STUDI E RICERCHE

30 giugno 2012

Anche con la crisi, longevità punto di forza delle imprese perugine

di Davide Castellani

È noto come la provincia di Perugia si caratterizzi per un gran numero di imprese, spesso di piccole e piccolissime dimensioni, come testimoniato da un numero di imprese registrate per mille abitanti tra i più alti d’Italia, che nell’ultimo decennio si è attestato costantemente su valori superiori a 110. Questa vitalità imprenditoriale è certamente determinata da una certa vocazione alla creazione d’impresa, condivisa con altre regioni dell’Italia centrale come Marche e Toscana, ma anche da una certa longevità, testimoniata da una dinamica delle cessazioni di impresa tra i più bassi d’Italia. L’impennata nelle cessazioni registrata nel 2011 segue un anno molto positivo, e riporta il tasso di cessazioni ai valori del 2009, e comunque al di sotto dei valori del 2001. Partendo da queste osservazioni, una ricerca condotta dal Dipartimento di Economia, Finanza e Statistica, per conto della Camera di Commercio, ha approfondito il tema della longevità delle imprese della provincia di Perugia, attraverso una analisi statistica basata su 37.641 imprese registrate nel 2001 presso le Camere di Commercio di Marche, Toscana e Umbria. La Toscana è la regione con il maggior numero relativo di uscite. Infatti, a fronte di un numero di imprese pari al 65,8%, le imprese cessate sono il 68,2%. Viceversa, in provincia di Perugia si trova un numero proporzionalmente minore di imprese cessate, rispetto a quelle sopravvissute. Non sorprende che la grande maggioranza di imprese siano ditte individuali (66,7%) e che queste abbiano una maggiore probabilità di cessare l’attività. Infatti, le ditte individuali rappresentano l’81.4% delle imprese cessate e solo il 53% delle imprese attive. Viceversa, le società di capitali pesano per il 25,7% delle imprese rimaste in attività, ma appena l’8,9% delle imprese cessate. Per quanto riguarda i settori di attività economica, oltre tre quarti delle imprese operano nei servizi (78.1%), mentre il 13,2% è attiva nell’industria, e l’8,7% in Agricoltura. Queste ultime sono particolarmente rappresentate tra le imprese che sopravvivono, mentre per converso, le imprese dell’industria hanno una probabilità di cessare l’attività sensibilmente più alta. La crisi finanziaria ha certamente determinato un aumento nel numero di cessazioni di impresa, e ha quindi influenzato la longevità delle imprese. La ricerca ha analizzato come la probabilità di sopravvivenza delle imprese, iscritte alle Camere di Commercio nel 2001, e ancora attive al 1 settembre 2008, cambia nei mesi successivi all’esplosione della crisi finanziaria e della successiva fase recessiva dell’economia italiana e mondiale. La Figura 1(a) rappresenta la probabilità di sopravvivenza delle imprese in funzione del tempo (sull’asse orizzontale è indicato il numero di mesi) a partire da settembre 2008. La probabilità di sopravvivenza delle imprese ha un primo leggero salto tra i 4 e 6 mesi dopo il fallimento di Lehman-Brother (che, ricordiamo, è avvenuto il 15 settembre 2008), ovvero nei primi mesi del 2009. Un secondo momento di significativa discontinuità si ha tra i mesi 16 e 18, ovvero nei primi mesi del 2010, quando la probabilità di sopravvivenza è caduta di oltre due punti percentuali. Infine, dai primi mesi del 2011 si osserva una maggiore pendenza della curva a segnalare un aumento costante nel tasso di cessazione delle imprese. In questo contesto, la dinamica della sopravvivenza di impresa nella provincia di Perugia, in una prima fase ha seguito quella delle altre province ma, come evidenziato dalla Figura 1(b), dall’inizio del 2010 rimane costantemente al di sopra delle altre. Le province più colpite dalla crisi sembrano essere quelle delle Marche e la provincia di Terni, che all’inizio del 2010 registrano un crollo nella probabilità di sopravvivenza tra i 3 e i 4 punti percentuali. La crisi ha inciso in maniera leggermente diversa sulla mortalità di imprese operanti in settori diversi. Particolarmente