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31 dicembre 2011

Sottocapitalizzazione aziendale: problemi e debolezze

di Paolo Fratini

La problematica della sottocapitalizzazione, termine che sta ad indicare la larga prevalenza dei debiti rispetto al capitale proprio delle imprese, è da diverso tempo tematica fortemente sentita a livello nazionale. Analizzando i bilanci delle PMI, si riscontra una composizione delle fonti di finanziamento eufemisticamente non ottimale, da una endemica sottocapitalizzazione a gravi asincronie temporali tra fonti ed impieghi. Con riferimento al primo aspetto, le principali ragioni che hanno portato negli anni alla preoccupante sottocapitalizzazione delle PMI sono di seguito sintetizzate: - la convenienza economica per l’imprenditore a finanziare la società contraendo debito e deducendo dal reddito interessi o sottoscrivendo obbligazioni piuttosto che capitale in ragione del più favorevole regime fiscale. Peraltro, negli La problematica della sottocapitalizzazione, termine che sta ad indicare la larga prevalenza dei debiti rispetto al capitale proprio delle imprese, è da diverso tempo tematica fortemente sentita a livello nazionale. Analizzando i bilanci delle PMI, si riscontra una composizione delle fonti di finanziamento eufemisticamente non ottimale, da una endemica sottocapitalizzazione a gravi asincronie temporali tra fonti ed impieghi. Con riferimento al primo aspetto, le principali ragioni che hanno portato negli anni alla preoccupante sottocapitalizzazione delle PMI sono di seguito sintetizzate: - la convenienza economica per l’imprenditore a finanziare la società contraendo debito e deducendo dal reddito interessi o sottoscrivendo obbligazioni piuttosto che capitale in ragione del più favorevole regime fiscale. Peraltro, negli anni tutti gli strumenti del legislatore fiscale atti a ridurre il fenomeno della sottocapitalizzazione si sono rivelati inefficaci (1); - l’atteggiamento imprenditoriale volto a separare il patrimonio personale da quello aziendale per metterlo al riparo dai rischi connessi all’attività imprenditoriale; - l’attuazione nel corso degli anni di politiche di bilancio volte a ridurre la base imponibile ed il conseguente carico fiscale con inevitabile realizzazione di “utili fuori bilancio” che, da un lato consentivano l’accrescimento del patrimonio personale dei soci, ma dall’altro non potevano per evidenti ragioni essere reintrodotti in azienda. Da uno studio condotto dallo scrivente (2) sui bilanci delle società di capitali umbre nel triennio 2007-2009, sono emersi dati poco rassicuranti relativamente al livello di capitalizzazione delle stesse. Sono stati rilevati, infatti, valori del rapporto debiti/patrimonio netto a doppia cifra (come per esempio nei settori delle costruzioni, della fornitura di energia elettrica o del trasporto e del magazzinaggio), sintomo di una situazione patologica che difficilmente può essere sopportata a lungo dalle aziende, attanagliate dal sempre più oneroso costo dell’indebitamento. La preoccupazione maggiore scaturisce dal fatto che generalmente sono le classi dimensionali più numerose ad accusare una peggiore situazione di sottocapitalizzazione; è il caso, ad esempio, del settore delle attività manifatturiere che nel 2009 ha fatto registrare un valore della mediana del rapporto debiti/patrimonio netto pari al 4,85% per la provincia di Perugia e 6,49% per quella di Terni, oppure quello del settore delle costruzioni che ha visto trend dell’indice in crescita, sempre nelle classi dimensionali numericamente più consistenti. In tale settore, tuttavia, si è rilevata una lieve riduzione del valore del rapporto nel passaggio tra il 2008 ed il 2009. Con un buon grado di certezza, tale variazione deve essere interpretata alla luce della rivalutazione ex lege 2/2009 (D.L. 185/2008) dei beni immobili diversi dai beni merce che molte imprese hanno effettuato nell’anno 2008 e che, quindi, ha determinato un aumento del valore del patrimonio netto, come contropartita dell’incremento di valore dell’asset rivalutato. La problematica della sottocapitalizzazione si ripercuote peraltro sul costo medio dell’indebitamento in quanto “la società sottocapitalizzata sconta grandi difficoltà nel ricorso al debito, posto che difficilmente incontra la disponibilità a vedersi concesso credito da soggetti terzi, che individuano con relativa facilità nel capitale sociale limitato un indice di scarsa affidabilità, come si è detto, di rilevanza primaria, sebbene non esclusiva”. (3) Appare evidente che un elevato rapporto debiti/patrimonio netto è elemento di rischiosità per il finanziatore di non veder rimborsato il proprio credito e che, proprio per compensare tale rischio sarà disposto ad erogare finanziamenti a tassi elevati. Gli effetti della sottocapitalizzazione sulla rischiosità e redditività aziendale, devono essere valutati congiuntamente alle cause che possono determinare una variazione significativa del ROI al punto da portarlo a valori inferiori rispetto al costo medio dell’indebitamento o addirittura negativi. In altre parole, finanziarsi con capitale di terzi significa esporsi al rischio che il costo medio dell’indebitamento sia superiore al rendimento delle attività. Se ciò spesso non è avvenuto nel passato, potrebbe in periodi attuali facilmente verificarsi, per la riduzione del ROI a seguito della crisi e per il generalizzato aumento del costo dell’indebitamento. In quest’ottica va esplicitato all’imprenditore il concetto di rischio operativo legato al rapporto tra costi fissi e costi variabili, ove un elevato rapporto determina un rilevante impatto delle variazioni del fatturato sul risultato operativo. Va quindi avviato un confronto con l’imprenditore volto ad individuare la rischiosità complessiva aziendale, evidenziando che, strutture patrimoniali caratterizzate da elevati livelli di capitale di rischio possono essere sostenibili, solo a fronte di una presunta stabilità del ROI tipica, a parità di altri fattori, di una struttura operativa flessibile, che si riflette del resto anche sul ROE. Tali grandezze sono infatti legate dalla seguente relazione: R.O.E. = [R.O.I. + (R.O.I. – C.M.I.) D/P.N.] (4) Dove: C.M.I. = costo medio dell’indebitamento D = ammontare complessivo dei debiti P.N. = patrimonio netto Sensibilizzato quindi l’imprenditore ad investire in capitale di rischio, sia per riequilibrare la struttura patrimoniale, sia per sostenere espansioni del fatturato, (5) che per far fronte all’aumento dei crediti in funzione dell’allungamento dei tempi di incasso, è necessario procedere nella fase di valutazione della coerenza temporale tra fonti ed impieghi, tematica che esula dagli argomenti trattati in questo scritto.

