MARKETING

30 settembre 2013

Marketing e Territorio

di Mauro Loy

Vi siete mai seduti su una panchina di ferro, o ancora meglio, su un muretto con i sassolini che scricchiolano per ammirare il palazzo del governo, la chiesa cittadina o semplicemente la fontana di un centro storico? Avete mai bloccato lo scorrere del tempo, per ricordare o immaginare cos’era la vita non più tardi di qualche decennio fa?

Fermarsi. Pensare. Ripartire: La tricotomia dell’evoluzione.
Ed è fermandomi in Piazza Partigiani che rivivo le origini della città perugina, scoperta grazie ad un’eccellente tesi di laurea che ricostruisce le vicende che interessano l’area un tempo occupata dalla Tenaglia della Rocca Paolina fino alla sua trasformazione in uno spazio polivalente in cui si intrecciavano mercati di bestiame ed esercitazioni militari, commemorazioni solenni e momenti collettivi di svago. Centri abitati, centri di servizi, centri nevralgici per la socialità. Nel tempo, le dinamiche urbanistiche e sociali delle città si sono notevolmente modificate. Nel primo dopoguerra si assiste ad una forte concentrazione nei centri urbani dove si svolgevano le principali funzioni della vita sia pubblica, sia privata, con importanti flussi migratori dalle campagne verso le città ed un conseguente abbandono delle campagne. La presenza di servizi e attività commerciali fu da attrazione per il popolamento degli allora centri cittadini, che, tuttavia, dal punto di vista residenziale erano di appannaggio delle classi benestanti. In un anello che via via diventava sempre più grande e articolato, invece, si stabilizzavano gli altri livelli sociali, che ricreavano centri in cui erano demandate solo alcune funzioni della vita collettiva. Erano centri satelliti. “Dormitori” in alcuni casi. È l’esempio del noto quartiere della Capitale “Garbatella”, oggi centro della movida romana, oltre che set cinematografico all’aperto, ma prima insediamento operaio presso la zona industriale di Ostiense e centro di ospitalità in occasione dei pellegrinaggi delle Sette Chiese (Da qui l’origine del toponimo, che la tradizione fa risalire ad una locandiera “garbata” che gestiva un’osteria nella zona).

