Il credito in Umbria

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Paolo Pasca

direttore Banca d'Italia in Umbria

Sui banchieri c'è un vecchio aforisma di Mark Twain, che rende bene l’idea: “Il banchiere è quel signore che ti presta l’ombrello quando c’è il sole e te lo chiede indietro quando piove”. In questi mesi piove molto forte e sembra che manchino gli ombrelli...


In tutti gli aforismi c’è del vero. E anche in questo. La verità è che dall’inizio della crisi noi sentiamo dire che  le banche non danno credito alle imprese, rendono più complicata la loro vita e così via. I dati, fino ai mesi scorsi, non indicano propriamente questo. Certamente il credito si è rarefatto negli anni della crisi, però i tassi di crescita sono sempre stati positivi, con una differenziazione: sono state più le grandi banche a restringere il credito che non le piccole. I tassi di crescita delle banche locali sono rimasti significativi in questi anni. Forse potremmo dire anche al dì la di quello che sarebbe stato ragionevole secondo la prudenza della gestione bancaria.
Ora siamo entrati in una nuova fase della crisi nella quale, in effetti, le banche stesse hanno problemi ad approvvigionarsi di denaro. Ormai il venir meno del mercato interbancario e l’elevato livello dei tassi di interesse pubblici rendono difficilissimo reperire fondi sul mercato. Quindi la provvista delle banche è fortemente ridimensionata.
Come avrete visto, anche il recente decreto del governo è intervenuto in soccorso di questa situazione, prevedendo la possibilità della garanzia pubblica sulla raccolta bancaria. Di fatto, la situazione rischia di diventare rapidamente insostenibile. Perché se le banche non raccolgono denaro o lo raccolgono a tassi di interesse elevatissimi, compatibili con quelli del resto della concorrenza rappresentata dai titoli pubblici, possono prestare poco. E quello che possono prestare lo devono prestare a tassi incompatibili con l’equilibrio finanziario delle imprese. In questa situazione noi rischiamo veramente un credit crunch. Peraltro, a chi addebitare la situazione attuale? Chiaramente, se non si risolverà il problema del debito sovrano, che sta mettendo in crisi l’euro, la via d’uscita sarà difficile, pur con tutti gli sforzi che, per esempio, la Bce sta facendo per finanziare le banche. Quindi il detto di Mark Twain è vero. Ma è altrettanto vero che oggi la situazione oggettiva è tale per cui è difficile imputare alle banche comportamenti non friendly nei confronti della propria clientela.

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Gli aiuti alle banche sono aiuti al sistema perché tutti dipendiamo dalle banche. La garanzia dello Stato sulle attività bancarie è un primo passo per riaprire il rubinetto del credito. Gli interventi a favore della tracciabilità del denaro porteranno introiti maggiori agli istituti di credito attraverso l'aumento del volume delle commissioni.  C’è una minipatrimoniale sulle attività finanziarie, i fondi, le polizza vita che farà crescere le intermediazioni bancarie. E la decisione della Bce che ha tagliato i tassi e il costo del denaro sceso all'1 per cento. Sono stati approvati finanziamenti di denaro alle banche per 36 mesi. Una liquidità molto più ampia. Un segnale forte. In sostanza, stiamo aiutando le banche per aiutare noi stessi. Ma questo aiuto sarà ricambiato? Oppure questo fiume di denaro, come è successo in passato, si disperderà negli “scandalosi” compensi ai  manager e in grassi dividendi per i maggiori azionisti?

Noi ci mettiamo sempre nella prospettiva di che cosa fa il credito per le imprese. Riflettiamo anche su cosa le imprese devono fare per loro stesse, come ha osservato il presidente Mencaroni. I risultati delle indagini campionarie, che noi facciamo periodicamente, sono solari, i dati evidentissimi: le imprese che meglio hanno superato le crisi non sono state quelle che sono rimaste a guardare aspettando che passasse la bufera, né quelle che si sono limitate a tentare di contenere i costi, ma sono quelle che sono state capaci di produrre innovazione di prodotto, innovazione di processo, innovazione di mercati.
In effetti, le imprese umbre, che meglio e più rapidamente hanno superato la crisi, sono state proprio quelle che l’avevano subita per prime: vale a dire le imprese esportatrici, naturalmente quelle imprese che sono capaci di andare a cercare i mercati, là dove si trova la domanda.
Questa innovazione, questo processo di elevare la qualità del proprio prodotto e differenziare i propri mercati, è il compito che l’imprenditore oggi ha di fronte. Questa capacità dell’impresa di rinnovarsi e di generare nuova domanda è stata premiata anche dal credito. Al riguardo, le indagini sono molto chiare, come notava prima Caldarelli: le banche hanno differenziato significativamente la propria politica di credito a seconda dell’equilibrio finanziario, ma anche delle prospettive delle imprese che avevano di fronte. Al sostegno generico indifferenziato, cui faceva riferimento il dottor Siena, si sostituisce un sostegno mirato e strettamente legato alle caratteristiche e alle prospettive dell’impresa. E questo è un punto.
I nuovi provvedimenti sono numerosi. Indubbiamente, la scelta della Bce di ampliare i cordoni della borsa, il decreto, la garanzia pubblica concessa alle banche sono dei passi avanti per cercare di aprire i rubinetti del credito e i rubinetti del credito a quel punto dovrebbero riaprirsi là dove la situazione si normalizzi, perché le banche hanno una serie enorme di prestiti alle imprese nei loro portafogli e sanno benissimo, come ha puntualizzato il dottor Siena, che senza nuovo credito quei prestiti si trasformeranno in sofferenza.
C’è, pertanto, un forte interesse delle banche a continuare a sostenere la clientela che mostri di meritare il credito. Poi non tutti questi provvedimenti saranno decisivi. Sì, forse, quello dei mille euro genererà un flusso di commissioni maggiore, salvo che non si arrivi a una determinazione per legge delle commissioni che finirà per ridurre il beneficio. Per quanto riguarda l’imposizione di tasse sui conti titoli e sui conti correnti, non sono misure né nell’interesse della banca né nell’interesse del cittadino, perché ovviamente rendono più costoso e più complesso mantenere le proprie risorse presso una banca italiana; in qualche caso, probabilmente, sono fattori che stimolano più l’uscita dei capitali dall’Italia che non benefici per le banche.
Comunque ritengo che la storia dei mesi precedenti, in questa nuova fase di crisi, ci indichi che le banche sono disponibili ad accompagnare la propria clientela negli anni a venire. Il problema è se si riesce – come questi provvedimenti, forse, potrebbero suggerire che si stia procedendo – a far rifluire il credito nel sistema.