rilevanti appaiono l’aumento della probabilità di cessazione per le imprese in alcuni comparti dei servizi (che includono i servizi alla persona, i servizi d’ufficio e di riparazione) e nell’industria. Nella provincia di Perugia però l’industria manifatturiera ha subito meno rispetto quanto avvenuto nelle altre province. Per quanto riguarda invece le forme giuridiche, le società confermano, anche durante la crisi, la maggiore probabilità di sopravvivenza. In particolare, sembrano risentire meno rispetto alle ditte individuali, dello ‘shock’ negativo dei primi mesi del 2010. Per le ditte individuali, i dati consentono di evidenziare come diverse caratteristiche soggettive degli imprenditori, come il genere, l’età e la nazionalità, si riflettono nella longevità delle imprese. In particolare, le imprese ‘femminili’ hanno reagito in maniera leggermente più accentuata nei momenti di discontinuità. Una possibile spiegazione potrebbe risiedere in una minore propensione al rischio, che potrebbe aver spinto una quota maggiore di imprenditrici a cessare l’attività all’alba della crisi. La maggiore propensione al rischio potrebbe invece essere all’origine della maggiore probabilità di sopravvivenza degli imprenditori ‘under-45’. Infine, a differenza di quanto avveniva sull’intero arco temporale 2001-2011, la probabilità di sopravvivenza delle ditte individuali intestate a imprenditori stranieri si allontana in modo significativo da quella delle ditte intestate ad imprenditori italiani. Questa divaricazione ha inizio nei primi mesi del 2010 e si accentua nella seconda metà del 2011. Questa maggiore probabilità di cessare l’impresa durante la crisi, potrebbe essere legata a maggiori difficoltà nell’accesso al credito da parte degli imprenditori stranieri. Va rilevato che la probabilità di sopravvivenza delle imprese perugine rimane sempre superiore a quella delle altre province anche sezionando il campione per appartenenza settoriale, forme giuridiche e caratteristiche degli imprenditori. In conclusione, questa ricerca ci restituisce l’immagine di un sistema imprenditoriale, quello della provincia di Perugia, caratterizzato da una notevole longevità. Anche controllando per la diversa propensione alla sopravvivenza determinata dalle caratteristiche del settore di appartenenza, della forma giuridica utilizzata, e di caratteristiche soggettive dell’imprenditore (quali il genere, l’età e la nazionalità), le imprese perugine (specie le ditte individuali) mostrano una probabilità di sopravvivenza sistematicamente superiore a quelle marchigiane, toscane e ternane. Questa resilienza e longevità si conferma anche durante la crisi economico-finanziaria, iniziata alla fine del 2008. Questi sono sicuramente segnali positivi, che aiutano a porre nella giusta prospettiva anche dinamiche congiunturali negative. Tuttavia, è fondamentale comprendere meglio le ragioni alla base di questa performance. L’analisi svolta in questo lavoro tende ad escludere che questa maggiore longevità sia da attribuire ad una peculiare specializzazione settoriale, alla forma giuridica, o a caratteristiche soggettive (osservabili) degli imprenditori. Rimangono però importanti aspetti che con i dati utilizzati dal presente studio non possono essere indagati in profondità. In particolare, resta da comprendere in che misura la maggiore longevità delle imprese perugine sia da attribuire a migliori performance (ad esempio in termini di produttività e redditività), che consentono quindi a queste imprese di restare sul mercato più a lungo, o piuttosto al fatto che queste imprese riescono a operare in segmenti di mercato relativamente protetti, in cui i meccanismi di selezione competitiva agiscono con meno forza. Quest’ultima interpretazione è coerente con altri risultati di ricerche recenti condotte al Dipartimento di Economia, che mostrano come le medie imprese della provincia di Perugia riescano a mantenere tassi di redditività soddisfacenti, pur con livelli di produttività relativamente bassi.

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