Il credito in Umbria

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Giorgio Mencaroni

Presidente della Camera di Commercio di Perugia

Un tema che ricorre in ogni riflessione sull'economia  dell'Umbria: una grandissima difficoltà nel fare sistema.

Ringrazio tutti per la partecipazione a questo forum. Qui oggi abbiamo una folta ed autorevole rappresentanza del mondo del credito. Ma il mondo delle imprese dov’è? Sì, c’è la Camera di Commercio, ma la Camera di Commercio è il soggetto organizzatore, credo che non possa assolvere contemporaneamente più ruoli. E' finito il tempo di “Armiamoci e partite”: in occasioni come questa ci vorrebbe il contributo di tutti. Non si può sempre delegare altri soggetti a risolvere problemi che sono comuni e che richiedono il massimo impegno e la più grande partecipazione. Abbiamo difficoltà a fare sistema ma poi ci lamentiamo. Se dobbiamo andare in guerra, ci dobbiamo andare insieme, ma senza fare le guerre, perché possiamo fare anche le battaglie di pace. Io non ho il timore di dirlo, sono un imprenditore, faccio il presidente di associazioni. Siccome non faccio il politico (e non me ne vogliano i politici), non ho bisogno del consenso e del voto, per cui ammetto che mi attendevo oggi una buona partecipazione degli imprenditori che non c'è stata. Poi è facile lamentarsi...

Presidente Mencaroni, in questo quadro drammatico, come si aiuta l’impresa? E cosa fa la Camera di Commercio?

La Camera di Commercio nell’approntare il bilancio di previsione 2012 si è posta un problema. Avevamo tempo fino al 31 dicembre per approvare il bilancio. Ma proprio per andare incontro alle esigenze del mondo delle imprese, lo abbiamo approvato il 29 novembre 2011. Non so quante Camere di commercio abbiano approvato il bilancio trentuno, trentadue giorni prima della scadenza.
Perché abbiamo deciso questo anticipo? Proprio per programmare insieme al mondo associativo ed alle rappresentanze degli imprenditori. Per decidere, insieme, dove destinare le somme e a quali settori dare la precedenza. Questo è lo sforzo che abbiamo cercato di fare. Poi, per andare incontro al sistema dei consorzi fidi, abbiamo destinato alla macroarea del credito una somma di circa 2 milioni di euro. Anche nel predisporre il bilancio di previsione, abbiamo appostato importanti. Proprio per curare i filoni su cui andava posta la maggiore attenzione, presentiamo un bilancio in negativo. Per questo abbiamo deciso di utilizzare parte del nostro patrimonio liquido. Questa è la scelta importante dell'ente camerale: a fronte dell'emergenza creditizia che il mondo delle imprese vive sulla propria pelle, noi consumiamo parte del patrimonio della Camera di Commercio.

Un segnale forte in questo momento.

Un segnale di grande attenzione. Le somme investite per il credito alle imprese sono superiori di circa due volte e mezzo rispetto alle cifre degli anni precedenti. Un sostegno importante ai fondi di garanzia dei consorzi fidi, perché si cerca di sostenere quei soggetti che danno la “cogaranzia” al sistema bancario. Ma ricordo anche una serie di sostegni paralleli alle imprese anche attraverso la promozione del territorio e l’internazionalizzazione. Somme importanti: abbiamo investito un altro milione e mezzo sull’internazionalizzazione, con circa 500 mila euro di contributo destinati a quelle aziende che vorranno promuovere i loro prodotti, e quindi i prodotti dell'Umbria, nelle fiere internazionali, sia in Italia che all’estero. Soldi che abbiamo deciso di destinare anche a favore delle infrastrutture. Stiamo lavorando su un altro progetto che dovrebbe toccare il mercato dell’edilizia. E’ ancora una iniziativa in embrione. Ma l'idea è quella di utilizzare dei fondi di riserva per promuovere un volano che aiuti, in modo concreto, il mondo delle costruzioni.

C'è poi la promozione del territorio nella quale sono stati fatti investimenti significativi...

