MARKETING

31 dicembre 2013

PA e Marketing

di Mauro Loy

Ricordo ancora quando nei primi anni del 2000 dialogando con mia figlia sull’esame di diritto amministrativo che avrebbe sostenuto a breve, discutevamo sulle parole “sburocratizzazione” e “semplificazione amministrativa”. Parole difficili non solo da pronunciare, ma da attuare. Ripercorrendo le orme di un mio vecchio professore che, per farmi comprendere la materia ricorreva agli esempi, spiegai il lungo percorso per avviare un’ azienda, le numerose carte per aprire le attività commerciale, o semplicemente, il periodo d’attesa per ottenere il cambio di residenza. Testimonianze del difficile rapporto tra cittadini e/o imprese con l’amministrazione. Nel 2000 inizia per il Paese un importante processo culturale di ammodernamento e informatizzazione, volto a rendere la PA più efficace, efficiente e trasparente. Un processo che, a 14 anni dal suo inizio, sembra non aver ancora raggiunto la piena affermazione e, soprattutto la stessa velocità di innovazione della “società digitale”. Oggi come allora da cittadino, da imprenditore e non da ultimo, da consulente per lo sviluppo delle imprese, vivo il bisogno di un’amministrazione che non solo sia “il” servizio, ma soprattutto sia “al” servizio degli utenti. È strano come una preposizione articolata possa cambiare il significato di una parola, ma la situazione economica e sociale del Paese impone, oggi più che mai, una cultura del servizio, orientata “all’accompagnamento” degli utenti e fondata su risposte chiare e certe, in tempi rapidi. Un messaggio forte e determinato quest’ultimo, che proviene dai cittadini, quando per mesi - se non per anni - aspettano risposte su un contenzioso con lo stato o con una delle aziende controllate. Ma che viene anche dallo stato stesso, che afferma: “il costo della burocrazia per le imprese è di 61 miliardi di euro: se riuscissimo a ridurlo del 25% avremo un aumento del pil dell’1,7%” (maggio 2013, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, On. Catricalà). Quel messaggio arriva infine dalle imprese che tra comunicazioni varie, registri, adempimenti e controlli perdono fino a 100 giorni di attività lavorativa. Ebbene, se sburocratizzazione e semplificazione sono funzionali a quella “trasparenza” tanto invocata che, oggi, grazie anche alle nuove tecnologie e al loro diffuso utilizzo, è l’emblema di una “politica del controllo” degli amministratori da parte degli amministrati, più che un facilitatore della relazione tra le parti, non è più procrastinabile il salto culturale verso una reale vicinanza ai cittadini e alle imprese. Una vicinanza che si traduce sì in un’avanguardia tecnologica, ma, ancora prima, in una logica di servizio orientata al “mercato”. È dai bisogni dei cittadini e delle imprese che si definiscono le politiche. È dalle difficoltà degli stessi che si ottimizza o si attiva un processo/servizio. È dalle esigenze manifeste che la Pubblica Amministrazione può assolvere al proprio ruolo di “guida” della società. Non solo. È costruendo una reale rete tra le singole PA che si crea un sistema intelligente, fluido e capace di dare vita a relazioni che intercorrono fra le singole parti e che sono davvero “al” servizio del cittadino. Una rivoluzione culturale, quindi, capace di stravolgere l’attuale sistema di “dispersione” che viviamo nei comuni, nelle regioni e nei ministeri che sia capace di chiarire più che confondere e di fornire soluzioni più che creare problemi. E se le nuove tecnologie possono rigenerare la relazione tra amministrati e amministratori semplificando l’accesso alle informazioni, alla normativa, agli uffici competenti, alla tempistica, dall’altro lato non si può non parlare dei funzionari delle PA. Se un servizio è per sua natura immateriale e intangibile, il personale che opera nelle amministrazioni centrali quanto periferiche è lo “strumento” attraverso cui il servizio si manifesta. Nella “rivoluzione del servizio pubblico” pertanto sono gli stessi funzionari i protagonisti del nuovo modello di business. Sono loro chiamati a comprendere le problematiche degli utenti, ad agevolare le procedure e a intervenire in favore degli amministrati per risolvere le problematiche. Sono loro, inoltre, quelli chiamati a relazionare i decisori sui disagi e sulle innovazioni da apportare ai servizi, dando vita, così, a una comunicazione circolare; ed è in questa complicità tra amministrazione e utenti che questi ultimi escono dal ruolo passivo e contribuiscono attivamente alla definizione dei miglioramento dei servizi e, più in generale, la soluzione dei problemi di interesse generale. In questo scenario si inserisce il tema della formazione e dell’aggiornamento professionale che non deve guardare solo a ridurre il digital divide o le barriere linguistiche, ma a creare esperti dei diversi processi che usufruiscono delle nuove tecnologie per accelerare le procedure, riducendo così la distanza con l’utente finale. Innovare e parlare di e-government non significa semplicemente dotare gli uffici di dispositivi e infrastrutture di ultima generazione, bensì compiere quella naturale evoluzione che riguarda in primis un cambio di mentalità e, in secondo luogo, una ristrutturazione del modello di business. La multinazionale Gartner dichiara che “il 2014 sarà l’anno della digitalizzazione della PA: gli enti pubblici sono chiamati a trasformarsi in “aziende” digitali per ridurre i costi e migliorare l’erogazione di servizi al cittadino. Ricorreranno sempre più a cloud, outsourcing dei servizi, open data e nuove competenze nella business intelligence”. Ottime prospettive, ma se si pensa alla complessità delle normative e delle linee guida che disciplinano questo passaggio epocale, alla riduzione della spesa ICT della PA centrale e locale che nel quadriennio 2007-2013 ha avuto un declino annuo prossimo ai 3 punti percentuali, nonché agli esordi dell’informatizzazione delle PA non riesco a immaginare tale prospettiva. Ne è esempio il caso delle “cartelle pazze” avvenuto nel 1998, in cui l’allora ministero delle Finanze inviò milioni di cartelle esattoriali sbagliate con gravi problemi ai contribuenti italiani. Oggi, bisogna comprendere che dietro all’automatizzazione c’è sempre bisogno di un sviluppo ragionato e, soprattutto, di non fermare lo sviluppo. Benvenuta digitalizzazione, ma sempre “cum grano salis”. Il Paese si trova davanti a una grande sfida chiamata “Agenda Digitale” che vede nell’immediato tre priorità: l’identità digitale, l’anagrafe dei residenti e la fatturazione elettronica. Iniziative importanti che vanno verso una maggiore efficienza e un valore aggiunto delle PA che dovranno essere corroborate da azioni legislative votate alla responsabilità e al rispetto della “res publica”, con una maggiore etica e attenzione per il “bene comune”. La PA sta combattendo una sorta di battaglia contro se stessa dove da un lato segue il faro dell’innovazione e, dall’altro, è bloccata dalla zavorra della macchina amministrativa. Per superare e vincere tutto questo c’è bisogno di creare nuovi rapporti, nuove intese e nuove collaborazioni che la portino a essere, davvero “al” servizio del cittadino.