RACCONTAMI L'UMBRIA

La città-fortezza – Orvieto, Umbria, Italia

Articolo finalista Raccontami l'Umbria 2013- sezione web

di Edward Alexander Berger

TESTATA: virtualwayfarer.com

DATA DI PUBBLICAZIONE: 9 luglio 2012

Le mie spalle sono scivolate leggermente in avanti per poi tornare a sbattere sullo schienale imbottito del sedile; il bus stava lentamente ma inesorabilmente perdendo il suo slancio, costringendo il conducente a scalare marcia. A passo di lumaca, stavamo avanzando lungo la strada ripida e tortuosa che conduce alla città-fortezza di Orvieto. Dietro di noi, la strada scorreva sinuosa snodandosi giù fino alla grande vallata e ai suoi verdi campi.

 

Si trattava di una strada relativamente nuova. Per secoli la città è rimasta in gran parte isolata ed inespugnabile. La cittadina si trova riservatamente adagiata sulla sommità perlopiù piatta di una rupe che strapiomba sulla valle; simile ad un castello, Orvieto non è difesa da alte mura di pietra che si levano verso il cielo, ma da scoscese pareti di roccia che si tuffano vertiginosamente a valle. Mentre il bus continuava la sua salita e si apprestava a varcare le porte cittadine, allungando il collo e schiacciando il viso contro il vetro, faticavo ancora a scorgere il profilo della città.

 

A testimonianza del potere, della vocazione difensiva e dell’epicità della storia della città, gli abitanti di Orvieto non si accontentarono di lasciare la città-fortezza così com’era per sua natura ma, al contrario, si premurarono di erigere alla sommità delle erte pareti di tufo un’ulteriore imponente cinta muraria a difesa dei confini cittadini; la sommità della cinta nasconde una serie di solidi camminamenti e piattaforme di osservazione dai quali i difensori potevano scrutare la vallata e che oggi offrono a residenti e visitatori la possibilità di godere di panorami straordinari.

 

Con le sue merlature e le sue vie splendidamente tortuose, Orvieto vanta una storia palpitante che affonda le sue radici almeno in epoca Etrusca. Mentre i particolari rimangono avvolti nelle nebbie della storia, con tutta probabilità la città fu fondata attorno all’VIII secolo a.C. ed a lungo si pose come freno ed ostacolo alle prime mire espansionistiche di Roma. Vista la sua vicinanza alla capitale e la sua posizione lungo la strada che la collega a Firenze, Orvieto si erse probabilmente a fondamentale baluardo difensivo nel corso delle prime guerre Etrusco-Romane. Numerose testimonianze moderne suggeriscono che la città sia stata l’Etrusca Velzna, città impegnata in commerci con la Roma dei primi secoli e che quest’ultima tenne sotto scacco e contribuì a plasmare. Tuttavia, come spesso avveniva all’epoca di Roma, la persistenza e la resistenza alla fine ebbero la meglio e, attorno al 250 a.C., quella che oggi conosciamo come Orvieto fu conquistata, rasa al suolo ed annessa al crescente impero Romano.

 

Dopo la sua annessione a Roma, i libri di storia si fanno piuttosto avari di notizie circa il ruolo della città, anche se, tuttavia, Orvieto venne sempre considerata una valida alternativa alla capitale durante alcuni dei più “gustosi” disastri della prima Roma repubblicana. Un migliaio di anni più tardi, la città avrebbe fatto di nuovo irruzione nella storia con la sua conquista da parte dei Goti. Attorno al VI secolo d.C., in ogni caso, le cose iniziarono a prendere di nuovo una piega positiva e la città cominciò a crescere e ad attrarre ricchezza. All’inizio dell’XI secolo, la città era stata ormai arricchita di robuste fortificazioni volute dai facoltosi nobili locali che cercavano in ogni modo di entrare nelle grazie del Papa. Nell’agone delle guerre fra impero e papato, Orvieto si schierò decisamente con la fazione Guelfa, ovvero quella papale, e fu pesantemente coinvolta nel conflitto. La stretta relazione intrattenuta con il papato fruttò alla cittadina la costruzione del Duomo e del palazzo papale che funse effettivamente da sede papale nel tardo XIII secolo. La storia andò avanti con alterne vicende fino al 1870 quando il Regno d’Italia annesse la piccola città stato del Vaticano a quella che sarebbe poi divenuta la Repubblica Italiana.