Su questo fronte voglio ribadire, con chiarezza, la nostra strategia. Il progetto di promozione del territorio, parte da un fatto innovativo: vogliamo finanziare solo una promozione integrata dell'Umbria. Sono d'accordo con quello che faceva presente Marcello Siena. Ricordo che in Umbria abbiamo delle aziende leader che dovrebbero essere elementi di traino per tutto il territorio. Bisogna capire quanto lo siano state finora. Noi possiamo caratterizzarci come territorio del cachemire, o del vino, o della meccanica, o del tartufo, o dell’olio e via dicendo. Non sempre però i conti tornano.
Come Camera di Commercio abbiamo cominciato a ragionare per distretti. Per esempio parlando del distretto del cioccolato, per il quale lavoriamo insieme ad altre 5 Camere di Commercio per sviluppare accordi e politiche comuni. Abbiamo fatto nascere anche il distretto del tartufo mettendo insieme, per la prima volta, i vari comuni, le pro loco, le associazioni locali, le comunità montane, dall’Alta Valle del Tevere, quindi da Città di Castello e Montone, fino a scendere a Scheggino, Norcia e così via, per creare un evento unico con protagonista il prezioso tubero che abbonda nel nostro territorio. E stiamo lavorando, proprio partendo dal concetto di filiera, sulla tracciabilità del tessile, un altro settore estremamente importante per l'economia regionale: per la prima volta 8 aziende umbre si sono presentate insieme a “MilanoVendeModa”. Non era mai successo prima.
C'è stata anche un'altra prima volta: a Milano ad AF, “L'artigiano in Fiera”, la maggiore mostra mercato nazionale del settore, l'Umbria ha proposto una promozione integrata del sistema di qualità di tutto il territorio regionale: l'artigianato come biglietto da visita di tutta la regione. Trenta artigiani in uno stand unico: una promozione integrata della regione Umbria, dai prodotti dell’agricoltura a quelli turistici, ad altri di vario genere.
I passi giusti si stanno facendo. Io credo che uno dei temi su cui ragionare sia ormai chiaro: fino ad oggi, la promozione del territorio, ma anche la politica del credito o gli aiuti da parte della Regione e del sistema camerale sono stati indirizzati certo all’impresa ma spesso e volentieri a quell’impresa che ha promosso il proprio marchio, la propria etichetta senza un’identificazione con la regione di provenienza. Per cui quell’effetto traino per il territorio del quale parlava anche Siena non c’è stato, oppure non c’è ancora in modo sufficiente.
Insisto su questo fatto: l’eccellenza di un’impresa è sicuramente dovuta alla capacità dell’imprenditore. E' innegabile, è fuor di dubbio. E va riconosciuto a chi guida, con capacità, la propria azienda. Ma ricordiamoci che anche il sistema in generale, dalla Regione alle Camere di Commercio fino alle banche, supporta l'impresa in vari modi. Per esempio, se arriva una delegazione dallo Sri Lanka, o dall’India, o dall’Argentina, si fanno visitare quelle imprese che sono punti di riferimento sul territorio. Spesso e volentieri sono visite di piacere, visite di cortesia. Ma in alcuni casi sono visite di affari. Questo compito le istituzioni lo hanno svolto e continueranno a svolgerlo. Ma il dovere dell'impresa è anche quello di restituire parte di quel valore aggiunto al territorio. Da parte nostra, vogliamo continuare a lavorare  solo ad una promozione dell'Umbria nel suo insieme.

La microimpresa soffre di più sotto il vento della crisi ed ha bisogno comunque di un supporto maggiore dal sistema.

