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30 settembre 2011

Un Paese da cambiare

di Claudio Ricciarelli

Siamo in una epoca in cui, una visione realistica delle cose ci porta a dire che davvero non siamo messi bene! L’invecchiamento demografico, il debito pubblico, la crisi di “senso” della politica insieme a quella economica sociale con l’aumento delle disuguaglianza sociali e della precarietà al lavoro, stanno lì a rappresentare la nostra decadenza. Il 45% della ricchezza del Paese è in mano al 10% di italiani! In questa crisi molti si sono impoveriti ma altri si sono arricchiti! Sbaglia, perciò, chi pensa che da questa crisi si può uscire semplicemente rilanciando consumi e domanda interna, può essere utile ma non basta! Questa è una crisi di modello di crescita! Se ne può uscire migliori se saremo capaci di cambiare il modello di crescita, far crescere una economica non di carta, affermare, insieme alla democrazia politica, anche quella economica, ridare valore al lavoro, promuovere modelli partecipativi autentici, stili di vita e consumo più sobri, una più diffusa sussidiarietà orizzontale, affermare un sistema fiscale più leggero per chi lavora e produce ricchezza e più pesante per le rendite finanziarie e i grandi patrimoni immobiliari e mobiliari. Si tratta di irrobustire i nostri valori etici, morali e civici, estirpare alla radice i nostri mali endemici che si chiamano criminalità economica, corruzione, evasione fiscale, cattive abitudini, in una parola non rispetto del bene comune, dello Stato e delle sue regole! Trecentotrenta miliardi di Euro è il costo che paghiamo ogni anno alla illegalità economica, alla corruzione e all’evasione fiscale. La storia degli uomini come quella della politica ci dice che “quando c’è uno stato di necessità o si fanno riforme vere e radicali o, inevitabilmente, si attivano discontinuità traumatiche”! Questo è il tempo in cui il vecchio continente (l’Europa) dovrebbe riscoprire i tanti valori che lo uniscono più che gli egoismi di Stato che ancora lo dividono. Anche l’Italia ha bisogno di concreti atti di discontinuità nelle scelte di politica economica e sociale così come nel personale politico. Così come anche in Umbria la situazione impone scelte più decisive e coraggiose! L’Accordo di un anno fa, “Alleanza per l’Umbria”, forse non è più sufficiente! Il contesto sta cambiando, in peggio, anche in Umbria; “se il malato si aggrava non si può curarlo con la stessa medicina”! Vorrei però concentrare l’attenzione su tre questioni essenziali: i costi della politica, la riqualificazione della spesa pubblica e la riforma endoregionale. Costi della politica Chi può deve intervenire per correggere una deriva ormai insostenibile come quella che ha assunto il costo della politica in Italia come in Umbria. Siamo il Paese in Europa con il più alto costo della politica e delle Istituzioni e il loro più basso tasso di efficienza e produttività! Il cittadino comune direbbe che: “i costi non giustificano i benefici”! Ci vuole una più diffusa sobrietà nei costi di funzionamento della politica e delle Istituzioni. Non voglio fare facile populismo o demagogia ma il problema c’è ed è molto serio! Sappiamo che la democrazia non ci è data gratis, ha un costo e i diritti e le libertà che ci permette di esercitare compensano le responsabilità che ci chiede di assumere. Ma questo è un equilibrio e un patto che va continuamente ricercato e rinnovato fra eletti e elettori, fra Istituzioni e cittadini, fra società e politica. Questo oggi mi appare gravemente incriminato ed a rischio imminente di rottura! Può essere rigenerato se la politica sa tornare ad orientare i cambiamenti, indicare orizzonti, suscitare ideali, alimentare speranze, orientare l’economia, promuovere giustizia, contrastare disuguaglianze, se, in una parola, ha una visione del futuro! In ciò anche gli “esempi” sono importanti come i comportamenti, molto più delle parole! La sobrietà nei costi e negli stili di fare politica e gestire le Istituzioni sono un esempio. Lo stesso principio può e dovrebbe valere nell’economia e nella finanza. Appena venti anni fa la forbice fra reddito minimo e massimo era da 1 a 50, ora siamo da 1 a 350: questa non è una buona cosa! Quando poi si guadagna così tanto, ed a volte non si pagano neanche le tasse o si mandano in fallimento grandi banche o imprese, allora è una vergogna di cui dovremmo tutti ritrovare il gusto di indignarci! Qui non bastano le regole o le leggi, pure necessarie, ci vuole più etica e sani principi morali. Semplificare i nostri troppi livelli di governo istituzionale, ridurre i parlamentari ed abbassare le loro indennità così come quelle dei consiglieri regionali, eliminare i vitalizi ed i privilegi legati agli incarichi elettivi e/o pubblici, le segreterie pletoriche, i rimborsi impropri, le consulenze inutili. Questi sono esempi che possono contribuire a ridare credibilità alla politica e alle Istituzioni! Sappiamo che l’impegno