 

Pur essendo stata fuor di dubbio orribile da vivere e sopportare, questa storia così violenta e turbolenta ha contribuito non poco a plasmare la città che possiamo ammirare ai giorni nostri. Uno dei monumenti più affascinanti ed insoliti della città risale ai pontificati di papa Clemente VII e Paolo III, fra il 1527 e il 1537. Mentre si trovava in città, dove aveva trovato rifugio durante il sacco di Roma del 1527, Clemente decise di far costruire un imponente pozzo che potesse garantire l’approvvigionamento idrico della città durante l’assedio. Il risultato? Il Pozzo di San Patrizio, progetto decennale che vide scavare nella viva roccia della rupe un pozzo profondo oltre 50 metri. Con un diametro alla base di 13 metri, il pozzo ha 248 scalini distribuiti su due rampe elicoidali interconnesse (una per salire, una per scendere).

 

Scendendo lentamente i 248 scalini consumati, nel corso dei secoli, dal passaggio di decine di migliaia di piedi, mi sono reso improvvisamente e dolorosamente conto che, per risalire in superficie, avrei dovuto ripercorrerli uno per uno in senso opposto. E anche se 50 metri non suona come una distanza così straordinaria, è, in effetti, l’equivalente di un palazzo di 17 piani. Per farsi un’idea, la torre pendente di Pisa non è alta che 56 metri. Il pozzo, con le sue rampe di scale elicoidali e la serie di finestre che vi si aprono da un po’ la sensazione di essere una sorta di torre al contrario, salvo per le pareti dritte e simmetriche.

 

L’esperienza, in particolare mentre avvicinandomi al fondo del pozzo ho scorto la punta di spillo di luce che si intravedeva alla sua cima, si è rivelata fantastica e illuminante.

 

Oltre al Pozzo di San Patrizio, una delle mie parti preferite di Orvieto è stata, beh, Orvieto stessa. La cittadina è un dedalo di anguste strade tortuose e bei vicoli. Pur offrendo le mura cittadine e le scoscese pareti della rupe già di per sé una sufficiente arma difensiva, i signori della città decisero di non prendersi alcun rischio. Il risultato è un labirinto di strade serpeggianti che pur disorientante contribuisce, e non poco, al fascino ed alla personalità della cittadina.

 

Carattere di cui gli abitanti sembrano essere accidentale quanto ideale complemento. Pur avendo notato la presenza di alcuni giovani, la maggior parte degli Orvietani che ho visto in giro per la città mi è parsa avanti con gli anni. In stile tipicamente Italiano, tutti, nonostante la pioggia, erano vestiti con grande gusto. Alcuni facevano semplicemente due passi, altri erano intenti a fare commissioni. Il risultato, tuttavia, era quello di una città piena di persone che parevano rispecchiare ed incarnare la bellezza, la storia, la profondità ed il carisma della loro città.

 

E’ difficile spiegare esattamente il perché, ma in ognuna di queste persone mi è parso di scorgere una certa tristezza, la tristezza di non avere l’opportunità di fermarsi ed esplorare parte della propria storia. Cosa che avrà di sicuro lievemente infastidito la nostra guida, mi sono trovato a restare continuamente indietro, impegnato a rubare scatti furtivi per poi abbassare la fotocamera e fermarmi a respirare a pieni polmoni la personalità di questa città e dei suoi meravigliosi abitanti.

In ogni caso, di tutte le vie e le persone che ho avuto occasione di osservare durante il mio soggiorno ad Orvieto, e forse in Umbria più in generale, quella che veramente mi ha rubato il cuore e strappato il più grande sorriso è stata questa splendida coppia.

