Prezzi e tariffe dei servizi pubblici locali

Interventi del pubblico

Procediamo rapidamente con gli interventi degli iscritti a parlare che sono in platea.


FEDERICO FIORUCCI, Coordinatore regionale Confcommercio Umbria.

La metà delle cose che avrei detto già le ha dette il presidente Mencaroni, per cui sarò brevissimo. Solo alcune notazioni.
Abbiamo studiato il documento che ci è arrivato e ringraziamo chiaramente l’Unioncamere per questo pregevole lavoro perché sicuramente quello che avevamo in Umbria fino ad oggi era aggiornato al 2008. Quindi nel metodo e nel merito siamo molto contenti di questa attività, anzi, auspichiamo che possa essere reiterata con la scientificità che la contraddistingue, perché questa è la base conoscitiva che serve per poter fare confronti e anche proiezioni, perché spesso guardare nello specchietto retrovisore poi ci aiuta a guardare anche davanti.
Cito nuovamente una frase che è già stata pronunciata: i costi delle tariffe costituiscono un fattore di produzione. Chiaramente parliamo delle imprese, non delle famiglie, lì è un altro tipo di fattore, un fattore sociale. Per le imprese sono fattori di produzione e quelle differenze, sia per quanto riguarda il servizio idrico che per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, sono una leva, hanno un effetto dumping. E’ importantissimo sapere che in un comune il differenziale può variare non di qualche centinaia di euro, ma, come ricordato dal presidente Mencaroni, di decine di migliaia di euro. Un differenziale che fa riflettere: pensiamo, ad esempio, che con quei denari si potrebbe assumere una persona.
Un’annotazione sul servizio idrico. Com’è noto, l’acqua è un bene primario. E notiamo che anche nell’acqua esistono delle sperequazioni tra settore e settore. Per esempio si è visto che per i reflui industriali non è previsto in alcun Ati alcun tipo di tassazione. Idem con patate per quanto riguarda la Tarsu. La faccio molto semplice: su quelle differenziazioni, per le quali molto elegantemente il presidente Mencaroni diceva “qualcuno paga per altri”, va detto in modo diretto che è il terziario che paga per altri settori.
Questo è un dato evidente. Tra l'altro Silvio Ranieri sa che abbiamo chiesto e per ora ottenuto un tavolo con il presidente dell'Anci Boccali proprio per parlare di questo argomento.
Anche in vista della Tares. L'articolato che oggi abbiamo a disposizione è molto stringato e non ci fa intravedere più di tanto. Ma non vorremmo ripercorrere strade sbagliate sulle quali abbiamo avuto più volte occasione di scontrarci con le amministrazioni comunali. Dobbiamo riflettere sull'ultima considerazione fatta dal presidente Antonielli. Mi riferisco alle scelte scelte politiche sottostanti ai coefficienti che caratterizzano i settori.  Nei range stabiliti dai decreti ministeriali sappiamo che i comuni possono addossare a un settore piuttosto che a un altro l’incidenza del costo: una parte sostanziale di questo gravame.
In questo caso, molto spesso i soggetti del terziario sono stati svantaggiati. I dati di questa indagine lo acclarano in maniera evidente. In sostanza, dietro queste scelte c’è una volontà precisa di far pagare qualcuno, che molto spesso è il terziario, rispetto ad altri settori. Dietro ci potremmo leggere di tutto, ci potremmo leggere la mistica di san Giuseppe, come qualcuno che conosco pensa di poter fare. Lo dico in maniera molto diretta: spesso noi abbiamo pagato per altri, in maniera molto chiara e evidente.
A proposito di tariffe, molto spesso uno pensa: ma a casa quanto pago di Tarsu? 200, 300 o 400 euro? Perché questi, del bar o de ristorante, si lamentano? Perché per un bar o un ristorante molto spesso la Tarsu o la Tia comportano una spesa di decine di migliaia di euro. I 60mila euro citati prima dal presidente Mencaroni sono un fattore determinante nel bilancio di un’azienda, non certo un elemento irrilevante. Pagare il vuoto per il pieno è una iniquità che va eliminata. Per cui vorremmo cogliere l’occasione, dato che sarà introdotta la Tares, proprio per evitare queste “iniquità”.
Faccio un altro esempio: un agriturismo (così non scomodo solo gli artigiani). Il codice del turismo nazionale emanato dal precedente governo, ha equiparato in tutto e per tutto l’attività agrituristica a un’attività ricettiva alberghiera. Stesso lavoro ma una quota da pagare nettamente diversa. Come lo chiamate voi questo? C'è un effetto dumping terrificante. Queste iniquità devono cessare in una società che si voglia dire civile.
Abbiamo chiesto all’Anci un tavolo proprio per andare a discutere di queste cose perché vogliamo parlarne da pari con le istituzioni che ci stanno di fronte. Perché è importante porre questi temi non semplicemente per creare il problema, ma anche per suggerire delle soluzioni: noi non siamo qui per distruggere Babilonia o per costruire Gerusalemme, sappiamo perfettamente che dietro a tutto questo c’è un grande lavoro.
Ma abbiamo anche aperto un altro tavolo, legato a queste materie. La materia ambientale di per sé ha una portata che non si chiude con la Tarsu. Siamo coscienti di un fatto: l’ambiente è un fattore di produzione incredibile, soprattutto per il terziario. Quindi un ambiente ben curato e pulito, dove la gestione dei rifiuti è un pezzo ma non è il tutto, sicuramente per noi è un fattore determinante, come lo è chiaramente per l’agricoltura e per altri settori. Ma per noi che siamo inglobati nel territorio, e produciamo servizi, è chiaro che questo vale anche a maggior ragione.
In questo contesto, abbiamo chiesto all’assessore Rometti l’apertura di un altro tavolo – questa è un’altra notizia molto importante – per discutere di tutte le problematiche legate anche al discorso dei rifiuti, in materia ambientale. Proprio perché su questo tema si stanno scatenando una molteplicità di organi di controllo che stanno devastando la situazione. Questo è un altro fronte importantissimo per le imprese, e su questo abbiamo creato una grande cordata per far sì che vengano chiarite  interpretazioni difforme da parte di organi di controllo tra loro sovrapposti. Quindi servono più tavoli su questa materia per arrivare a delle visioni e interpretazioni utili per tutti.