politico richiede competenza, capacità, professionalità, l’onestà è, o dovrebbe essere, un prerequisito ma, se si perde la spinta passionale ed ideale, lo spirito di servizio, l’umiltà di ascoltare, il rischio è che resti solo professionismo, interesse per il potere, la carriera, il denaro. Questo non è un bene! La riqualificazione della spesa pubblica regionale È indubbio che in Umbria la spesa pubblica sia cresciuta, in percentuale, più rispetto al Paese così come quella della politica e del costo delle Istituzioni. (I dati della Banca d’Italia semplificano molto ma colgono anche un dato di fatto vero quando svelano un costo procapite del sistema istituzionale locale Umbro di Euro 428 rispetto alla media del Paese di 367). Questa spesa pubblica così dilatata ha assicurato un buon livello di Welfare e coesione sociale ma anche drenato impropriamente risorse alla crescita economica dei motori autonomi dello sviluppo a partire dal sistema produttivo e manifatturiero e al lavoro. Le politiche di rientro dal debito ed i conseguenti tagli, non sempre equi e misurati, nei trasferimenti di risorse dallo Stato alle Regioni e Comuni impongono, oggi, scelte nette di riqualificazione della spesa pubblica locale. Cinque sono i grandi settori di spesa pubblica locale: sanità, servizi pubblici locali, sistema delle agenzie, enti intermedi, comunità montane. Qui davvero si tratta di attivare presto e bene processi di semplificazione, sburocratizzazione, snellimento, aggregazione riducendo costi impropri ed aumentando efficienza e produttività. Passare da oltre 20 Enti ed Agenzie partecipate della Regione a massimo 5/6. Aggregare, liberalizzando il sistema, le oltre 25 aziende municipalizzate di acqua – rifiuti – gas – energia – trasporti in poche medio – grandi aziende regionali aperte anche ad un rapporto positivo e regolato con il privato nelle attività gestionali ed operative mantenendo in capo al pubblico il controllo e la proprietà delle reti e degli impianti! Sulla sanità abbiamo presentato le nostre proposte in un importante convegno il 7 luglio, ora attendiamo il piano di riorganizzazione che ci presenterà il Governo regionale ad Ottobre. In ogni caso credo che sia meglio parlare di scelte sulla organizzazione della rete ospedaliera e dei servizi nel territorio insieme al numero di aziende. Di sicuro, 7 aziende per una Regione di 900.000 abitanti, sono davvero troppe! La riforma endoregionale Per gli Enti Intermedi e Comunità Montane, dopo un lungo confronto, siamo di fronte a una proposta di riforma ufficiale. Come CISL ne condividiamo l’impostazione di base perché: Semplifica il sistema istituzionale e amministrativo Riqualifica la spesa pubblica riducendone i costi improduttivi Ridà ruolo e funzione ai livelli elettivi a partire dai Comuni in forma di Unione Conferma le funzioni pubbliche fondamentali in materia di politiche agroforestali e montane Garantisce i livelli occupazionali Ora però è bene contestualizzarla con le riforme in itinere, a livello nazionale, compresa quella del superamento delle Provincie. Bene si è fatto anche nel definire criteri per la costituzione delle Unioni dei Comuni che non debbono essere dei nuovi “Enti Intermedi“ quanto invece un processo graduale di aggregazione dei Comuni per poter meglio esercitare le funzioni fondamentali che lo Stato e la Regione gli assegnano in una prospettiva di semplificazione degli assetti istituzionali e amministrativi. Per questo dico che è bene che le Unioni dei Comuni coincidano con gli attuali Ambiti di Zona e che a quel livello si gestiscano in forma associata le politiche sociali, del territorio, del turismo, quelle sanitarie attraverso i Distretti, le politiche attive per il lavoro (scuola, formazione e servizi per l’impiego). Mi domando allora perché non prevedere anche adeguate forme di incentivazione all’accorpamento dei Comuni con meno di 1.500 abitanti e confinanti fra loro? La costituzione della Unione dei Comuni e l’accorpamento di quelli più piccoli non sono scelte alternative fra loro ma complementari! Sull’Agenzia Regionale per la Forestazione non condivido l’approccio di chi tende a dare all’Agenzia un ruolo di transizione quasi a volerla vedere “morta” prima ancora che sia “sorta”. Certo, si presenta come una Agenzia pesante (600 dipendenti) e forse sarà inevitabile che divenga più snella man mano che andrà in pensione parte del personale più anziano, ma assegnargli un carattere di transitorietà è sbagliato e non gioverà alla stessa attività che questa dovrà svolgere. Meglio monitorare da vicino la sua attività riorganizzando, nel contempo, gli stessi Consorzi di Bonifica e la fiscalità conseguente ed attendere la fine della legislatura per fare una verifica sulla sua validità e funzionalità più che prevederne fin da oggi la loro conclusione! In ogni caso è bene che questa legge così migliorata vada presto e bene alla discussione e approvazione del Consiglio Regionale. Lì penso che ne vedremo delle belle!