Vorrei che si spendessero due parole sull’ultima, recentissima legge, approvata a all'unanimità nel mese di novembre, quella del coordinatore, l’onorevole Vignali, sullo statuto della piccola impresa. L’attenzione alla piccola impresa è prioritaria. Nafissi ha parlato della non competitività del nostro mondo rispetto ad altri mondi globalizzati, quindi anche noi dovremo adeguarci. Ma ricordo i primi tempi della crisi: non credo che si possano chiudere o ammazzare il 95-99 per cento delle imprese perché dobbiamo creare un 100 per cento o l’80 per cento di macroimprese.
Questo è il tema principale. In molti casi le leggi sono state fatte in modo parziale. E’ come quando i mancini si lamentano che tutto quello che viene costruito, compresi gli utensili da tavola, da cucina o quello che sia, viene fatto per gente destrorsa. Questo è quello che è successo in Italia per il mondo delle microimprese: tutti gli interventi che sono stati attuati, dagli ammortizzatori sociali al credito, fino alla promozione, sono stati cuciti addosso alle imprese medie o grandi. Per la piccola impresa non c'è mai stata attuata una politica specifica. Sono problemi che vanno assolutamente affrontati, ma ne dovrebbero parlare gli imprenditori, non le banche.
Si è parlato della durata della vita di queste imprese: se chiude un’azienda di 30-40 dipendenti, è un problema sociale; se chiudono 10 aziende di 2 dipendenti, sembra che non sia un problema di nessuno. C’è una differenza: per quei 30 dipendenti che sono in difficoltà perché non ricevono gli stipendi, c’è sempre la speranza che il marito o la moglie di chi che sta perdendo il lavoro abbia comunque un’occupazione.
Se prendiamo invece un’azienda artigiana o pensiamo all'attività di un commerciante, dove spesso e volentieri è uno solo o due dei componenti della famiglia che lavora, allora dobbiamo aver chiaro che tutti i componenti del nucleo familiare perderanno il reddito.
Ma questo è un problema che sembra non riguardare nessuno. In conclusione, quando la grande o media azienda è in difficoltà, noi tendiamo a socializzare i problemi, sia per quello che riguarda il credito sia per quello che riguarda i dipendenti. Ma chi paga le perdite? Sempre noi. E chi pensa alle altre imprese?
Perciò credo che la politica sul credito debba essere rivista. E che queste aziende non si rivolgano ai consorzi fidi per chiedere i finanziamenti, ma trattino in modo diretto con il sistema bancario, perché non hanno necessità di intermediazioni. Molte volte, abbiamo consumato credito – permettetemelo – anche nei confronti di grandi aziende che si ritenevano prestigiose per avere una certa clientela, che hanno assorbito anche quelle che potevano essere le disponibilità della banca. L’altro grosso problema è sicuramente quello di avere trasformato il debito a breve termine in debito a medio e lungo termine, ma nell’edilizia questo fenomeno è sempre esistito. Ricordo che si facevano addirittura i mutui fondiari, attraverso le cartelle fondiarie. Poi il debito veniva frazionato e venduto a chi comprava l’immobile. Si è sempre agito in questo modo.
Stiamo attraversando un momento di grande crisi, un momento di grande difficoltà, nel quale però la politica non ha svolto in modo compiuto il suo ruolo. Non si è forse prodotto più di quello che serviva? E l’orientamento al prodotto c’è stato? In molti casi, abbiamo messo in circolazione una serie di prodotti che forse il mercato non era più in grado di assorbire. O meglio, li ha assorbiti fino a una certa fase: finché c’era un mercato dove i canoni di affitto o altro potevano coprire il debito oppure la rata del  mutuo contratto con la banca.

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La discussione è stata ricca, articolata, con molti spunti, anche polemici. Al presidente Mencaroni il compito di provare a tirare le fila.