CRISTINA ROSETTI, Presidente Associazione MDC Perugia.

La mia associazione di consumatori si chiama “Movimento a difesa del Cittadino”. Queste iniziative sono molto interessanti, perché il mondo delle imprese non è un mondo che non riguarda gli utenti e i consumatori. E probabilmente dovremmo trovare, secondo me, dei nuovi strumenti di dialogo perché su molte cose possiamo andare avanti insieme.
Mi spiego: ho molto apprezzato quello che ha detto il presidente Mencaroni, che è stato poi sottolineato  anche da Confcommercio, sul problema dei rifiuti, per esempio. Tutti i servizi dovrebbero vivere secondo un criterio di corrispettività: tu mi dai un servizio, io ti pago per il servizio che mi dai. Al riguardo, da un po’ di anni, Antonielli lo sa, siamo impegnati in una battaglia. Molti comuni e numerose aziende hanno inserito la “tariffa puntuale”. Perugia da questo punto di vista è avanti: ha introdotto il sistema della raccolta domiciliare che sta dando ottimi risultati, e anche in altri comuni dell’Umbria si stanno ottenendo risultati apprezzabili. Ma dobbiamo fare uno sforzo ulteriore, dobbiamo andare con decisione verso la cosiddetta “tariffa puntuale”, perché non è possibile che anche sul singolo cittadino ricadano i costi di chi differenzia male. Nella raccolta differenziata si misura anche la capacità e l'efficienza dell’azienda. La presidente della Regione, Catiuscia Marini, nei suoi atti di programmazione, si è posta un obiettivo: quello di fare fruttare il materiale riciclato. Proprio dal riclico l’azienda può ricavare un profitto, un ricavo, che poi si riverbera sulla tariffa. Anzi, alla fin fine si dovrebbe arrivare ad abbattere la tariffa. Questo è quello che tutti i comuni dovrebbero fare.
Faccio, però, notare, presidente Mencaroni, e lo voglio segnalare in questa sede, che secondo la mia esperienza, ai tavoli di concertazione – con il comune di Perugia nello specifico –  purtroppo, le associazioni di categoria non si sono mai associate alla battaglia per la “tariffa puntuale” sui rifiuti. Così come quando si parla di servizio idrico integrato, non dicono quello che lei ha spiegato oggi: come mai io devo andare a pagare anche le inefficienze, cioè quelle rappresentate dall’acqua che noi sprechiamo? Come mai si chiede ai negozi che hanno un piccolo bagno e un consumo medio annuo di 2 metri cubi di pagare un adeguamento di deposito cauzionale, perché hanno pagato oltre i dieci giorni di ritardo una fattura negli ultimi due anni e per questo vengono chiesti 152 euro? Questi soggetti vengono dalle associazioni dei consumatori. Cosa fanno le associazioni di categoria? La fanno la battaglia con noi oppure no?
Insomma, ci sono, secondo me, dei settori su cui noi possiamo lavorare insieme. Più volte, anche insieme ad altre associazioni, abbiamo discusso del problema dei servizi.
Noi abbiamo un osservatorio, che si chiama “Tariffe e Tributi”. Un osservatorio regionale. E sappiamo che i costi dei servizi incidono, ovviamente, anche sui bilanci delle imprese. Questa situazione apre problemi nuovi: per un singolo cittadino è più conveniente vivere a Perugia o a Foligno? Sotto il profilo dei costi è più conveniente avere un albergo a Perugia o a Spoleto? Questa materia secondo me va affrontata a 360 gradi, in un tavolo generale e in tutti i comuni.
