PRIMO PIANO
30 settembre 2011
Acqua, diritti umani e giustizia sociale: un cammino comune
di Stefania Giannini
L’importanza dell’acqua prescinde da quello che è il suo ben noto, fondamentale valore biologico di fonte della vita: essa rappresenta infatti uno strumento straordinariamente utile per indagare i fenomeni di aggregazione sociale e le relative relazioni con le risorse naturali, così come impostate dall’uomo fino ad oggi. Lo scorcio di secolo che ci è dato di vivere ci mostra con chiarezza i limiti di un sistema giunto al suo epilogo, quello dell’organizzazione capitalistica delle nostre società nella sua versione più selettiva e dura, a tratti inumana, che ha visto il prevalere della funzione economica (turbo-capitalismo) (1) sulle altre funzioni sociali, e che ha ispirato vere e proprie logiche di darwinismo sociale, soprattutto nei paesi dell’area G20. Ma tratti di un nuovo modello economico e sociale cominciano a delinearsi in questo tumultuoso periodo, anche grazie ad un’inedita partecipazione spontanea e sentita dei cittadini che, animati da parole d’ordine condivise pressoché sotto ogni latitudine, riscoprono il piacere e l’utilità del confronto su temi di stretta attualità e di vitale importanza per il futuro. Nuovi concetti hanno fatto irruzione nel lessico quotidiano delle istituzioni, dei mass media e delle persone comuni, portando in dote una diffusa consapevolezza circa la necessità impellente di un deciso cambio di rotta rispetto alle abitudini consolidate tipiche dell’ordine mondiale che ci stiamo definitivamente lasciando alle spalle. Fra le tante definizioni che hanno caratterizzato con continuità il dibattito sul futuro dei rapporti fra gli uomini e fra essi e l’ambiente, una in particolare si è distinta per la sua trasversalità e per la sua immediatezza in termini di comprensione, quella di Sviluppo Sostenibile: “Sostenibile è lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” (2). Più tardi si è andata affermando una sua versione più specifica, soprattutto in relazione alla chiamata in causa diretta in termini di responsabilità delle persone (non individui), quella di Sviluppo Sostenibile e Responsabile (3), determinata dalla partecipazione consapevole di ciascuno di noi ai processi di cambiamento che tanto auspichiamo, decidendo di tradurre in comportamenti quotidiani concreti e coerenti, le sollecitazioni che in questo senso ci pervengono dall’attività legislativa posta in essere dalle istituzioni nazionali come sovranazionali. In questo senso, riconfermando pienamente l’impianto concettuale espresso da Gro Harlem Brüntland e dal suo Report del 1987 che sosteneva come “…la povertà fa male all’ambiente…”, l’obiettivo di uno sviluppo autenticamente sostenibile potrà essere raggiunto solo in presenza della contestuale affermazione di una progressiva giustizia sociale e di un nuovo rapporto nei confronti delle risorse naturali, in primis l’acqua. Senza un’equa redistribuzione delle ricchezze prodotte sulla terra ed un affrancamento progressivo dalle piaghe di povertà endemica che ancora avviliscono il nostro pianeta, non sarà infatti possibile far percepire l’importanza di una sfida globale, di più universale, quella cioè dell’invertire il paradigma che ha ispirato di se il rapporto sinora incestuoso fra l’uomo e la natura, vissuta fino ad oggi come una sorta di gigantesco supermarket dal quale prelevare senza sosta e senza limite pressoché ogni sua risorsa funzionale al processo economico, che nella sua versione corrente si dimostra per altro patologicamente dipendente da forme di consumismo estremo. In questo contesto certamente l’acqua incarna più di ogni altra risorsa la delicatezza e la precarietà degli equilibri che scandiscono la vita sulla terra. Non solo perché si tratta, insieme all’aria, dell’unico Vettore Universale capace di veicolare ovunque bene, virtù e vita, tanto quanto patologie, infezioni e morte. E ciò quale conseguenza diretta delle specifiche scelte operate liberamente dall’Uomo. Ma soprattutto perché questo bene prezioso è trasversale e cogente ad ogni attività umana, ben oltre quindi quella che è la sua funzione biologica fondamentale di alimentare la vita. La sua importanza