Il sistema urbanistico moderno manifesta dinamiche diverse rispetto al passato, con caratteristiche di disomogeneità che hanno prodotto una duplice frattura nei territori. Da una parte i quartieri centrali si caratterizzano per una fruibilità commerciale, legata ai servizi e al tempo libero, perdendo così l’originaria caratteristica di accentramento delle funzioni di governo e sociali. Dall’altra parte, invece, si intensificano nuovi quartieri periferici, che, al contrario, sono diventati veri e propri poli residenziali in cui si è dato spazio al “mito” della villetta fuori città, in cui ritrovare una quiete che nei centri storici è ormai una chimera. In queste “oasi di tranquillità” si disperde la vivacità dei centri storici, mentre nei centri commerciali si ricreano una socialità
ed un commercio senza identità. Lo sviluppo del commercio, difatti, è profondamente legato alle dinamiche di popolamento/spopolamento degli agglomerati urbani.
Partendo dai mercati rionali, in cui si realizzava il connubio tra reperimento delle derrate alimentari e centri della vita collettiva, si osserva l’evoluzione sregolata delle dinamiche urbanistiche. Lo sviluppo della rete mercatale, infatti, è rimasto fortemente arretrato, non seguendo quello urbanistico. Questo perché, con l’evoluzione dei bisogni della società e dei nuovi stili di vita dei consumatori si sono sviluppati ulteriori centri di incontro, svago ed acquisto. In un primo momento le grandi vie dello shopping sembravano concertare un’offerta moderna e “vicino casa”,
dove oltre ai bisogni primari venivano soddisfatti anche quelli legati al tempo libero. In seguito, il passaggio dai “centri commerciali naturali” ai “centri commerciali” è storia nota. O meglio, una storia di iperconsumi.
E ora, mi riappello alla tricotomia dell’evoluzione: fermarsi, pensare, ripartire.
In questa geografia di consumi sia economici, sia urbanistici, si legge un “fluttuante spopolamento” che ha prodotto un forte depauperamento del territorio.
Appartengo ad una delle ultime generazione – anni ‘50 – cresciuta per strade, vicoli e piazze dei centri antichi, veri e propri centri di aggregazione, dove ogni casa aveva la chiave nella toppa. E se da un lato nelle città, quanto nei paesi, i punti di riferimento della vita sociale erano la sezione del partito o l’oratorio della chiesa, che svolgevano la funzione di indirizzo e “controllo” delle giovani leve, dall’altro gli occhi sempre aperti dei negozianti erano fari accesi su quella gioventù goliardica che animava anche la loro giornata. Ora, tutto questo, dove è stato ricreato? Qualcuno risponderà su Internet, io tuttavia, continuo a credere nella necessità di creare ambienti urbani, vivibili, fruibili, e soprattutto capaci di modernizzare le origini e le vocazioni del territorio. Le logiche dell’incessante costruzione non sono più reiterabili. Oggi le parole d’ordine sono riscoprire, ottimizzare e modernizzare.
Sebbene il dibattito sulle Smart city si fa sempre più interessante e importante, dove Perugia si colloca al terzo posto tra le città italiane presenti nel ranking European Smart Cities (51 posto nella classifica generale) per gli investimenti realizzati nel settore della mobilità (scale mobili e sistema di trasporto automatico su rotaia) che garantiscono una rinnovata fruibilità del centro storico, tutto questo non può bastare. Perugia, come altre città universitarie che vivono di giovani, ha creato nel tempo altri luoghi di aggregazione, lontani dall’originario centro di incontro tra funzioni di governo, commerciali e sociali. Un centro storico che, d’altronde, viene spolverato soltanto nelle grandi occasioni con importanti manifestazioni come Eurochoccolate ed Umbria
jazz, che sono da faro per lo sviluppo. Ma, tuttavia, per ridare vitalità serve che le eccellenti azioni che hanno valenza “temporale” si trasformino in attività “permanenti” capaci di creare nuovi usi e motivazioni di vivibilità.

Le città, quindi, dimostrano l’esigenza di implementare piani di marketing territoriali capaci di creare sinergie tra le risorse del territorio, rispolverando le singole vocazioni culturali e commerciali. Riscoprire le tradizioni e creare nuove opportunità per i frequentatori dei centri urbani è ormai un’azione imprescindibile per riattivare lo sviluppo economico delle città, e aiutare a rianimare quella socialità che ormai, è solo un bel ricordo. Pensiamo a territori come l’Aquila, dove a 4 anni dal terremoto, c’è un centro storico che ha grandi difficoltà per iniziare la ricostruzione. Questo per effetto di una logica residenziale temporanea – universitari e/o lavoratori – che produceva redditi da locazione che garantivano la sussistenza ai proprietari degli immobili che, nel frattempo, avevano scelto la quiete del “fuori porta”. Ora, interrompendosi questo circolo virtuoso di redditività, l’interesse per la ricostruzione del centro storico svanisce e, L’Aquila, ritarda se non addirittura perde, l’opportunità di riprendere la propria corsa verso la vitalità. È per questo che, di fronte a situazioni come quella de L’Aquila, specchio di altre realtà italiane che non riescono a riavviare il proprio futuro, è utile adottare strategie di marketing che puntano sull’interconnessione degli elementi. Quindi, rispolverare i luoghi d’interesse turistico,
creando servizi di ospitalità diffusa per valorizzare le abitazioni abbandonate che, nel complesso, dequalificano il territorio.Definire nuove regole di fruibilità per il patrimonio culturale, emblema del nostro essere Italiani. Organizzare percorsi professionali sulle specifiche peculiarità del territorio, al fine di creare un’offerta in linea con la reale domanda di lavoro. In ultimo, non meno importante, dare vita a un commercio moderno e attrattivo, che guarda alle dinamiche di offerta attuali, senza perdere di vista la bellezza delle origini artigiane della nostra civiltà.
Questa è città. Questa è attivazione. Questa è vivacità delle comunità, che si riaccende e torna ad affollare le strade, i vicoli e le piazze con l’animosità di chi vuole essere protagonista
di un nuovo rinascimento.
D’altronde “la mente deve vedere, prima di poter credere”!

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