Per quanto riguarda la Tia una categoria può pagare per un'altra. La Tarsu è iniqua: finché non entrerà in vigore la nuova norma che stabilisce che con la tassa si dovrà coprire tutto il costo del servizio, quella parte che non è coperta dal costo del servizio ricade sulla fiscalità generale. Il risultato è che per le categorie paga anche il singolo cittadino.
Allora oggi lancio una provocazione e un invito. L’associazione degli industriali non si può presentare al tavolo di concertazione del comune di Perugia e poi l’unica cosa che chiede è un tavolo separato per avere uno sconto sul servizio idrico. L’impresa è efficiente nel momento in cui riesce a creare all’interno dell'azienda un impianto per riciclare l’acqua; è efficiente nel momento in cui sfrutta la migliore tecnologia per poter più adeguatamente gestire i rifiuti. Dobbiamo allora mirare a questo obiettivo.
Le liberalizzazioni sono anche una provocazione. Noi viviamo in un sistema imprenditoriale ingessato. Molte imprese vivono di assistenzialismo e questo non è più possibile. Lasciamo che i negozi decidano liberamente i loro orari di apertura. Accettiamo questa sfida. In fondo, è un modello che noi non abbiamo mai adottato: forse funzionerà peggio, forse funzionerà meglio. Però porre già le barricate, come ha fatto Coop Centro Italia, riproponendo il protocollo e gli accordi sui turni, è anacronistico. Cerchiamo invece di andare avanti insieme.


Serviranno tavoli comuni ma poi occorrerà giungere ad una decisione condivisa.


RANIERI Ormai non c’è più spazio di reddito se non risparmiando sui costi che le aziende, ma anche gli stessi cittadini si trovano continuamente a sostenere. La decisione è obbligata. Noi, come Anci, chiediamo al governo un’azione di compartecipazione. Vogliamo essere parte attiva in un processo di riforma. Per cui anche l’Anci, in questo contesto, insieme alle associazioni di categoria, dovrebbe farsi carico di un ragionamento di prospettiva: non possiamo più pensare che di fronte a una diminuzione di risorse le amministrazioni possano rispondere, come hanno fatto sinora, in maniera quasi obbligata, tagliando le risorse ed aumentando le tariffe. I tessuti economici non sono tutti uguali. Non tutti vivono nello stesso territorio, non tutti hanno un particolare tipo di utenza.
Quindi occorre individuare elementi in cui ci sono possibilità di incremento, di maggiore redditività, e scontare, invece, quelle aziende, quelle attività, quei settori che hanno dato un maggiore contributo.
Vorrei concludere su una questione, che non è stata oggetto di approfondimento all’interno dell’Anci: quella delle liberalizzazioni. Sono una scommessa per tutti. Credo siano un’opportunità anche per un’ulteriore organizzazione dei tempi della città. Ma non possono essere chiamate le istituzioni a porre le regole in un concetto di liberalizzazione. Occorrono tavoli e confronti. Evitare una deregulation estrema può essere utile, ma secondo il mio parere personale, ho molte riserve su quanto ha fatto, per esempio la Regione Toscana, che ha presentato un ricorso per invitare a formulare una legge.