Camminando adagio su per la strada, un braccio poggiato al bastone, l’altro sotto quello della moglie, l’anziano signore procedeva con passo lento e misurato. Sotto il peso degli anni, ogni passo gli costava evidentemente un certo sforzo. Avanzando lentamente, la coppia barcollava seguendo gli incerti passi del signore. Ciò che mi ha particolarmente colpito è stato il ritmo che i due sembravano mantenere con grande naturalezza. Ad ogni passo, ondeggiavano senza sforzo o soluzione di continuità prima da un lato, poi dall’altro. Non ho potuto fare a meno di pensare che si trattasse di un rituale quotidiano che si ripeteva forse da anni ed anni. Erano in perfetta sintonia, perfettamente allineati. E’ stato un momento bellissimo da vivere, anche come semplice spettatore esterno, e che non mi dispiacerebbe assolutamente poter rivivere in prima persona fra una sessantina d’anni o giù di lì.

 

Per me, uno degli ingredienti che rende l’Italia così piena di fascino è la sua vetustà. Adoro come le città, pur ben mantenute e riparate, serbino quel loro aspetto un po’ “scrostato” e decadente. Forse è semplicemente perché vengo dal west Americano e sono animato da quest’originale attrazione per le rappresentazioni tangibili della storia dell’uomo. Forse, e dovrei pensare molto più probabilmente, si tratta di adorazione basata sull’essenziale natura di chi siamo e come ci relazioniamo con l’identità, l’umanità e la società. Delle innumerevoli porte cui sono passato di fronte mentre mi dirigevo verso il Duomo di Orvieto, questa, in particolare, ha attirato la mia attenzione: picchettata con tubi di ferro e con le ante sghembe e accostate, i suoi mattoni logorati dai secoli e dalla storia. Questo è il genere di cose per cui mi piace viaggiare: un pezzo minuscolo e sicuramente trascurato di una città ben più importante che, tuttavia, invita il passante che si sofferma ad osservarlo e sognare; a fare fantasiose riflessioni e a contemplare la storia di quella porta. Chi erano gli uomini e le donne che l’hanno costruita, chi l’ha usata, chi l’ha abbandonata e chi, un giorno o l’altro la riporterà all’antico splendore. Porte come questa, forse più di altre, mostrano le vivide impronte della storia.

 

Poco dopo, destato dai miei soavi sogni ad occhi aperti, ho levato lo sguardo dal mirino della fotocamera e notato che il resto del gruppo stava svanendo dentro un vicolo lontano. Era giunto il momento di lasciare le tortuose e vibranti strade di Orvieto per ammirare da vicino il vero fiore all’occhiello della città: il Duomo.

 

Chi conosce un po’ l’Italia potrà notare come l’aspetto del Duomo richiami in qualche modo alla mente quello del celebre duomo di Siena, ultimato nel 1263. Sotto molti aspetti li si può vedere come fratelli. La costruzione del Duomo di Orvieto ebbe inizio nel 1290 e non fu ufficialmente portata a termine fino al 1591. Qualche piccolo ritardo nella consegna dei lavori?

 

Mentre ammiravamo con attenzione gli spettacolari particolari di cui è ricamata la facciata del Duomo, sono rimasto colpito dalla vista di una serie di bassorilievi raffiguranti l’episodio della tentazione di Eva nel giardino dell’Eden. Sono sempre sbalordito dal magistrale controllo dei minuziosi dettagli e dalla grande complessità che contraddistingue questo tipo di opere. L’immagine che ho inserito non ne coglie che un’area di circa 30 cm quadrati, ma il bassorilievo si allungava sopra le nostre teste per almeno cinque o sei metri. 

L’interno della chiesa, come quello di molte cattedrali della regione, è reso unico dalle caratteristiche fasce alternate di travertino e basalto. Mi colpisce sempre con quale efficacia l’alternanza di colore della muratura riesca a conferire a massicce pareti di pietra altrimenti un po’ sterili una decorazione semplice, pulita e prodigiosa.

