RACCONTAMI L'UMBRIA

Solitudini dorate

Articolo partecipante a Raccontami l'Umbria 2014 - Sezione Stampa

di Massimiliano Rella

TESTATA: Bell'Italia

DATA DI PUBBLICAZIONE: novembre 2013

 

Se l’emozione fosse un colore sarebbe il monte Peglia vestito d’autunno. Il marrone fulvo delle  querce, il giallo dell’acero, l’arancio e il porpora del sorbo: una tavolozza di sensazioni ci attende in Umbria centro-occidentale, in provincia di Terni e in minima parte nel Perugino. Siamo in un territorio poco conosciuto: il Monte Peglia, che con la Selva di Meana forma lo Stina,  Sistema territoriale di interesse naturalistico ambientale. Un habitat  montano di 4.535 ettari, con oltre mille specie di flora e tre aree naturali, separate ma protette: il Monte Peglia, la Melonta Bosco dell’Elmo e la Selva di Meana ad Allerona. Arriviamo sul Peglia salendo da Marsciano, all’uscita della E45. Prima tappa San Venanzo, paesino noto agli studiosi di vulcani perché dà nome alla venanzite, una roccia lavica di composizione rara (leucite, olivina, melilite). Dura e pesante, color cenere con sfumature blu, è associata alla presenza di diamanti (qui però mai trovati), come le lave di Uganda e Tanzania. L’area del Parco Vulcanologico si formò 265 mila anni fa da tre eruzioni contemporanee, di cui rimangono tre crateri nel raggio di 1,5 chilometri quadrati. Sul ciglio del cratere più grande poggia San Venanzo.

 

Cerrete, Pinete, Ulivi e Vigne

Continuando ad aggirare il monte Peglia sulla strada per Montegabbione, il paesaggio si fa mosso, a volte dolce a volte aspro, le brune macchie di cerrete interrotte da ulivi e vigne, le verdi pinete mescolate a querce arrossate dall’autunno. L’isolamento è rotto solo da rari casali in pietra, passanti che camminano nel silenzio e qualche ciclista che pedala verso il monte. A contarli, sono più i pedoni che non le auto lungo la strada che penetra i boschi, a tratti aperta sulla valle del Tevere. In lontananza s’intravede Perugia, neanche 50 km ma tutto un altro mondo. Sopra di noi, la cima del Peglia fa da sentinella dall’alto dei suoi 837 metri, ricoperta da una macchia verde fitta di conifere e punteggiata sulla sommità dai ripetitori Rai. Sul Peglia si viene per la natura, per fare sport e lunghe passeggiate; o per liberare la mente nella pace di borghi spopolati. A 2 km  da San Venanzo c’è la sua frazione “bella”: Rotecastello, un centinaio di case in pietra – molte in vendita - su una rupe a 330 metri e appena 12 abitanti. Ma con un forno pubblico del ‘500 che entra  in attività durante le feste estive, quando il villaggio torna a popolarsi. A Collelungo, sul crinale di una collina, siamo catapultati in un’Italia fine anni 50, tra anziane signore vestite di tutto punto sedute al caffè e una rara Fiat Bianchina che parcheggia per far scendere una bimba: forse l’unica, nel villaggio di neanche 30 persone. È con queste visioni che proseguiamo verso Montegabbione. Dopo lo svincolo per Pornello, le cerrete (Quercus cerris) riconquistano il territorio strappandolo alle conifere arrivate a inizio ‘900 con il rimboschimento – 650 mila piante - promosso dal conte Eugenio Faina.

 

Dalla cima, vista su cinque regioni

La presenza di queste sempreverdi in cima al Peglia spicca in autunno per i pittoreschi contrasti con le mutevoli caducifoglie, i cerri su tutte. Qualche isolato castagno fa pregustare i sapori di una natura generosa. Poi la strada diventa rettilinea su un altopiano digradante verso il borgo di Montegiove, che gode di una certa notorietà per la Scarzuola, convento del XIII secolo trasformato tra il 1958 e il 1978 dall’architetto Tommaso Buzzi nella sua onirica e surreale “città ideale”. Infine, dopo altri 7 km di curve tra querce, pinete e macchie di cipressi, si arriva a Montegabbione, l’antica Mons Capionis (monte della conquista), grazioso borgo collinare segnato da una torre d’avvistamento del ‘200. Da qui sentieri nascosti nei boschi, pittoreschi itinerari senza nome, s’inoltrano verso il Peglia.