Un nuovo sistema di regole. E un impegno maggiore  che attende le amministrazioni locali. La Tares prossima ventura porterà, nella sua applicazioni, molti problemi.


BERARDI La questione è ingarbugliata. La nuova Tares viene presentata come una tassa, ma si vorrebbe che funzionasse come una tariffa. E ci sono due strade abbastanza chiare, emerse anche quest’oggi. In un’ottica di tariffa la direzione dovrebbe essere quella di andare verso esperienze presenti in alcune realtà: Veneto, Trentino, Germania, Austria, dove un certo tipo di coscienza civile supporta il fatto che si arrivi a misurare l’effettiva produzione di rifiuto, perché nessuno ha incentivo a trovare delle vie traverse: per cui, se produco 10, conferisco 10. Sappiamo che ci sono esperienze, magari non di questo territorio, ma di realtà abbastanza note in Italia dove diventa un po’ problematico immaginare una gestione da senso tecnico di tariffa.
Andare nella direzione della tassa, invece, ci riporterebbe a ripensare al servizio di igiene urbana come una tassa di possesso, come ricordava prima il presidente Mencaroni.
Sono due direzioni che per essere implementate necessiterebbero di soluzioni organizzative diverse. Trovare una soluzione ibrida, da una parte, può sembrare “l’uovo di Colombo”, dall’altra, forse, non ci aiuta a prendere una direzione chiara.
Sicuramente oggi siamo più indietro rispetto alla Tares. Credo che circa 6 mila Comuni italiani oggi applichino ancora la Tarsu. Quindi che abbiano ancora la struttura di un tributo, che non distingue tra un negozio da esercizio di ortofrutta con un'elevatissima producibilità di rifiuto e un salone per l’esposizione delle auto che non ne ha nessuno o di un albergo che invece ne ha molto poca.
Quindi siamo comunque di fronte ad passaggio epocale: 6 mila comuni italiani, da qui al prossimo anno, dovranno porsi il problema di allocare questo costo della raccolta e dello smaltimento del rifiuto con criteri più definiti alle attività produttive. Questo sicuramente necessiterà da parte delle categorie di un’attenzione al tema e di un supporto anche verso gli enti locali.
Dopodiché, rimaniamo a una soluzione ibrida, che che comunque, quando attuata, sarà sicuramente migliorativa rispetto a questa giungla nella quale di fatto veniamo a trovarci oggi.
E’ un punto di partenza, poi forse una volta arrivati ad avere almeno un minimo comune denominatore, si potranno trovare soluzioni più specifiche, ma credo che su questo anche vada trovato un punto di contatto con le amministrazioni locali. Perché poi non esiste un sistema unico di gestione del rifiuto. Probabilmente ogni realtà avrebbe il suo sistema ottimale. E’ un percorso da fare.


Un percorso complicato per uscire da una giungla di regole diverse.