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Ma il numero dei consorzi fidi italiani è molto più alto di quello degli altri paesi europei.

La provocazione è assolutamente utile perché anche qui dobbiamo dirci le cose che realmente sono state fatte. Da questo punto di vista il potenziamento dei sistemi di garanzia è importante: oltre il 40 per cento dei finanziamenti garantiti, in tutta l’Europa, è garantito dai confidi italiani. Una prassi radicata. Un sistema fatto di piccole imprese ha bisogno di un sistema di garanzia molto forte.
Aggiungo che la Banca d'Italia sta svolgendo uno studio a livello mondiale attraverso KPMG. Da tutti i sistemi economici del G20 viene fuori che la garanzia è un bene pubblico, che ha bisogno di un sostegno pubblico, perché diventa un elemento per ridurre quelle simmetrie in termini di concorrenza che si riscontrano in molti campi.
Da questo punto di vista si è riscontrato nei maggiori paesi del G20, anzi, in tutti i paesi del G20, come la garanzia ha un sostegno pubblico importante, proprio perché è considerato un bene pubblico, poi ci sono varie modalità di erogare questo bene pubblico e qui entriamo nel merito dell’efficienza o della non efficienza dei confidi.
Detto questo, non c’è dubbio che il sistema di garanzia sia da razionalizzare. E su questo devo dire che l’Umbria ha dato un buon esempio. C’erano tanti confidi: oggi abbiamo tutti confidi di natura regionale per ogni associazione di categoria e addirittura, come sapete, si sta ragionando di un progetto, insieme a Gepafin, un “progetto baricentro”, con Gepafin al centro del sistema e i confidi comunque come rete di sportelli che hanno il contatto con le imprese, che fanno assistenza, consulenza e garanzia.
 

Un progetto su cui si discute da tempo. Ma i tempi sembrano rallentati.

Forse dovremmo essere un pochino più veloci. Però da questo punto di vista il sistema Umbria si è razionalizzato. Vi do un dato nazionale: i confidi dell’artigianato, nel 2000, erano 414, oggi sono 130. Allora continuiamo a dire che il sistema si deve razionalizzare, benissimo, ma dobbiamo immaginare che, per esempio, il sistema di garanzia tedesco prevede un soggetto solo pubblico, sono 20, non più, perché ne hanno uno per Länd, e a quel punto svolgono una funzione (che non è la funzione che svolgono i confidi italiani) di fatto, diventa una specie di bancomat, nel quale le banche vanno a prendere il pezzo di garanzia.
Ma nel caso della piccola impresa, non c’è dubbio che il ruolo fondamentale svolto dal Confidi è proprio quello dell’assistenza finanziaria, della quale l’impresa ha assolutamente bisogno. E' in atto una collaborazione straordinaria tra il mondo dei confidi e la Banca d’Italia, sia in questa fase di vigilanza dei nuovi intermediari finanziari sia in fase di revisione della normativa. Saprete che è in discussione proprio la riforma del Testo unico bancario e devo dire che da questo punto di vista si è aperta una stagione di grandissima collaborazione, anche molto fruttuosa. Però i fatti sono oggettivi. Forse in alcune regioni questo sistema si deve ancora razionalizzare, soprattutto al sud. Ma parlando dell’Umbria, dobbiamo dare atto alle associazioni, che sono i soggetti promotori di questo sistema, di avere fatto uno sforzo straordinario.
Chiudo, dicendo che forse queste risorse – e mi fa piacere che ne abbia parlato anche il presidente Mencaroni – vanno meglio finalizzate. Soprattutto dobbiamo razionalizzare la filiera della garanzia perché ci sono troppi soggetti che intervengono sulle stesse identiche cose, con livelli di concorrenza tra controgaranti, tipo il fondo centrale, e garanti, cioè i confidi, con fondi regionali che spesso e volentieri non sono finalizzati. Da questo punto di vista possiamo fare molto e noi ci stiamo provando.