 

Ancora 4 km ed ecco Monteleone d’Orvieto, a cui si accede dallo scenografico arco sotto le mura, che lascia intravedere il campanile della chiesa dei Santi Pietro e Paolo, ora in restauro. Il borgo  è un susseguirsi di case in pietra e mattoni, adorno di piante, tra cui si aprono belle piazze: piazzetta Cavour con un pozzo rialzato, piazza Bilancini con la torre dell’orologio di fine ‘800, tutta rosso mattone e la piazzetta del Torrione, da cui si gode uno spettacolare affaccio sulla valle del Chiani che sfuma in lontananza tra le nebbie autunnali. Tra i gioielli di Monteleone c’è il teatro dei Rustici, appena 90 posti: per visitarlo una targa segnala di “bussare a casa di Piero Carlini”. Funziona così in questi borghi spopolati. <<Siamo una sessantina>>, racconta Lucci, ragazza colombiana spinta dall’amore nell’isolamento magico di Monteleone, barista in un bar dove i clienti sono solo anziani. <<Siamo sempre tra noi, di qui non passa mai nessuno>>. Di borgo in borgo, tutti piccoli e in pietra – come Parrano, la cui chiesa è stata restaurata con il contributo dei cittadini (sia in offerte che in lavoro manuale) - ci si avvicina alla cima del Peglia. Al monte si può accedere anche da un altro versante, più aspro e scosceso: quello che si apre sul lago di Corbara, con il bel borgo di Prodo formatosi attorno a un castello medievale. Anche da qui, in pochi chilometri, ci si avvicina  alla vetta, annunciata dal Parco Sette Frati, appena 50 metri sotto la sommità. Un sentiero porta alla grotta dove furono rinvenuti fossili del Pleistocene. Un altro sentiero attraversa il bosco fino al pianoro che ospita il Centro di Documentazione Flora e Fauna. La scarpinata è ripagata da una vista fantastica a 360 gradi su cinque regioni: l’Umbria con i monti Martani  e i colli Amerini; la Toscana con il Cetona e l’Amiata, il Lazio con il Cimino e il Terminillo; le Marche con il profilo dei Sibillini; in  lontananza l’Abruzzo con il Gran Sasso. E sopra di noi, vicina e silenziosa, solo la cima verde del monte Peglia.

 

Tra boschi e scoperte d’arte

Paesi antichi e “città ideali”

 

Nei villaggi intorno al monte Peglia si nascondono piccole chicche meritevoli di una visita. Come Monte Castello di Vibio, che fa parte dei Borghi più Belli d’Italia per il suo impianto medievale, le case in pietra ben conservate, le viste fantastiche su Todi. Il suo gioiello è il piccolo teatro della Concordia, del 1808, con decorazioni di Cesare Agnetti, completate nel 1891 dal figlio Luigi, allora quattordicenne. Ha una programmazione regolare ed è visitabile (piazza del Teatro 4, 075.8780737, www.teatropiccolo.it, aperto sabato e domenica). Prezioso come uno scrigno anche il minuscolo teatro dei Rustici di Monteleone (piazza del Municipio, per le visite: 0763.834021 oppure Piero Carlini, via del Torrione 9). Il borghetto di Rotecastello, frazione di San Venanzo, è tenuto vivo anche da Arte in mosaico (via Centro 43, 075.875316, www.arteinmosaico.com, sempre aperto), laboratorio di mosaici artistici di Francesco Rossi. A Collelungo, altra frazione di San Venanzo, fortificata nel 1294 e con la cinta muraria ancora integra, va visto il santuario di Santa Maria della Luce, che custodisce gli affreschi della Madonna della Luce, scoperti nel 1828 nel vicino, antico tempio di San Mattia (entrambi aperti domenica, negli altri giorni chiedere le chiavi all’unico bar del paese). Ma la grande attrazione artistica della zona è La Scarzuola, convento francescano acquistato nel 1956 da uno dei più famosi architetti del secolo scorso, Tommaso Buzzi (1900-1981), che lo trasformò nella sua visionaria “città ideale”, un grandioso sogno architettonico di forte impatto, lasciato incompiuto (Montegiove, 0763.837463, www.lascarzuola.com, visite guidate su prenotazione; 10€). Infine, per riconoscere la storia geologica della zona c’è il Museo e Parco Vulcanologico di San Venanzo (piazza Roma 1, 0763.831075, www.tuttinterra.com), che espone rocce, frammenti di meteoriti, reperti di animali del Pleistocene; il parco include un’ex cava con rupe di venanzite (aperto domenica o su prenotazione; 5€).

 

Dai sentieri attorno al monte alle terme del diavolo

Camminate tra fitti boschi sui sentieri attrezzati del Parco Sette Frati, presso la vetta del monte Peglia. Comprende anche un centro di Documentazione Flora e Fauna con animali e uccelli rapaci imbalsamati o sotto vetro. Bella l’escursione lungo l’anello delle Tane del Diavolo,  solo  per escursionisti  esperti: attrezzato con cavi d’acciaio, si sviluppa tra cavità carsiche (tre visitabili), frequentate già nell’età del Bronzo (info: guide di Parrano, 3339752738); alla partenza raggiungibile in auto, si trova il Parco Termale Bagni del Diavolo, con terme frequentate nell’antichità, riaperte nel 2011 (0763/83.87.51, www.bagnodeldiavolo.it, aperte da giugno a settembre). Nei pressi di Prodo, il nuovo Itinerario ornitologico-naturalistico di monte Piatto si sviluppa su 7 km di strada bianca, con pannelli esplicativi, che collegano il Peglia con le forre del Parco del Tevere. Altro itinerario trekking, l’anello dell’Elmo, ampia escursione attorno al bosco dell’Elmo, tra San Venanzo, Orvieto, Parrano e Ficulle; 7 ore a piedi, oppure in mountain bike o a cavallo (info: Comunità Montana Monte Peglia-Selva di Meana, www.parks.it/parco.monte.peglia.selva.meana).

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