ANTONIELLI Vorrei tornare su alcuni spunti suggeriti anche dal presidente Mencaroni. Mi piacerebbe fare una cosa che non ho mai fatto, cioè analizzare la contabilità che abbiamo con Perugia e vedere quanto ci costa la gestione del centro storico, delle manifestazioni culturali come Umbria Jazz, dei mercati, di tutta una serie di servizi generali che non vengono resi ai 12 mila abitanti del centro storico, perché altrimenti non so quanto dovrebbero pagare quei 12 mila cittadini. Sicuramente lì dentro c’è qualcosa che attiene alla generalità del servizio che offriamo e di cui parliamo. E sono costi che la collettività deve pagare nel suo insieme.
Ovviamente, il decoro credo sia importantissimo per gli alberghi. Io sto insistendo perché, per esempio, si faccia una cosa che non viene fatta che è quella della pulizia delle strade di accesso alla città. Se come turista trovo mucchi di cose che buttiamo dai finestrini delle macchine, può darsi che abbia voglia di fermarmi a Perugia un giorno in meno. Per cui il decoro è un elemento che dovremmo incentivare, certo trovando forme più eque, perché quella differenza che ho fatto vedere tra i Comuni non credo che sia giusta. Poi non so quanto guadagna un albergo a Marsciano rispetto a un albergo a Perugia, e non so se quella sia la differenza giusta. Ma credo che una riflessione su questo argomento vada comunque fatta.
Sul discorso che faceva prima la rappresentante  dell’associazione consumatori, non so se alla fine arriveremo alla verità, pesando i rifiuti, che tra l’altro costa di più. Io credo che si debba rispondere ad una domanda generale: io spendo 100, ma quel 100 viene speso bene o no? L’azienda alla quale io do quel 100 è efficiente o no? Potrebbe fare lo stesso lavoro con 80 o invece sta facendo un miracolo? Questo è l’aspetto nel quale dovremmo addentrarci. E chi deve pagare quella cifra?
 C'è quindi un lavoro che dovrebbe essere fatto sui servizi pubblici locali. Parlo delle mie tariffe, ma mi riferisco anche alle altre. Insomma, il discorso che gli acquedotti perdono acqua quant’è in controsenso con il fatto che noi abbiamo votato in un referendum una legge che stabilisce che non devi remunerare il capitale che utilizzi per fare investimenti, per tappare quei buchi? Parlo di assurdità ma spero che nel prossimo decennio si arrivi a una conclusione migliorativa per tutti.


JEAN PAUL SIA Giornalista, Apt regionale

A questo proposito, so che è una provocazione, ma non è obbligatorio che per remunerare questo capitolo l’impresa debba essere ceduta a privati: sono operazioni che si potrebbero fare mantenendo chiaramente la forma pubblica.

L’Umbria alle soglie del federalismo, per le sue dimensioni e per il suo tipo di economia, ha davanti delle sfide forse più difficili del resto delle altre regioni. E' inevitabile chiamare in ballo la politica.
 

GENNAI La politica è importante perché in Umbria l’incidenza della spesa pubblica è mediamente superiore alle altre regioni del Centro Nord. Ma è interessante riflettere, come si sta facendo in questo dibattito, sul mondo dei servizi, delle tariffe pubbliche e delle tasse. Essendo quella umbra un’economia molto orientata ai servizi, e scarsamente orientata all’export, è ovvio che poi la torta su cui si devono andare a trovare risorse attraverso il sistema di tassazione, diventa, sostanzialmente, quella dei servizi. E spesso sono servizi a basso valore aggiunto. Quindi la partita per il futuro in una regione di questo tipo, ahimè, si consumerà da questo punto di vista. Basta guardare gli indicatori: l’Umbria è cresciuta meno del resto d’Italia nell’ultimo decennio e ha un Pil al di sotto della media, anche del centro Italia. Quindi un’economia che non si è aperta. Addirittura l’incidenza dell’export è inferiore al 20 per cento.
Anche questi segnali di piccola ripresa che ci sono a livello internazionale poco hanno scosso il territorio perché siamo di fronte ad un’economia, appunto, molto chiusa. Per cui l'Umbria è attesa da sfide più forti di quelle che dovranno pur affrontare altre regioni italiane. Sfide strategiche di lunghissimo periodo. Nel frattempo, le cose spicciole da fare sono obbligate: bisogna potenziare, per quel poco si può fare, la domanda interna. Razionalizzare le spese. Ma dubito che ci possano essere grandi impatti in termini di crescita del prodotto interno lordo regionale.

Presidente, export, export, export...


MENCARONI Gennai ci ha ricordato che il Pil regionale è tra i più bassi d’Italia e che anche lo sviluppo della nostra regione è tra i più lenti. Vorrei però citare un dato recente fornito da Unicredit Centro Italia: la regione Umbria è quella a più basso tasso di default delle aziende. Siamo al 4,2%: 3,8 Perugia, 4,6 Terni; le Marche sono all’8,4, la Toscana al 4,6, l’Emilia Romagna attorno al 12.
Teniamo presente anche questo quadro. Ci sono tutta una serie di fattori da considerare, da una più bassa  imprenditorialità, una più forte presenza del pubblico, una dimensione aziendale più contenuta. Ma questo dato sul rischio default delle aziende è certamente un fatto positivo per la nostra economia. Detto questo, lo sviluppo dell'export è fondamentale.
C'è stato un grande sforzo da parte della Regione con la predisposizione del Documento annuale di programmazione. E abbiamo posto una grande attenzione sui problemi del credito. Voglio ricordare che la Regione Umbria, su sollecitazione del mondo associativo e del sistema camerale, rivedendo la sua programmazione, ha appostato una somma di 20 milioni di euro a disposizione del credito, agendo attraverso Gepafin, nei consorzi fidi. Una somma importante. Come quella che è stata destinata alla stabilizzazione del personale dipendente.

