Il credito in Umbria

Interventi del pubblico

MARIA ROSI (Consigliere Regione Umbria - Popolo della Libertà).

Vorrei lanciare un sasso nello stagno: oggi il problema è che la politica è voluta entrare in tutti i settori. La politica deve fare le regole, deve verificare se queste regole sono giuste od occorre modificarle, però non si può mettere a fare il giocatore e allo stesso tempo l’arbitro; la politica non può ricoprire tutti i ruoli.
La politica dovrebbe ritornare nel proprio ambito ed elaborare le migliori regole per sviluppare una comunità, in questo caso l’Umbria, permettendo ai giocatori, in questo caso agli imprenditori, grandi e piccoli, ma soprattutto ai più piccoli, di giocare la loro partita nelle condizioni ottimali e con la presenza di arbitri.
In questo momento un po’ tutti dovremmo fare un esame di coscienza e fare un passo indietro per lasciare un po’ a tutti le proprie competenze. Qui ognuno deve fare la sua parte, e forse in un gioco di strategia, in un gioco di squadra, potremmo insieme rilanciare il sistema Umbria.
Concorrere allo sviluppo economico, per questo noi andiamo d’accordo, perché non possiamo fare diversamente, altrimenti faremmo solo demagogia, e ruberemmo lo stipendio (al momento è un argomento molto caldo lo stipendio dei politici), non ottempereremmo al nostro mandato elettorale e tradiremmo la fiducia dei nostri elettori. E oggi il politico ha un compito difficile, perché a volte bisogna fare il salmone e andare controcorrente.
Sul tema aggiungo un’informazione: la II Commissione ha aperto una serie di audizioni proprio sul credito dato il momento di difficoltà per l’impresa, per l’artigiano, per la piccola impresa soprattutto, e io condivido il pensiero del presidente Mencaroni che se chiude un’azienda che ha 2 addetti non interessa a nessuno, è ovvio, fa meno scalpore, la gente non può uscire sui giornali, è un fatto silenzioso. E proprio per questo noi ci siamo posti anche questa domanda, anche con la sollecitazione del consigliere Zaffini, di valutare un po’ questo credito e di far capire che cosa possiamo fare noi, che cosa può fare la politica, che cosa può fare la Regione. Ben vengano tutte le iniziative, purché siano strutture snelle, semplici e veloci. Ma non dobbiamo creare altre sovrastrutture perché ce ne sono già abbastanza.

PALMIRO GIOVAGNOLA, Presidente BCC CrediUmbria.

