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30 giugno 2011

Il ciclo virtuoso dei rifiuti

di Giuseppe Occhioni

Solo guardando le montagne di rifiuti che “occupano” ormai quasi stabilmente da mesi le strade di Napoli, città tristemente assurta ad emblema di intollerabile degrado ambientale e civile, ci si rende conto della minaccia immanente che ci sovrasta e che riguarda una gestione dei rifiuti ben lungi dal non provocare effetti nocivi per l’ambiente e per la salute dell’uomo. Quando si pensa ai rifiuti, per un processo mentale figlio di una cultura scarsamente “ecologica” e non proprio sensibile al corretto mantenimento del nostro habitat, pensiamo subito al loro smaltimento e non ad un complesso ciclo teso a gestire l’intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino al loro “destino” finale. Di fronte alle montagne di spazzatura non raccolta il primo pensiero è come liberarcene, dunque allo smaltimento Questa materia, però, nel nostro bel Paese, intriso di interessi particolari preponderanti su quelli collettivi e generali, è diventata incandescente con il risultato che anche chi per compito istituzionale, dovrebbe fare le scelte appropriate, anche se magari impopolari, per non scottarsi, non decide e rimanda scelte che sono oramai diventate improcrastinabili. Ma come siamo messi a questo proposito a Perugia e Provincia? Lo chiediamo al dr. Graziano Antonielli, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Gesenu, la società che gestisce i servizi di igiene urbana La situazione delle discariche nella nostra provincia si fa sempre più allarmante. Alcune sono in fase di esaurimento, vedi quelle di Pietramelina e di Santa Orsola a Spoleto. Rimangono quelle di Belladanza a Città di Castello e di Borgo Giglione a Magione. D’altra parte la discarica non è più, ed anzi non è mai stata, il punto di chiusura del ciclo di smaltimento dei rifiuti. Tutti noi abbiamo davanti agli occhi le drammatiche immagini di Napoli ridotta ad una pattumiera. Quale è la situazione nella nostra provincia? I cittadini possono stare tranquilli? No e per due motivi:

1) Entrambe le discariche sono soggette a procedura di ampliamento. La capienza residua ci garantisce autonomia solo per qualche mese (settembre-ottobre).

2) Il decreto legislativo 36/03, che recepisce una direttiva comunitaria del 1999, stabilisce che a partire dal 2007 non possa andare in discarica tutto ciò che ha un potere calorifico superiore ad un certo limite. Dal 1 gennaio di un anno qualsiasi dei prossimi, potremmo pertanto trovarci nell’impossibilità di derogare a tale norma (come attualmente si fa sulla base di norme regionali) e, pertanto non sapremmo più come smaltire il 90% di quei rifiuti che oggi vanno in discarica.