Non è che io abbia la presunzione di tirare conclusioni. Ma in riferimento a quanto ascoltato dal dottor Caldarelli e da altri, che hanno parlato di imprenditori che hanno tirato fuori i loro risparmi e li hanno investiti nell’impresa, ritengo che questo atto faccia solo onore all’imprenditore e anzi sia uno dei compiti dell’imprenditore. L’impresa dovrebbe essere questo, altrimenti siamo a come chi gioca al Superenalotto o al Totocalcio. Una lotteria: investe dei soldi, pochi, sperando di avere molto. Per cui un nuovo imprenditore è colui che non consideri l’impresa solo come una mucca da mungere ma come un animale domestico (che sia la gallina, o la capra o quello che sia), che deve produrre un reddito giornaliero ma che proprio per questo deve essere tenuta in vita.
Che cosa fare? Non lo so, non ci sono ricette magiche. Credo però che uno dei temi su cui agire – ed è stato accennato da Nafissi – sia quello inerente Gepafin, quindi della finanziaria regionale. Ricordo che in Umbria, qualche anno fa, si parlava della chiusura dei consorzi fidi. Non si è più fatto, i consorzi fidi vanno avanti, però ora parliamo di razionalizzazione. Sono d'accordo. Razionalizzazione delle associazioni, dei sindacati e via dicendo. I consorzi hanno già cominciato. Ma qual è la difficoltà? Ci sono associazioni che da tre consorzi sono passate ad uno: però anche il limite di cofinanziamento si è ridotto da 3 a 1. E’ qui l’altro grosso problema da affrontare. Se il limite era “x milioni” a consorzio, prima con 3 consorzi il moltiplicatore era 3, quindi si poteva garantire 3 volte di più i soggetti richiedenti. Per cui ritengo che la finanziaria regionale si debba chiudere più rapidamente possibile, altrimenti il sistema dei consorzi tenderà a crollare, perché non avrà più possibilità. Considerando le attuali difficoltà, mentre prima il sistema consortile era su percentuali di sofferenza che andavano tra il 2 e il 3 per cento, oggi siamo al di là della doppia cifra, quindi le banche cominciano a escutere, laddove chiaramente c’è la cogaranzia; quindi non so se tutti i consorzi ce la faranno a sostenere il momento e se i patrimoni saranno in grado di sostenere l’eventuale default che dovesse generarsi. Questo credo sia un primo passo fondamentale.
Aggiungo un fatto. Di recente abbiamo partecipato in Regione al Tavolo dell’Alleanza per l’Umbria. La presidente Marini ha avuto la sensibilità di recepire la raccomandazione da parte delle imprese di trovare una forma di investimento. La garanzia è un bene pubblico. Il mondo politico deve scegliere di destinare somme importanti a favore delle garanzie del credito. La coperta è corta, lo sappiamo: se se verrà dato da una parte, sicuramente si andrà a togliere da un'altra. Alcuni settori, come quello della sanità, sono rigidi. C'è una variabile di circa 40 milioni di euro sulla quale poter agire per poter spostare determinate somme. Bisogna scegliere ma non è detto che tutti saranno poi soddisfatti.
Le attività delle banche. Vorrei ricordare che l’attività principale delle banche è quella di vendere soldi. Credo che sarebbe assurdo se uno andasse a chiedere i soldi e le banche non glieli dessero, così come chi vende dovrebbe essere sicuro che lo paghino. Comunque, in questo momento, e ci è stato ricordato anche prima dal presidente Giovagnola, le banche raccolgono meno ma per più motivi; non è che raccolgono meno solo perché ci sono i titoli di Stato o altre forme di investimento che hanno redditi elevati e quindi, chiaramente, il costo del denaro sarebbe elevatissimo. C’è una raccolta diversa, perché il risparmio è eroso: le analisi per l’Umbria indicano che è l’unica regione che presenta un dato negativo con un -8,3 per cento di risparmio, tra 2010 e 2011, ed è il dato peggiore che esiste in tutta Italia. Quindi c’è meno risparmio.
La moratoria che cosa ha portato? Naturalmente a un non rientro di ratei o di quote consistenti, per cui anche la liquidità, che ritorna nel sistema del credito, è minore di quella precedente, la trasformazione di debiti o crediti per il sistema delle banche da breve a medio termine, ha ridotto ulteriormente questa disponibilità di liquidità.
A questo proposito, oltre la difficoltà dell’impresa, o del soggetto. che si presenta, vi è anche una difficoltà oggettiva del sistema del credito sulle disponibilità bancarie, di cassa. Non so poi se sia così o meno, ma mediamente i dati sono attendibili. Quindi il centellinare fa parte di una politica corretta sia per la banca sia per l’azienda, ma c’è sicuramente anche una maggiore attenzione perché le disponibilità sono calate.