Due o tre flash, che possono essere oggetto di un altro seminario di questo tipo. A partire dal credito. Concordo con le valutazioni fatte all’inizio dal dottor Pasca e dal dottor Siena. I soldi non si raccolgono perché c’è la crisi, perché c’è la concorrenza dello Stato, quello che si raccoglie si deve strapagare, altrimenti si va da altre parti. Le partite deteriorate aumentano con percentuali molto forti. Sono due anni che le sofferenze crescono nell’ordine del 45 per cento all’anno. Questo è il quadro. I bilanci si stenta a farli, e anche qui vorrei dare solo un numero: nei bilanci 2007 del Credito Cooperativo umbro e toscano, aggregato, quindi parliamo di 33 banche di Credito Cooperativo, c’erano utili aggregati per oltre 100 milioni. Nel 2010 erano sotto i 20. Quello che è successo nel 2011 ancora non lo sappiamo. Ma insomma, “i versi non son belli”, se si può dire un po’ alla perugina.
Quindi non c’è nessuna scelta politica di voler chiudere i rubinetti del credito. La verità è che stiamo tutti sulla stessa barca. La crisi ha colpito anche le banche, quindi dobbiamo vedere insieme con le aziende come uscirne fuori. Non siamo il contraltare delle imprese. Per dirla in gergo sportivo: non si sta giocando in difesa, si sta facendo melina a centrocampo perché non abbiamo la forza per sfondare e non vorremmo subire altri gol.
Una seconda considerazione, che potrebbe essere oggetto di un convegno più importante, è su come uscire fuori da questa situazione, perché io ho la sensazione che continuiamo a girare intorno ai problemi, anche noi, le associazioni di categoria, il mondo delle banche, il mondo delle imprese, i sindacati e così via.
Dobbiamo rapidamente prendere atto che, nel mondo occidentale, in generale, ma anche nell’Italia degli ultimi trent’anni, abbiamo vissuto mediamente al di sopra delle nostre possibilità, quindi questa tendenza va invertita sapendo che il supporto pubblico non ci sarà più e quel poco, che ci sarà, sarà molto più selettivo.
Abbiamo 200 confidi, 400 banche di Credito Cooperativo la Legacoop, per quanto riguarda le cooperative, 3 sindacati, 15 associazioni di categoria e così via. Forse dovremmo rimettere in discussione tutto questo sistema e questo è il nodo strutturale che dobbiamo sciogliere.
C’è poi un altro argomento, di cui non ne sento molto parlare: credo che, dal punto di vista politico noi stiamo pagando lo scotto di un’illusione che abbiamo coltivato quindici anni fa, cioè quella che potesse esistere una moneta senza uno Stato. Da che mondo è mondo questo non è mai esistito. Uno Stato fa subito tre cose: la giustizia, la difesa e la moneta (un’unica politica economica, una banca centrale, eccetera). Noi abbiamo provato a fare un’altra operazione che ha mostrato i suoi limiti, quindi bisogna accelerare, io credo, verso gli Stati Uniti d’Europa, almeno per queste tre, quattro funzioni fondamentali. Altrimenti credo che avremo bisogno di altre manovre ancora fra tre mesi, e ancora fra sei mesi.
 

LUCIO GIARDINI, UIL Credito Esattorie e Assicurazioni.