Il termovalorizzatore, bel problema! Il piano regionale rifiuti ne prevede la costruzione di uno a Perugia o nei comuni limitrofi, ma l’individuazione del sito è materia che scotta ed appare ancora lontana. Quale è, a questo proposito, la posizione della Gesenu? Molti pensano che per noi realizzare questo impianto sia una questione di vita o di morte. Così non è. In Umbria si spendono ogni anno circa 60 milioni di euro per lo smaltimento dei rifiuti. Proporre un impianto che ne costa un centinaio non è così fuori dal mondo. È come dire ad un automobilista che spende ogni anno 3-4000 euro di benzina di sostituire la sua vettura con una che costa 8.000 euro. Anche fossimo venditori di automobili non mi sembra che staremmo parlando dell’affare del secolo. In realtà le esperienze fatte a livello mondiale dimostrano come sia difficilissimo raggiungere livelli di raccolta differenziata che vanno oltre valori del 60-70%. Tutto ciò che residua, che per la Provincia vuol dire da 150 a 200.000 tonnellate anno, può andare in discarica oppure essere sfruttato termicamente per ricavarne energia elettrica. Tenga conto che un impianto di questo tipo potrebbe fornire la corrente necessaria a metà delle utenze di Perugia. Quindi noi pensiamo che soprattutto sul piano della tutela dell’ambiente, sia estremamente necessario andare in questa direzione. I grafici che allego dimostrano appunto come i paesi del nord europa abbiano già raggiunto gli obiettivi di minimizzazione del ricorso alla discarica fissati dalle norme, appunto puntando sulla raccolta differenziata (zona verde) e sulla termovalorizzazione (zona arancio – quella bianca si riferisce alla discarica). L’Italia si colloca in posizione intermedia tra questi paesi ed altri quali Polonia, Grecia, Portogallo che sono ancora più indietro (figura 1). Il percorso fatto dalla Germania negli anni che vanno dal 1997 al 2007 è quello che si può vedere nel grafico a lato (figura 2). La raccolta differenziata sembra al momento lo strumento più idoneo per garantire un corretto smaltimento dei rifiuti. La Gesenu si è impegnata da tempo per attivare questa pratica e promuoverla, anche culturalmente, fra i cittadini. Come può essere considerato ad oggi il bilancio di questa raccolta? L’obiettivo del 65% di raccolta differenziata posto dal Piano Regionale Rifiuti alla luce di questo bilancio è realistico ed in quanto tempo può essere raggiunto? Fino al 2009 ci siamo sforzati in programmi educativi e comunicativi sul tema della raccolta differenziata. Questo ci ha consentito di raggiungere il 35% di differenziata con i sistemi che io chiamo “volontari”: nessuno (a parte la legge) mi obbliga a differenziare i rifiuti e a recarmi presso le isole ecologiche o le campane distribuite nel territorio. Questo è il limite che generalmente si raggiunge con questo sistema. Per andare oltre bisogna passare al cosiddetto “porta a porta”. Un sistema che definisce i volumi da utilizzare per le varie categorie di rifiuto e quindi obbliga il cittadino a separare per avere la possibilità di disfarsi dei propri rifiuti. Quando si adotta tale metodo i quantitativi separati aumentano immediatamente. Nelle zone dove dal giugno 2010 abbiamo adottato il porta a porta (48.000 utenti serviti a marzo 2011) otteniamo ormai una media stabile intorno al 70%. Noi conteniamo di raggiungere il 70% della popolazione servita con il porta a porta entro il 2012 e di andare a regime nel 2013. La somma del 70% ottenuto in queste zone e del 35% che riteniamo possa ancora essere raggiunto in quelle servite tradizionalmente, dovrebbe garantire il famoso obiettivo del 65% di raccolta differenziata fissato dal piano. Da qualche tempo è partita anche in alcune zone della città la raccolta differenziata “A proposito di porta a porta”. Si dice che sia molto costosa e che possa trovare grosse difficoltà nelle zone più intensamente abitate della città È vero tutto ciò e quali benefici ha portato ma anche quali criticità ha evidenziato? Il fatto che questo tipo di raccolta sia più costosa mi sembra lapalissiano. Noi avevamo ottimizzato il sistema con il cosiddetto caricamento laterale. Grossi mezzi monooperatore che svuotavano grossi cassonetti (2.400 litri) di indifferenziato. Adesso dobbiamo girare con molti più mezzi di piccole dimensioni e svuotare 10 cassonetti per raggiungere lo stesso volume e per di più in 4 momenti diversi. Da molte parti si dice, tuttavia, che il sistema costi meno. È quindi evidente che bisogna analizzare l’intero ciclo di raccolta-smaltimento per poter costruire un paragone corretto. Grazie al sistema pubblico delle discariche noi siamo la seconda Regione, subito dopo la Val d’Aosta, per il costo di smaltimento dei rifiuti indifferenziati. Ancora oggi siamo sotto i cento euro a tonnellata mentre in molte realtà anche a noi vicine si superano i duecento euro. Ora è del tutto evidente che cambiando sistema in queste località, per ogni tonnellata di rifiuto che non porto in discarica e lasciando inalterati i prezzi, ho duecento euro da spendere per fare la raccolta differenziata, trattare i prodotti ed avviarli allo smaltimento. In Umbria ne abbiamo solo 100. Tuttavia, aldilà delle scelte ideologiche e quindi della volontà di recuperare materia, fare la raccolta differenziata è un obbligo di legge fin dal 1997. Quanto alle difficoltà legate alla densità abitativa ci sono due ordini di problemi. Il sistema dei contenitori domiciliari, previsto dal Piano regionale, peraltro adottato in tutte le realtà italiane e non che hanno raggiunto alti livelli di differenziata, ben si adatta alle case singole o ai piccoli agglomerati. Quando si passa nei grossi condomini e nella città densa si osservano due ordini di problemi. Il primo comportamentale: appena vedo che posso mescolarmi tra la folla lancio il sasso perché sono sicuro di non essere individuato. Il secondo di natura fisica: ilo collocamento dei cassonetti. Li no perché non posso rinunciare ai posti auto, di la nemmeno perché il camion rovina la pavimentazione ecc. ecc. Dulcis in fundo o, se vogliamo,in cauda venenum. Le tariffe praticate dalla Gesenu nel perugino sono le più alte fra quelle della regione. I cittadini che usufruiscono del servizio, cioè tutti, si lamentano. Come si giustificano costi così elevati ed i notevoli aumenti degli ultimi tempi? Nel 2009 l’ATI 2 umbro, che abbraccia i comuni del lago Trasimeno, del marscianese fino a Todi e del Perugino (complessivamente 23 comuni) ha indetto, unico tra i 4 ATI regionali, una gara d’ambito europea per appaltare in tutti i comuni il servizio di igiene urbana. L’appalto non era ricco, tanto è che non ci sono stati altri concorrenti (anche se in molti si erano dichiarati interessati) se non GEST, un nuovo raggruppamento costituito dai 4 gestori operanti nel suddetto ambito. In tutti questi 23 comuni oggi si opera applicando le stesse condizioni contrattuali. Tuttavia la tariffa o la Tarsu sono notevolmente diverse. Questo per vari motivi che sarebbe lungo e complicato elencare. Semplificando possiamo dire che Perugia sicuramente paga anche per gli studenti che ha, per i tutristi che la visitano, per gli eventi culturali, per tutti gli altri cittadini umbri che tutti i giorni vengono a lavorare o ad usufruire di servizi erogati nel capoluogo. Le basti sapere che Perugia produce da sola circa il 50% dei rifiuti provenienti dallo spezzamento stradale effettuato nell’intera regione. Nonostante ciò indagini condotte a livello nazionale tra i capoluoghi di provincia non ci collocano in posizione imbarazzante, anzi, tutt’altro e una indagine del 2010 condotta dall’università di Perugia conferma, su basi scientifiche, il fatto che esista un ottimo rapporto tra la qualità del servizio reso ed il suo costo. Le lamentele dei cittadini, peraltro fisiologiche, si spiegano in questa fase storica con il forte abbattimento del potere di acquisto dei propri stipendi. Fattore a cui io, proprio per il ruolo che ricopro, dedico molta attenzione e molto si sta facendo recentemente in azienda per ridurre gli sprechi e per ottimizzare le risorse.

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