RACCONTAMI L'UMBRIA

Storia e recupero di un antico vitigno autoctono dell’Umbria: il Grero di Todi

Articolo partecipante sezione Mestieri, Imprese e Prodotti Raccontami l'Umbria 2017

di Emanuela De Pinto

Storia e recupero di un antico vitigno autoctono dell’Umbria: il Grero di Todi/Parte1

 

Dall’Istituto Ciuffelli di Todi un lungo lavoro di indagine che ha portato all’iscrizione nel Registro nazionale delle varietà di vite da vino il vitigno autoctono di Todi, il Grero. Dai primi documenti datati 1893 alla ricerca di un nome nuovo: 4 anni di analisi e sperimentazioni.

 

Cosa rende una bottiglia di vino unica e preziosa? La storia del luogo che custodisce. Finalmente, dopo anni di rincorse ai grandi vitigni ‘internazionali’ di stampo francese lo abbiamo capito. E gli addetti del settore – enologi, viticoltori, imprenditori del vino, cantinieri, agronomi, giornalisti e comunicatori – stanno lavorando alla riscoperta e alla promozione dei vitigni autoctoni dell’Umbriache possono rappresentare la novità e il valore aggiunto sul mercato. Percorre proprio questa strada anche l’ultima fatica dell’Istituto Agrario Ciuffelli: un’accurata indagine, durata circa quattro anni a partire dal 2005, sul vitigno autoctono ‘Grero’ di Todi, che è stata presentata al pubblico sabato 26 novembre, grazie all’organizzazione di Gilberto Santucci, direttore dell’Azienda Agraria Montecristo dell’istituto. La folta documentazione va dalla ricerca storica alle sperimentazioni in cantina, fino alle approfondite analisi organolettiche e sensoriali: tutto ciò ha portato il Grero all’iscrizione nel Registro nazionale delle varietà di vite da vino, con decreto del 22/04/2011. Aprendo un nuovo, seppure ancora piccolo, mercato di appassionati produttori e consumatori.

 

LE ORIGINI STORICHE

Sono tre i documenti che attestano quanto questo vitigno fosse presente già tempo addietro sul territorio di Todi, come documentato dal Prof. Alberto Palliotti del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali dell’Università di Perugia. La prima traccia è datata 1893 ed è una citazione sull’Annuario generale per viticoltura ed enologia, dove un certo Baldeschi, nel capitolo ‘I vitigni e i vini dell’Umbria’ scrive che una delle uve nere coltivate in Umbria, precisamente a Todi, Città di Castello ma anche a Rieti, era il ‘Greco’. La seconda citazione si trova nella Miscellanea dei primi del ‘900, quando Bertazzoni scrive nel suo lavoro sulla resistenza dei vitigni umbri all’oidio e alla peronospea, che “il Greco Nero mostra una certa resistenza all’oidio di 4/10 e come, durante la fioritura, in annate eccezionalmente fredde e piovose, i fiori subiscano tanto la colatura che l’aborto”. La terza citazione storica è una tesi di laurea del dottor Fausto Mauro Pongelli, datata 1946-47, dal titolo ‘I sistemi di allevamento e di potatura della vite nel territorio di Todi’ e in cui viene citato proprio il Greco Nero fra le varietà coltivate in preferenza.

 

MA IL GRECO NERO ESISTEVA GIA’…

Quindi, questo vitigno era presente da lungo tempo in Umbria, seppure con un nome improprio. Esisteva, infatti, già un altro vitigno italiano con lo stesso titolo, ma con caratteristiche diverse. Il vitigno omonimo è quello coltivato in Calabria, nelle province di Catanzaro e Crotone, ed è da tempo iscritto al Registro nazionale delle varietà di Vite (codice 99). La ricerca umbra è andata allora avanti puntando ad evidenziare tutte le differenze organolettiche tra i due vitigni. Di fatto, quello umbro era un ‘nuovo’ vitigno ancora non dichiarato ufficialmente tra gli autoctoni dell’Umbria, erroneamente denominato ‘Greco Nero’ in passato, e sul quale nessuno aveva mai svolto un’approfondita indagine.