Rimane la difficoltà di esportare i prodotti regionali...
 

MENCARONI Per stabilizzare i dipendenti ci vuole lavoro e occorre, naturalmente, vendere il prodotto che si produce; quindi è inutile avere una compensazione molto alta sulla stabilizzazione. Alla fine, chi stabilizza, se io non riesco a produrre e a vendere? Quindi dovrà essere posto, secondo me, un maggiore sforzo sul fatto di poter vendere, al di là della dimensione strutturale della nostra economia.
Va ricordato il bando, sempre da parte della Regione, sulle reti d’impresa. Noi dovremo lavorare per attivarlo. Sappiamo che non è semplice mettere insieme più soggetti. Noi abbiamo provato a creare una minima rete, contando, per ora, su una sorta di  volontariato. Ma il bando regionale prevede qualcosa di stabile. Non stiamo parlando di un'Ati e cioè di una associazione temporanea d’impresa né di una forma consortile, ma di una rete di impresa costruita su vincoli e legami molto stretti che sia in grado di affrontare i mercati nazionali e internazionali. Insomma, il bando c'è ma non so quante tra le nostre imprese saranno in grado di compiere questo passaggio.
La Camera di Commercio lavora comunque per fare squadra. Ci siamo riusciti, ad esempio, agendo attraverso un prodotto nazionale dell’Unioncamere, che è quello dell’ITF (Italian Textile Fashion). Siamo partiti dalla tracciabilità del prodotto: sono state coinvolte 8 imprese del settore del cachemire ed è stato prodotto un folder unico, “Touch of Umbria”. Per la prima volta queste 8 imprese hanno partecipato sotto un unico marchio, mantenendo comunque ognuna la sua identità, a “Milano Vende Moda” nello stesso mese di ottobre. E, sempre insieme, hanno gestito la comunicazione pubblicitaria dell'iniziativa.
E' un primo esempio. Non è una rete d’impresa. Ma noi dobbiamo lavorare per questo obiettivo: far lavorare insieme più imprese dello stesso settore, con gli stessi prodotti da presentare sul mercato.
Un tentativo lo abbiamo fatto e lo stiamo seguendo anche sul cioccolato. A volte alcune notizie, seppur ripetute sfuggono all'attenzione generale. Ma voglio ricordare che nella provincia di Perugia ci sono 120 aziende che operano nel campo della produzione di cioccolato e packaging per lo stesso settore. Le abbiamo messe insieme e le abbiamo seguite in alcune fiere e manifestazioni all’estero.
Per quanto riguarda il mondo dell'artigianato. abbiamo partecipato a una fiera a Milano che riguarda il settore dell’artigianato: le due organizzazioni dell’artigianato regionale si sono messe insieme, coordinate in questo caso da Unioncamere. Per la prima volta si è presentato il prodotto “Umbria” nella sua interezza, ma in quella che era una fiera con vendita, si è parlato anche turismo, ambiente, tecnologia, tessile e di tutti quelli che sono i prodotti strategici della nostra regione.
Sui mercati esteri bisogna andare insieme ed in modo organizzato. Abbiamo iniziato nel 2009 ad individuare i paesi target ed i prodotti target, sui quali compiere azioni coordinate. Siamo quindi intenzionati a privilegiare dal punto di vista dell'assistenza e dei contributi quei soggetti che sposano questa filosofia di intervento. Come dico spesso, in molti casi si va ad “impollinare” un po’ da tutte le parti, ma con risultati spesso deludenti. Troppe volte abbiamo agito più da vespe che non da api: le api vanno sul fiore e qualcosa riportano nell’arnia, le vespe invece girano, “annaspano”, come si dice in perugino, ma spesso e volentieri non riportano nulla. Quindi noi dovremmo essere per il futuro più api che vespe.
 

 

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