Un’altra considerazione, su cui mi sembra che una risposta sia stata data, riguarda l’attenzione rivolta all’impresa da parte della banca, del sistema del credito, se sia parametrata a certi fattori o se si tenga conto – secondo quanto ci ha precisato il dottor Siena – solo della fotografia del momento; ad ogni modo, specialmente la banca locale fa anche una disamina della storia dell’impresa, o della credibilità del soggetto imprenditore.
Però una domanda sorge spontanea: quando un’impresa si presenta in banca, credo che i fattori fondamentali che si vanno a vedere – e riprendo in parte quello che ha detto il dottor Pasca – siano l’innovazione di impresa, la qualità, il management e i risultati economici.
Il dottor Caldarelli ha parlato dei margini operativi delle nostre aziende, che sono ridotti veramente all’osso; difatti, in un momento in cui il mercato tende a contrarsi in termini di commesse e di fatturato (lo ha ricordato anche Giardini), la concorrenza tra le imprese ha portato in tutti i settori a delle situazioni di “scannamento”. Sono convinto che ci siano aziende che in molti casi fanno forniture o lavorano sotto costo. E questo che cosa consente?
Consente, naturalmente, un fenomeno diverso, cioè che si possa andare a ricercare il credito al di fuori di quello ufficiale, legale, che si vada ricercare il credito presso un mondo, che è quello delle mafie, possiamo chiamarle usure, o come vogliamo. Si tratta di un problema serio da affrontare e valutare attentamente.
Ritorno ai quattro concetti che avevo espresso. L’innovazione innanzitutto. Poi il management, se era buono prima, ed è rimasto lo stesso, dovrebbe rimanere uguale. Quindi l’impresa virtuosa che vuole innovare, creare nuovi processi di marketing e chiaramente cambiare la propria azienda. Infatti, il dottor Pasca ci ha spiegato che chi ha compiuto questi passi sicuramente ha subito di meno il fenomeno della crisi. E' vero, questo è quello che ci risulta.
Si è parlato di internazionalizzazione. L’export umbro è aumentato del 4,2 per cento. Certo, parliamo di un export modesto, ma comunque è cresciuto del 4,2 per cento rispetto a tutti gli altri dati, che sono naturalmente negativi per quello che riguarda i mercati interni. Su questo aspetto bisogna ancora darsi da fare.
Come Camera di Commercio abbiamo anche emesso un bando su finanziamenti per le reti d’impresa, per l’avvio. Cerchiamo di completare quello che già fa la Regione per far far crescere la massa critica della nostra impresa. Fino ad oggi le garanzie venivano prestate sull’affidabilità della persona o del soggetto che rappresentava le imprese e su garanzie reali che erano rappresentate dal patrimonio immobiliare, 99 volte su 100. Ma adesso non dico che non venga preso in considerazione ma credo che il sistema ne sia oberato: difatti se il mondo del credito dovesse attivare tutte le garanzie attraverso il patrimonio immobiliare diventerebbe proprietario di più di mezza Italia!
Perciò, in questa fase, non dico serva una moratoria, ma deve essere gestito un periodo di passaggio perché si possa passare da garanzie a garanzie; perché oggi l’impresa che è in difficoltà e deve innovarsi non è detto che abbia reddito. Ma se il management era buono prima, se si ritiene ancora valido, può attuare dei processi senza costi. Ma l'impresa non può diminuire i costi solo mandando via le persone. Anzi, l’impresa che non è molto grande, se ha delle professionalità o elementi di qualità, tende a fare sforzi per mantenere quelle professionalità.
In questo momento, se l’impresa non ha altre forme di garanzia, non possiamo vietarle di portare avanti determinati processi. La banca deve valutare se l'imprenditore ha disponibilità proprie oppure se non vuole investire in azienda altro denaro. Però credo che gli istituti di credito debbano studiare un’azione di transizione, passando da una garanzia di tipo immobiliare a un'altra dovuta al reddito, cioè alla capacità di restituzione del debito da parte dell’impresa.
L’ultima cosa che è stata toccata nel dibattito è il tema degli incassi. Spesso e volentieri le imprese lavorano ma non riescono ad incassare e lamentano un credito. Questi crediti vengono portati nei bilanci come partite attive. Certo, va valutato quante di queste partite siano realmente attive. Ora l’imprenditore dovrebbe porre grande attenzione, anche nel momento in cui svolge un lavoro, ad avere quelle garanzie che questo lavoro venga pagato.
Concludo, rivolgendomi sempre alle banche. Il sistema del credito italiano, nel complesso, è buono. Dobbiamo riconoscerlo, altrimenti ci presentiamo sempre come i peggiori. Vi ricordo che in Inghilterra molte banche sono state comprate dallo Stato. Le nostre banche, grazie a Dio, chi meglio e chi peggio, stanno andando avanti con le proprie forze.