VISIONI D'IMPRESA

4 novembre 2014

Museo Tipografia Grifani–Donati - Citta’ Di Castello

di Anna Lia Sabelli Fioretti

E’  sempre stata lì, dal 1799 in poi, nell’ex convento ed ex carcere soprastante la chiesa di San Paolo del XIII secolo. In corso Cavour a Città di Castello davanti alla porticina d’ingresso ci si passa davanti di corsa senza accorgersi che su per la rampa di scale dagli alti gradini c’è il Museo “vivente” più antico dell’Umbria, l’unico in Europa in attività che usa tutte e tre  le tecniche artigianali insieme: calcografia, litografia su pietra e tipografia.  Il Museo privato della Tipografia Grifani-Donati. Cosa vuol dire museo attivo? Vuol dire che è perfettamente funzionante e da oltre duecento anni continua a sfornare calcografie e litografie con le stesse tecniche e con gli stessi macchinari di un tempo. Un luogo prezioso che la Regione ha voluto proteggere inserendolo tra i Musei regionali dal 2004.  

La Tipografia è stata fondata nel 1799 da due assisani, Francesco Donati e Bartolomeo Carlucci. Si distinse subito per la qualità dei suoi prodotti tanto che le committenze arrivarono ben presto anche da molte altre città della regione. Due anni dopo l’apertura però Carlucci è morto lasciando il socio da solo a portare avanti  la stampa di libri importanti  come “Le memorie storiche civili ed ecclesiastiche di Città di Castello” opera monumentale in sei volumi scritta dal Vescovo Giovanni Muzi, ancora oggi un testo fondamentale per chi fa ricerche sul territorio.

Quando se ne è andato anche Donati la tipografia è passata al  nipote Luigi sposato con Apollonia Grifani. Il loro figlio, Biagio, ha lasciato  a sua volta al  nipote  Giuseppe Grifani  per cui  il nome in  ditta è cambiato  in “Grifani-Donati” come è tutt’oggi nonostante il ceppo familiare sia attualmente quello degli Ottaviani.  “Questo perché” racconta Giovanni Ottaviani  che ora manda avanti l’azienda insieme alla moglie Adriana “alla morte di Giuseppe  è subentrato prima il figlio Ernesto e poi il genero Alberto Ottaviani, marito di Elisabetta Grifani e quindi i figli Mario e Italo.  Alberto ed Elisabetta erano i miei nonni”.  Una fascinosa saga di famiglia, tipografi da 7 generazioni, laboriosa, innamorata del proprio mestiere che, si prevede, non è destinata a spezzarsi perché anche i figli di Gianni e Adriana,  lavorano nel settore, il più grande fa litografie a cinque colori, il più piccolo lavora in un’azienda che stampa etichette.

Entrare nel museo significa tuffarsi nel cuore della tipografia. Al momento ci lavorano i due Ottaviani e una stagista. “Noi non abbiamo buttato via mai niente” racconta Giovanni che è un ottimo cicerone, abituato com’è a raccontare la storia della stampa e dell’azienda alle molte scolaresche in visita “Ci sono rimaste queste macchine meravigliose perché i miei hanno continuato a lavorarci. Quando sono entrato io a bottega, negli anni ’90, ho aperto un distaccamento della Tipografia nella zona industriale dove ho messo dei macchinari moderni. Ma i miei vecchi sono rimasti qui, a lavorare con il torchio in ghisa e con i caratteri.  Ne abbiamo 350 casse, suddivise dal corpo 6 al corpo 48. Poi ci sono le cornici, i fregi”

Oggi l’attività è un po’ cambiata. Giovanni, che nell’animo è sempre stato un artigiano e non un industriale, ha venduto i macchinari nuovi ed ha tenuto quelli vecchi: una litografia in pietra Krauze (tedesca) del 1906 e una, sempre in pietra, Bollito & Torchio di Torino del 1840. Entrambi con meccanica manuale per cui “se va via la luce noi possiamo tranquillamente continuare a lavorare”. “Non facciamo più la lavorazione  semplice di biglietti da visita e di carta intestata” precisa “ma coinvolgiamo gli artisti che possono apprendere qui da noi la tecnica litografica eseguendo direttamente sulla pietra a matita grassa le loro opere. Oltre alle litografie possono fare punte secche e  acquaforti. Abbiamo lavorato con Nuvolo, Tagliaferri, Bruno Corà, Aldo Iori, Giampiero Tomassetti, Fabio Mariacci, Luca Baldelli, Andrea Lenzi, tanto per fare qualche nome”.

Il museo vivente affascina chiunque lo visiti. Perché non essendo una esposizione  ingessata nel tempo incuriosisce con i suoi cicli di stampa chiunque si soffermi a  guardare i macchinari mentre sono in moto. “Se parlo del mio lavoro io so comunicare bene” conclude Ottaviani “Ai ragazzi racconto la storia della stampa dalle origini ai giorni nostri, senza stereotipi. Per esempio che la stampa non è nata per imparare a leggere e scrivere ma per fare fregi sulle stoffe. E che non è stato Gutenberg a inventare la stampa bensì il torchio per fare e recuperare le matrici in piombo. E quando vanno via ai piccoli visitatori faccio due omaggi: una  litografia e il loro nome stampato su un foglio”.

copyright foto: archivio Milanesi

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