionale, agosto 2020), anche se poi i dati dovranno essere confermati dalla realtà.

Il presidente della Federal Reserve System (FED), J. Powell, ha affermato che il futuro economico degli Usa è incerto, nonostante le misure straordinarie attuate dalla banca centrale, e si avrà una diminuzione di circa l' 8%, alla quale seguirà un +4,7% nel 2021”.

Per la Cina la crescita del Pil sarà quest’anno di circa +2%, trainata più dai consumi interni che dalle esportazioni. Gli indicatori relativi a produzione industriale, vendite al dettaglio e investimenti fissi, indicano che la flessione dell’economia cinese nel primo trimestre del 2020 dovrebbe essere stata del 8% su base annua (dati Fondo Monetario Internazionale, giugno 2020).

Secondo il WTO questo anno il commercio internazionale potrebbe avere un calo variabile intorno al -9%,  con un recupero del +7,2% nel 2021, che dipenderà dalla durata dell'epidemia e dalle politiche di risposta dei singoli governi all'emergenza. Le esportazioni più colpite sono state quelle del nord America con un - 24,5% e dell'Europa -21,8%, mentre le importazioni in nord America sono diminuite del 14,5 % e quelle europee del 19,3%, ma tutte le aree del pianeta  hanno  sofferto una contrazione a doppia cifra con gravi ripercussioni per le imprese e le famiglie (dati World Trade Organization, settembre 2020 ).

Secondo la OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) andranno persi circa 25 milioni di posti di lavoro nel mondo.

Per quanto riguarda l'Asia le esportazioni sono state circa - 6,1% e le importazioni -l 7,1% (World Trade Organization, settembre 2020).

Il commercio tra la Cina e il resto del mondo nei primi tre mesi del 2020 ha segnato un -6,4%, l’interscambio con Usa, Unione Europea e Giappone è diminuito rispettivamente del 18,3%, del 10,4% e del 8,1%, mentre quello con i paesi aderenti alla  Nuova Via della Seta è aumentato di un + 3,2%; questo ci fa capire l'importanza di tale rete infrastrutturale che espande e moltiplica il commercio della Repubblica Popolare (dati Agi China 2020).

Il commercio mondiale sta svolgendo un ruolo fondamentale, perché permette  lo scambio  di prodotti alimentari e di forniture mediche indispensabili per la sopravvivenza di molte popolazioni. Un rischio potrebbe  essere quello del diffondersi di politiche protezionistiche, mentre la cooperazione internazionale è indispensabile per sconfiggere la pandemia.

Il crollo degli scambi internazionali provocato dall'emergenza sanitaria è avvenuto in una situazione di preesistente fragilità nella costruzione dell'integrazione economica mondiale, in cui gli Usa hanno giocato un ruolo importante. La globalizzazione ha favorito l'affermazione di nuove potenze commerciali che  minano la supremazia di Washington che ha reagito con misure protezionistiche; le tensioni commerciali con la Cina hanno causato nel 2019 un rallentamento del tasso di crescita del commercio mondiale.

L'Organizzazione Mondiale del Commercio non è stata capace di adeguarsi a queste nuove realtà e l'Unione Europea, che rappresenta circa il 30% degli scambi internazionali di merci, non sembra aver assunto alcuna iniziativa in tal senso. 

L'Italia è un paese con una economia in difficoltà  e con un grande debito pubblico attualmente pari a 2.560 miliardi di euro mentre a fine 2019 era di 2.410 miliardi. (dati Banca d'Italia, 15 settembre 2020).

A preoccupare è il futuro, visti i pesanti contraccolpi causati dall'emergenza coronavirus che può accentuare le disuguaglianze già in atto nel nostro paese e che stanno provocando un lento e continuo assottigliamento del ceto medio e quindi una caduta generalizzata dei consumi in una situazione di generale stagnazione.

Il rapporto  del 17 ottobre 2020 della Caritas “Covid e povertà” ci indica che la pandemia in Italia ha aumentato il numero dei nuovi poveri che per la prima volta si sono presentati ai centri di ascolto, in particolare famiglie con minori, giovani e donne che sono scivolati dal precariato lavorativo alla disoccupazione. Le percentuali sono passate dal +31%  del 2019 al +45%  nell'arco temporale maggio-settembre 2020.

Secondo l'Istat gli occupati nel 2° trimestre 2020 sono diminuiti di circa 841 mila unità rispetto allo stesso periodo nel 2019.