 

Il colore delle bande di pietra alternate si coniuga con quello delle numerose vetrate istoriate proiettando sulle pareti della chiesa un vero arcobaleno di forme e tonalità diverse…poi vengono le dimensioni di questo edificio. Il Duomo di Orvieto presenta una pianta a croce latina e con le sue arcate slanciate e le sue finestre alte e sottili trasmette un senso di grande ariosità. I costruttori sapevano esattamente quel che stavano facendo e il risultato finale è che all’interno del Duomo ti senti piccolo, molto piccolo. 

 

Nel corso dei secoli, il Duomo è stato oggetto di aggiunte e rifacimenti; fra di essi, spicca sicuramente il Palazzo Papale, edificato proprio accanto alla cattedrale e ad essa collegato. Oggi, il Palazzo Papale è stato adibito al ruolo, di minore potere ma pur sempre importante, di sede di un piccolo museo.

 

Fiore all’occhiello del Duomo è la stupenda Capella della Madonna di San Brizio. Aggiunta a metà Quattrocento, la cappella è impreziosita da vivide scene del giudizio universale affrescate sulle sue pareti che Gesù ed una schiera di saggi osservano con occhio giudice dalle volte a crociera del soffitto. Gli affreschi sono opera del celebre pittore Cortonese Luca Signorelli.

 

Questa scena raffigura i “Beati in Paradiso” e ci fa vedere la visione Signorelliana del paradiso con benevoli angeli intenti a suonare rilassati per le anime lì radunate.

 

Un’altra scena, raffigurante la “Predica dell’Anticristo” contiene evidenti allusioni all’esecuzione del Savonarola, giustiziato per eresia a Firenze nel 1498. Si ritiene che fra i personaggi raffigurati nella scena vi siano nientemeno che Boccaccio, Dante, Petrarca, Raffaello e persino Cristoforo Colombo.

 

La maestria del Signorelli nel raffigurare la figura umana (anche se, talora, in maniera non proprio convincente…alcune delle donne sembrano avere delle protesi mammarie) è davvero fantastica; lo si coglie, in particolare, nella varietà dei tratti dei singoli personaggi. Mi pare, infatti, che troppo spesso le opere d’arte di questo periodo, in particolare quelle inserite in questo contesto, tendano ad apparire un po’ tutte uguali. Lo stesso non si può dire di queste opere. Tutte potrebbero essere facilmente frammentate in piccole scene secondarie ed essere accolte come capolavori a se stanti.

 

Poi, ci sono le brutali scene raffiguranti le angherie e le violenze riservate ai dannati. Pur essendomi sempre parse in qualche modo grevi e morbose, queste scene riescono sicuramente nel loro intento. E i raggi laser “vomitati” dai demoni volanti sono un tocco decisamente delizioso.

 

Nulla trasmette il senso del disastro come una calca di gente che si calpesta in preda al panico, no? La profondità della prospettiva, la varietà delle posizioni assunte dai corpi e la loro muscolatura rendono questa scena davvero fantastica; le brachette rappresentate con precisione quasi tridimensionale hanno strappato un sorriso beffardo al bambino di cinque anni che alberga in me.

 

L’ultima tappa all’interno del Duomo è stata alla Cappella del Corporale dove si custodisce il corporale insanguinato del miracolo di Bolsena. Oltre al corporale vi si possono ammirare anche splendidi affreschi della metà del Trecento.

 

La fetta di pomeriggio che ho avuto per esplorare Orvieto non è stata neppure lontanamente sufficiente. Pur avendo percorso e visto una moltitudine di strade, quelle che non sono riuscito a vedere restano pur sempre la maggioranza. E non sono riuscito neppure a visitare la vasta rete di cunicoli che si snoda sotto le strade della città. La città-fortezza è luogo da leggenda e splendida meta da visitare. Il panorama che si gode dalle sue mura è straordinario e penso che, specialmente se avrete la fortuna di visitarla in una giornata in cui non è intasata di turisti, questa cittadina farà volare la vostra fantasia. 

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