Comincio con una piccola nota polemica: l’articolo 18 della legge 300, tutta la legge 300. I tre sindacati esistevano già dal 1970, eppure questo Paese ha conosciuto periodi di sviluppo, nonostante questo, evidentemente bisogna riconsiderare meglio un po’ tutti i fattori che incidono sulla situazione. Detto questo, vorrei fare una piccola notazione personale. Mi è capitato di avere delle esperienze personali dirette in sistemi bancari a livello internazionale, sia in Paesi sottosviluppati che Paesi sviluppati, e in questi Paesi ci sono degli immobili dove fuori c’è scritto “Banca”, poi però bisogna entrare dentro, bisogna acquisire conoscenza diretta di che cosa si fa e quale connotazione assume la banca nei diversi paesi del mondo. Ho imparato una cosa fondamentale, che tengo sempre bene impressa: a dispetto del nome, la banca è la risultante del sistema economico e sociale di quel paese.
Quindi se il sistema bancario, nel nostro Paese, in questo momento, presenta i limiti che sono stati descritti negli interventi che mi hanno preceduto, questa è la risultante del sistema Paese. E se è vero che il sistema bancario ha sempre assistito il mondo delle imprese in maniera preponderante (addirittura i finanziamenti alle imprese vanno tre volte oltre il MOL delle imprese stesse), allora vorrebbe dire che il sistema vive una gravissima anomalia. Ma in realtà, a ben guardare, all’interno di questi rapporti, pure significativi, le cose stanno in una maniera un po’ diversa.
Se è vero, quindi, che le banche italiane hanno dato grande fiducia al mondo produttivo e dei consumatori italiani, forse è arrivato il momento che le imprese italiane diano fiducia un po’ alle banche, oltre che a se stesse, e vediamo come. E per capire che cosa fare bisogna introdurre un “convitato di pietra”, che fino a questo momento non è stato citato nel dibattito.
Quello che incide fortemente nel nostro Paese nel rapporto banca-impresa è, purtroppo, ricordiamolo, il sistema fiscale italiano, un sistema fiscale pesante, vessatorio, iniquo in gran parte, che induce una serie di comportamenti anomali da parte delle imprese italiane, anche da parte delle stesse banche. E siccome non si esce da questa situazione di difficoltà nel rapporto banca-impresa, se il Paese non si riprende, occorre praticare una cosa essenziale, perché quello che incide fortemente nella nostra situazione non è tanto l’entità del debito, che io non chiamerei più “sovrano”, del debito pubblico italiano, perché sappiamo che sovrano non è, che ormai è eterodiretto.
Quello che incide nella sfiducia che il mondo finanziario, economico, internazionale nutre verso l’Italia è il fatto non tanto dell’entità del debito italiano (il Giappone ne ha molto di più) quanto dei limiti del debito italiano rispetto alla crescita del Paese. Sembra quasi che noi non riusciremo più a rimborsare questo debito e a pagarne addirittura gli interessi. Quindi che cosa è necessario fare? Bisogna che le imprese italiane crescano dal punto di vista numerico, dal punto di vista del proprio giro di affari.
Bisogna cambiare anche politica economica, perché la politica economica portata avanti, specialmente negli ultimi anni, è assolutamente sbagliata. E cito le norme liberticide della concorrenza tra imprese che hanno incattivito il rapporto tra imprese e fra banche e imprese: hanno creato sfiducia e portato l’Italia a somigliare più a un Far West che a un paese civile.
Io mi sono occupato come operatore del credito nella nostra regione in anni precedenti e ho esercitato l’intermediazione creditizia con i famosi strumenti speciali, cioè i finanziamenti Artigiancassa, Mediocredito, ho fatto anche l’agrario. Quando il problema delle imprese nel nostro Paese era dato dai tassi d’interessi che viaggiavano a doppie cifre, esistevano degli strumenti di finanziamento che intervenivano a dare un contributo degli interessi per alleviare quello che era un grossissimo problema in quella fase storica ed economica del nostro Paese.
Oggi servirebbero, secondo me, degli strumenti finanziari che vadano nella stessa direzione, cioè di scopo, di destinazione, a sostenere gli investimenti delle imprese, e su questo aspetto il mondo delle imprese, il mondo dell’associazionismo, le camere di commercio, compreso il mondo politico  potrebbero sollecitare il Governo affinché vengano creati degli strumenti di finanziamento da parte delle banche nei confronti delle imprese per scopo e per destinazione, assistiti da contropartite di natura fiscale. Ben oltre gli sgravi che vengono inseriti. Inoltre, le stesse contropartite di natura fiscale debbono esistere per favorire la capitalizzazione di un’impresa.  Occorrerebbero strumenti che consentano di capitalizzare l’impresa e accompagnare l’agevolazione fiscale.
 

GUIDO PEROSINO, Direttore CONFAPI Umbria.

Ho seguito gli interventi e quello che mi viene in mente non è un pensiero di associazione nei confronti della crisi, ma un pensiero di un utente, di un uditore che vede il sistema, come una complessità pazzesca. Siamo di fronte a una complessità veramente straordinaria, di tutto quanto, e ognuno di voi dà una lettura, ma è un pezzettino, e tutti quindi avete ragione, tutti quelli che hanno parlato fino adesso hanno ragione, in qualche modo.
E ciò in qualche modo mi spaventa, perché mi pare che in questo momento ci sia in generale una scarsa capacità a trovare la priorità o le poche priorità verso le quali indirizzarci tutti. Abbiamo il vizio di portare l’acqua al nostro mulino, di coltivare ancora gli orticelli più o meno grandi, mentre in una situazione di emergenza ci vorrebbe veramente la capacità di sintesi per individuare quelle due o tre priorità che possono essere trainanti.
Per me è raro constatare come tutti abbiano sempre ragione. In passato mi ricordo di dibattiti in cui c’era uno cui davo ragione e un altro cui davo torto, qui io trovo che tutti abbiano sempre ragione, in qualche modo, e per me costituisce un elemento di riflessione.
La priorità della Confapi è quella di mettere al centro l’impresa diffusa sul territorio. Vale la pena ricordare che non bisogna confondere l’imprenditore con l’evasore fiscale, come mi sembra si sia fatto anche due minuti fa, perché non è questo il problema. Difatti, la piccola impresa diffusa sul territorio, in questi tempi di crisi, dal 2008, ha agito come importantissimo ammortizzatore sociale, perché ci sono stati molti imprenditori che hanno tirato fuori dal cassetto le loro risorse per non licenziare, per non chiudere, per cercare di avere una nuova opportunità. E’ avvenuto questo ed è sotto i nostri occhi quotidianamente. Quindi per noi un punto prioritario è proprio questo: mettere l’impresa al centro.