 

 

IL ‘GRERO’ RICONOSCIUTO VITIGNO AUTOCTONO DI TODI

Cosa occorreva per veder riconosciuto al ‘Greco Nero di Todi’ citato sulle vecchie carte, il titolo ufficiale di vitigno autoctono umbro, o meglio di Todi? Un vitigno può definirsi autoctono “solo se ottenuto localmente da incroci naturali adattati nel tempo”, ha spiegato il Prof. Palliotti. Pertanto serviva il capostipite, la pianta madre, trovata nel febbraio 2009 in località Romazzano, piccola frazione di Todi: età oltre 120 anni, diametro del tronco 37 centimetri. L’indagine, iniziata nel 2005, ha seguito tutto un iter procedurale e di ricerca che contiene analisi ampelografica del vitigno, analisi molecolare a mezzo microsatelliti, indagini agronomiche nel quadriennio 2005/2008, vinificazioni ed analisi chimico, fisiche e sensoriali, dossier con tutti i dati e la domanda per l’iscrizione del vitigno nel Registro Nazionale, con il nome esatto. E quale? L’affannosa ideazione è stata opera del Prof. Palliotti e del dottor Stefano Galiotto, partendo dalle fonti storiche che citavano il Greco Nero. Prendendo le desinenze iniziali e finali dei due nomi, si è arrivato alla denominazione di ‘Grero’. E così, con il suo corretto e nuovo nome, il vitigno è entrato ufficialmente nei registri dei vitigni italiani, prima a livello nazionale nel 2011 come già detto, e poi anche nel ‘Registro regionale delle risorse genetiche autoctone vegetali della regione dell’Umbria’, nel 2014, che contava già in quel 16% dei vitigni autoctoni dell’Umbria il Grechetto (1.162 ha), il Sagrantino (850 ha) e il Trebbiano Spoletino (circa 60 ha). (Segue la Seconda parte)

 

Grero: il rosso di Todi che porta in tavola leggerezza e bevibilità/Parte2

Le analisi sul vino prodotto da uve Grero mostrano un’elevata quantità di polifenoli, antiossidanti e antinfiammatori naturali. Camilli (Ais): “Nota acida e tannini equilibrati lo rendono adatto alla cucina di tutti i giorni”.

 

CARATTERISTICHE CHIMICHE, SENSORIALI E “SALUSTISTICHE” DEL GRERO

Ma una volta appurato che si trattava di un vitigno autoctono, il punto era: il Grero di Todi è capace di fornire vini di qualità? Anche su questo il lavoro è stato lungo e meticoloso. La ricerca è stata affidata ad Analysis, il laboratorio di ricerca del Parco tecnologico Agroalimentare dell’Umbria che si occupa della certificazione Doc e Docg e dell’esportazione nei paesi esteri. Gli studi sono stati presentati dal professor Roberto Luneia. In particolare, la comparazione con il Brunello ha dato significative differenze. Innanzitutto, leggiamo nel dossier, “la gradazione alcolica del Grero, mediamente pari a 12,4% è superiore di oltre 1,2% rispetto al Sangiovese. Inoltre, dal confronto è emerso che il vino prodotto dalle uve di Grero mostra una decisa superiorità nel contenuto sia in antociani totali, gli antiossidanti dell’uva, con concentrazioni quasi triplicate, cui fa seguito un’ottima intensità colorante (superiore a 22 punti di colore), che in tannini totali, espressi sia come concentrazione assoluta (+12%) che come percentuale sui composti fenolici totali (+4,4%)…”. Infine, “il vino prodotto dalle uve Grero è risultato caratterizzato da alte concentrazioni di malvidina monoglucoside, quasi triplicata rispetto al Sangiovese. Ciò sottolinea un’alta stabilità all’ossidazione degli antociani”, che hanno un elevato effetto antinfiammatorio