Il commercio internazionale ha un ruolo fondamentale per l'economia italiana, le esportazioni hanno fatto da traino al sistema produttivo insieme alle importazioni in un paese privo di materie prime e con poche risorse energiche; sono una componente fondamentale  per molte aziende rimaste vitali grazie ai mercati esteri. Nel 2019 le esportazioni valevano il 31,7% del nostro Pil.

L'integrazione europea, in particolare l'abolizione dei dazi doganali intra-UE, gli scambi commerciali globali, i processi produttivi internazionalizzati hanno sostenuto la crescita e l'espansione di  molte realtà italiane negli ultimi anni.  

Nel 2019 il nostro interscambio commerciale complessivo è stato di circa 899 miliardi di euro, con un attivo pari a circa 53 miliardi di euro, e le quote di mercato dell'Italia su export ed import  mondiale sono state rispettivamente del 2,8% e del 2,6 (dati Osservatorio economico MAECI   settembre 2020). Tra marzo ed aprile 2020 le esportazioni italiane sono diminuite del 45,8% e le importazioni del 32,3%; a maggio c'è stata una netta ripresa dell'export soprattutto verso paesi intra UE (dati Istat 29 luglio 2020), che non compensa quanto perduto. L'utilizzo dei fondi del Recovery Fund  potrebbe essere una occasione storica per modernizzare  e digitalizzare le piccole e medie imprese italiane che assicurano la metà delle esportazioni.

La diffusione della  pandemia provocata dal COVID-19 ha fatto emergere in modo drammatico la crisi già in atto del multilateralismo. La ripresa economica mondiale dipenderà dalla cooperazione internazionale, ma anche dalla volontà di correggere gli squilibri provocati da una  globalizzazione che ha creato disuguaglianze e di conseguenza  il rinascere di egoismi nazionalistici.

“Nessuno si salva da solo” ha detto Papa Bergoglio, rivolgendo un appello alla popolazione mondiale, ma anche un monito politico ad un Occidente in declino.

Questo è il tempo della solidarietà.

La scrittrice belga M. Yourcenar nel suo libro “Memorie di Adriano”  fa dire all'imperatore romano:  “fino ad oggi tutti i popoli sono periti per mancanza di generosità: Sparta sarebbe sopravvissuta più a lungo se avesse interessato gli Iloti alla sua sopravvivenza”. 

Nel 2019 nel mondo 2.153 miliardari detenevano da soli la ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale (dati Rapporto Oxfam 2020) e circa 740 milioni di uomini

vivono ancora oggi con meno di 1,9  dollaro al giorno (dati Banca Mondiale 2020).

L'Unione Europea, se vuole essere considerata un insieme di stati lungimiranti e non una finzione di stati lungimiranti, deve avere la lucidità di capire che in un mondo globalizzato e tecnologicamente interconnesso la diminuzione delle disuguaglianze ed una equa ridistribuzione delle risorse sono condizioni essenziali per uno sviluppo sociale ed economico duraturo. Una economia sana è la base  degli  scambi commerciali internazionali.

Il presidente F.D. Roosevelt: “il vero banco di prova per il nostro progresso non è tanto se riusciamo a far crescere l'abbondanza di coloro che già hanno troppo, ma piuttosto consiste nel cercare di fornire abbastanza a coloro che hanno troppo poco”.

L'Unione Europea può svolgere un ruolo centrale ed essere da esempio. Le 27 nazioni che hanno liberamente scelto di condividere il progetto europeo devono essere consapevoli che tale progetto era ed è solidaristico sin dall'origine: “l'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino innanzitutto una solidarietà di fatto”, Dichiarazione Shuman del 9 maggio 1950.


Su questa linea  è stato progettato il  Recovery Fund per riparare i danni provocati dalla pandemia e per gettare le fondamenta di una Unione più moderna e forse più solidale. Come disse J.M. Keynes “si dovrà abbandonare l’idea che la giustizia sociale sia un male, e l’ingiustizia una cosa utile per l’economia”.

La pandemia è un evento inaspettato che ci costringe a riflettere sul tipo di società che abbiamo costruito: “la civiltà non ha cancellato la barbarie, l'ha resa più raffinata e crudele” (Voltaire).

 

 

* Antonella Jacoboni è ricercatrice presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Perugia | antonella.jacoboni@unipg.it