MASSIMO GIULIETTI (Segretario Generale della Fisac Cgil dell’Umbria, Segretario di Coordinamento a Milano del Gruppo Intesa Sanpaolo).

Vorrei fare alcune semplici e brevi riflessioni. Il sistema del credito è in fortissima difficoltà. Circa 100 miliardi di sofferenze ed un incremento del 25% di “incagli” rappresentano per le banche un serio problema di autonomia. E vorrei aggiungere che sono anche un un grave problema per i lavoratori del credito.
In Italia non ci potrebbero mai essere interventi dello Stato a supporto del sistema bancario se questo dovesse andare in seria difficoltà come avvenuto in GB, USA, Giappone, Germania e Francia. Non ci sono risorse. Le banche devono operare in regime di stretta attenzione e selezionare bene il credito concesso, non solo perché ne va della loro stessa sopravvivenza (in questo periodo assistiamo a diversi istituti bancari che sarebbero falliti se non fosse intervenuta Intesa Sanpaolo), ma anche e soprattutto perché ricordo a tutti noi ed a me in particolare, che il risparmio è regolato anche dalla Costituzione alla quale sempre dobbiamo fare riferimento. Chi deposita il proprio denaro in banca vuole essere certo che in caso di necessità, la banca sia pronta immediatamente a restituirlo. Banale ma vero.
Detto ciò, le aziende in Italia, ed in Umbria in particolare, soffrono di “nanismo”, non fanno filiera. E se facciamo solo riferimento a Basilea 2 – 3 e domani 4, le imprese non hanno i presupposti per accedere al credito. Occorre creare quindi una filiera solida che costituisca massa, gruppo, che possa avere cedibilità di sopravvivenza in un mercato “globale” e che possa trovare supporto anche dai consorzi fidi che, come è stato detto, devono a loro volta essere finanziati e garantiti loro stessi dal “pubblico”.
Se immaginiamo di reggere la concorrenza con Cina , India, Messico ecc... sul fronte del costo del lavoro, siamo davvero lontani, a meno che si decida che il lavoro ed i lavoratori debbano essere privati di ogni diritto a partire dalla garanzia di occupazione stabile e sicura. Vorrei solo ricordare che le imprese che hanno retto la crisi sono quelle che hanno investito in ricerca, formazione ed hanno prodotto “qualità”. E che anche in un periodo nefasto come quello che stiamo vivendo, hanno incrementato produzione e vendita. Lo hanno fatto cercando mercati in crescita ed in grado di assorbire la loro produzione, ripeto, di “qualità”.
Il nostro territorio deve quindi puntare a questa benedetta qualità dei sui prodotti della natura, creare aree di produzione DOC e DOP, su offerta di turismo qualificato, sulle infrastrutture che mancano, su un diverso utilizzo delle due società regionali, Gepafin e Sviluppumbria, che diventino davvero volano di sviluppo e non siano impegnate solo a gestire la crisi.
Volevo concludere che ieri ero in Regione a firmare le casse in deroga. Il sistema umbro si regge su queste e non è vero che gli imprenditori locali abbiano messo mano al loro portafoglio, come sarebbe giusto ed opportuno fare, ma sempre si sono rivolti al sistema che li sta ancora sorreggendo. Ma non so fino a quando questa situazione potrà reggere...