sul nostro organismo. Ovviamente nelle giuste dosi. E ancora: “Nei vini prodotti con le uve Grero spiccano le note cromatiche di rosso rubino e riflessi violacei risultate particolarmente intense. Equilibrate le intensità di amaro, astringenza e corpo, caratteristiche legate alla presenza del patrimonio fenolico. Buona anche la nota acida, che conferisce una certa freschezza al vino”. “Al gusto il vino del vitigno Grero in purezza, presenza un certo equilibrio: sicuramente pieno, leggermente amarognolo e comunque dotato di struttura equilibrata”. Unica nota dolente rispetto al Sangiovese è che il Grero presenta, a parità di condizioni ambientali e di gestione, una produttività delle piante inferiore, ma risulta molto più resistente nei confronti di marciumi fungini, soprattutto botrite e marciume acido” grazie soprattutto ad una buccia dell’acino più spessa.

 

IL GRERO IN CANTINA E LE PROPRIETA’ ORGANOLETTICHE

L’Istituto Agrario Ciuffelli di Todi, sempre nell’ambito di questi studi, ha portato avanti la sperimentazione nella cantina Montecristo, con l’aiuto dell’enologo Martin Paolucci. La raccolta delle uve è stata fatta tra il 15 e il 20 ottobre, quindi una vendemmia tardiva. Pigiatura soffice e una macerazione di 15-20 giorni in fermentini di acciaio. Due tipi di affinamento: in acciaio per 5-8 mesi, e in legno per 10-14 mesi. L’affinamento in bottiglia è stato di 4-5 mesi in verticale per il Grero in acciaio, e di 12-20 mesi in orizzontale per il Grero in legno. I risultati sul mosto: consistente acidità totale, ricchezza di polifenoli (tannini e antociani), elevata presenza di B-Carotene, buona concentrazione zuccherina. Gli aromi primari varietali sono quelli della violetta e della composta di mele, mentre quelli secondari della fermentazione esaltano sentori di mora, mirtillo, lampone e ribes. Oggi sono diverse le cantine del comprensorio di Todi che sperimentano la coltivazione e la vinificazione del Grero: sia in purezza che come blend. Ma alcuni produttori si stanno cimentando anche nel Grero Passito e nel metodo classico. In molti sperano che si arrivi un giorno alla denominazione Docg, auspicando soprattutto una sinergia di tutti gli attori del settore. Ad oggi quella del Grero di Todi rimane una produzione di nicchia, di appena 3 ettari totali. Ma con tendenza a crescere, anche dopo questo prezioso studio che ne esalta le caratteristiche e i punti di forza.

 

UNA GRANDE VERSATILITA’ IN CUCINA

Presente sabato al primo convegno sul Grero di Todi, anche il presidente dell’Associazione italiana Sommelier Umbria, Sandro Camilli, il quale ha parlato di “un vitigno antico, ma di un vino nuovo”. “Sul Grero – ha detto – è tutto ancora da costruire. Un vino per essere ricordato ha bisogno di unicità, riconoscibilità, e una storia da raccontare”. Con questa premessa, Camilli ha parlato di gusto, da puro consumatore. “Il Grero è un vino che ha molta acidità, ma poco tannino. Questo conferisce al vino una grande facilità di beva che si traduce anche in una facilità di abbinamento in cucina. Cosa deve fare un vino, del resto? Deve essere un mediatore del gusto, saper esaltare le caratteristiche di un piatto non troppo audace o attenuare quelle di un piatto troppo spigoloso. Pertanto – ha concluso – credo che il Grero potrà essere abbinato alla cucina di tutti i giorni, all’opposto del Sagrantino”. Se non lo avete ancora assaggiato, il consiglio è di provvedere al più presto. Il Grero di Todi è una piacevolissima sorpresa.

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