nel processo economico, in ognuno dei settori tradizionali (Primario, Secondario, Terziario) è come abbiamo visto fondamentale, così come lo è nei processi di aggregazione sociale che hanno ispirato fin dai primordi le tante diverse esperienze urbanistiche alla base delle tradizioni e delle culture di tutti i popoli del mondo. Prevedendo opere ed infrastrutture generose quando in presenza di abbondanti risorse idriche, o rendendole minimali quando lontano da stabili fonti di approvvigionamento (cfr ad esempio le cause del nomadismo, indotto frequentemente dalla mancanza di presidi idrici stabili). Né si può sottovalutare la sua importanza in termini di presenza in tutte le grandi religioni che grazie all’acqua ricordano la comunione della carne con lo spirito, e che prevedono, pur se diversi fra loro, numerosi riti in acqua e con l’acqua, proprio per rammentare sia la dipendenza dell’uomo da questo elemento nel quale prende vita prima di venire al mondo, sia la dimensione ultraterrena del Creato che vede l’uomo stesso come parte della natura e non come suo Dominus. Se i tempi correnti sono maturi quindi per la riformulazione del rapporto fra genere umano e natura, proprio alla luce dei principi dello Sviluppo Sostenibile e Responsabile, ebbene allora possiamo anche iniziare a domandarci se alcune delle più importanti pagine della storia dell’uomo, quelle recentemente scritte per sottrarlo a mortificazioni terribili che ancora meno di mezzo secolo fa erano la norma in molti stati, siano effettivamente mature anch’esse per essere riformulate, enumerando nuovi Diritti. Nel 1948 vide la luce la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, una delle pagine più belle ed intense scritte nell’intera storia del genere umano. Grazie a quella pietra miliare si cominciarono a garantire i diritti civili e politici, la professione della propria fede religiosa, si tutelarono le minoranze e tutto ciò proprio contestualmente alla nascita di nuovi giovani stati avvenuta grazie ai processi di decolonizzazione. Insomma, fu una stagione entusiasmante quella, ma oggi il senso della giustizia sociale si è andato affinando ed abbiamo compreso che quei diritti, che sono e restano fondamentali, proprio per continuare ad essere tali e per essere goduti appieno ed in maniera sempre più diffusa, hanno bisogno di poggiare sulla dignità dell’uomo. E che dignità abbiamo quando in presenza di donne, bambini ed uomini alle soglie della morte per sete e fame (strettamente correlate, come ricordano i fondamentali di ogni buona politica di Sicurezza Alimentare)? Quello dell’accesso all’acqua è perciò un pre-requisito per poter godere a valle dei diritti fondamentali garantiti dalla stessa Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Ecco quindi che ci troviamo innanzi ad una sfida straordinaria, quella di delineare i paradigmi di una nuova civiltà dell’uomo, capace di contemperare le necessità del suo sviluppo con la Capacità di Carico della terra che, come noto, prevede limiti ormai tremendamente prossimi al loro stesso superamento. Su queste sfide, quella della riformulazione del rapporto fra genere umano e natura e fra uomini, nel tentativo di realizzare nuove forme di aggregazione sociale più rispettose dell’ambiente e capaci di una nuova e più diffusa giustizia sociale, la questione dell’accesso all’acqua è e resta lo snodo fondamentale per ogni nuova politica di sviluppo autenticamente antropocentrica. E l’Europa, grazie alla lungimiranza delle sue istituzioni, ha promulgato numerose normative atte a favorire questa strategia di cambiamento, molte delle quali già recepite dagli ordinamenti nazionali e dalle amministrazioni locali, là dove di loro competenza: spetta quindi a noi, gente comune, assumerci la nostra quota di responsabilità e fare propri quei comportamenti che soli radicano i presupposti fondamentali per quel cambiamento dei nostri stili di vita di cui tanto abbiamo bisogno.
NOTE
(1) Turbo-Capitalismo, cfr Edward Lutwak, Turbo- Capitalismo: vincitori e perdenti nell’economia mondiale (New York, 1999)
(2) “Brüntland Report”, United Nations, 1987
(3) ”Lo Sviluppo Sostenibile e Responsabile”, Alessandro Leto, DPS Edizioni Genova 2010