 NOTE

(1). Tale giudizio vale sia per il medesimo impatto riconducibile al sistema fiscale legato alla non distribuzione di utili realizzati (DUAL INCOME TAX), tanto per le norme di limitazione alla deduzione degli interessi passivi.

(2). P. Fratini (a cura di) (2011), “Osservatorio sulle società di capitale – L’analisi dei dati di bilancio delle società di capitale umbre (2007 – 2009)”, ne “I Quaderni di Unioncamere n. 35”.

(3). E. Raso e G. Bitetti, “Brevi riflessioni in ordine al “finanziamento soci” nelle società di capitali”, in Impresa Commerciale Industria n. 3 del 31.03.2007, pag. 440.

(4). A parere di chi scrive, appare più significativo ignorare la variabile fiscale prevista nella formula: ROE = [ROI + (ROI – CMI)]* D/PN]* (1-T) Dove T = aliquota d’imposta In relazione al fatto che progressivamente si è assisto ad un progressiva differenziazione dei valori del risultato ante imposte e della base imponibile IRPEG prima ed attualmente IRES, senza considerare che non è ravvisabile alcuna similitudine in merito alle grandezze del risultato ante imposte e della base imponibile IRAP. Inoltre l’imposizione IRES è assente nella tassazione per trasparenza ed ancora, il rendimento del patrimonio netto è comunque un rendimento al lordo delle imposte in caso di distribuzione.

 (5). Cfr. in tal senso Mario Mustilli “Il modello di crescita sostenibile” in Sergio Sciarelli “il sistema d’impresa. Strategie, politiche e tecniche di gestione dell’impresa industriale” pag. 526 CEDAM 1991