Industria culturale, leva del turismo in Umbria

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Josep Ejarque

professionista in destination management e marketing

Nella società che il sociologo Zygmunt Bauman definisce “liquida”, anche il turismo è sempre più inafferrabile, sempre meno catalogabile. Ma paesi con meno bellezze delle nostre riescono a “commercializzare” il doppio dell'Italia. La promozione turistica e la comunicazione, nell'era di internet, corrono veloci. Come può la piccola Umbria far sentire la sua flebile voce in questo frastuono informativo? Cosa serve fare per farsi sentire?


Conosco bene l'Umbria. Almeno ogni tre mesi sono ospite nella vostra regione. C’è un elemento fondamentale, su cui dobbiamo in qualche modo cominciare a riflettere. Sappiamo che Francia e Inghilterra utilizzano la cultura per creare indotto economico. L'Italia invece, per definizione, non utilizza la cultura.
Tento di spiegarmi meglio. Quando si parla del turismo culturale noi abbiamo storicamente avuto una tendenza a creare soprattutto eventi culturali. Ma il turismo culturale non è fatto soltanto di eventi. E' anche andare alla scoperta di un luogo, conoscerlo, in qualche modo ad “entrare” in quel territorio. E su questo, in Italia, facciamo molta fatica rispetto ad altri paesi europei.
E l'Umbria? Chiedo scusa per la brutalità di quello che dirò: noi abbiamo una materia prima straordinaria dal punto di vista culturale ma anche paesaggistico, ma questa materia prima è grezza. Per anni, nel settore turistico, abbiamo sfruttato questa materia, ma abbiamo dato poco valore aggiunto. Il vero problema è che tutti i competitors, hanno invece saputo fare molto bene proprio quello: dare valore aggiunto al turismo, alla materia prima. Ad esempio, la Francia che ha creato il prodotto turistico culturale. Noi non ne siamo stati capaci, nonostante la straordinaria ricchezza dei borghi e dei paesi dell'Umbria. Lo stesso è accaduto in Inghilterra, dove, come ci dicono i dati di tutte le analisi statistiche, la cultura produce ricchezza, ogni anno di più.
L'Umbria fa fatica a “vendere” la propria offerta turistico-culturale. Se è capace ancora di sedurre il visitatore lo fa in modo antiquato. Ma il turismo è cambiato e è cambiato anche il cliente. E l'Umbria non ha cambiato il suo prodotto, la sua offerta turistica che risponde alla domanda di una vecchia generazione.
Noi siamo rimasti fermi. Il prodotto turistico culturale è improntato alla domanda di una vecchia generazione, la “Mature generation”, che è cresciuta con una impronta umanistica dove l'arte e la cultura avevano il loro peso. Ma il concetto di cultura della “X generation” o della “Y generation” è un altro. Loro, i giovani, il Colosseo lo hanno visto la prima volta in 3D, con i gladiatori all’interno. Cambia tutto. Se vogliamo valorizzare la grande risorsa culturale dell'Umbria, dobbiamo adeguarci e creare quello che non abbiamo ancora fatto: un nuovo prodotto turistico culturale.
Se vogliamo andare oltre, l’esempio lo abbiamo nel turismo religioso, con il “Cammino di Francesco”. Iniziativa interessantissima, ma non riusciamo a dare la svolta perché ci manca il passaggio successivo, ovvero l’esperienza turistico culturale. E' un modo nuovo di ragionare di fronte all'offerta dell'Umbria: non possiamo continuare a vendere soltanto un turismo culturale da vedere e non toccare. Il percorso culturale classico degli stranieri che visitano l'Italia è Roma-Firenze-Venezia. Si fermano lì. Non fanno un passo in più, verso l'Umbria. E non è solo un problema di comunicazione: è un problema di prodotto turistico.
C'è un macigno lungo la strada che porta in Umbria: si chiama “promocommercializzazione”. Come sedurre un turista perché dica: sì, vado in Umbria? La verità è che ora gli complichiamo molto la vita perché possa prenotare, perché possa comprare una vacanza. Non c’è un collegamento tra l’operatore turistico e l’attrattiva o l’organizzazione turistica. Ragione per la quale il 40 per cento dei visitatori si perde, scompare. E questo accade perché la intermediazione, la prenotazione e i servizi non sono ben collegati tra loro. Non siamo stati in grado di creare un  comparto turistico culturale organizzato, integrato e in qualche modo anche aggressivo. Questa è una delle grandi, urgenti difficoltà che l'Umbria deve superare.

Come rimediare a questa situazione?

Io ho le mie risposte. Innanzitutto questo accade perché c’è una difficoltà di dialogo tra il mondo culturale e il mondo turistico: Una difficoltà a capirsi. Perché nel mondo culturale c’è una visione di conservazione, nel mondo turistico c’è una visione di sfruttamento di quello. I concorrenti, l’Inghilterra, la Germania, la Francia, ci insegnano che è possibile arrivare a un utente cordiale, ma soprattutto non c’è una visione della cultura come un elemento che genera ricchezza, più che generare ricchezza deve generare sviluppo economico e per un territorio come l’Umbria che ha quello come materia prima, qualunque borgo o cittadina dell’Umbria è straordinaria e il problema è che dobbiamo essere in grado di organizzare proposte turistiche attraverso le quali un turista possa avere l’esperienza, possa in qualche modo toccare quello che è l’Umbria.
Dal mio punto di vista, l’Umbria dovrebbe fare il passo di non essere più soltanto una destinazione turistica, che non è altro che la somma di territori o la somma di cittadine. Questa visione è vecchia e va superata. Nel turismo si è passati da una organizzazione dove funzionava il turismo di destinazione ad un'altra che punta al turismo di prodotto. L’Umbria dovrebbe essere una destinazione, una somma di prodotti destinazione o, meglio, una destinazione di esperienze turistiche.
Soltanto se siamo in grado di fare questo passaggio, possiamo anche lottare con altri concorrenti, come la Toscana, o come per esempio le Marche in che in questo momento si sta dando da fare e che pur non avendo così tante bellezze come l’Umbria, riesce a creare o mettere in pista delle attrattive turistiche e una strategia.
L'offerta culturale, in questo senso, può essere determinante. Ma non va bene continuare ad inventare festival o a mettere in pista altre sagre. O perlomeno non basta, non funziona più. In questo campo tutti concorrono con tutti ed il mercato appare saturo. Serve un coraggio nuovo: provare a fare innovazione turistico culturale, con proposte turistiche molto più “esperienziali”, che sono quelle che stanno funzionando in questo momento.

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La vera sfida dell'Umbria è quella di “mettere in rete” le forze e le energie migliori. Bracalente ci ha ricordato che questa carenza si traduce spesso in mancanza di visione complessiva dei problemi. A proposito di strategie, vorrei chiede ad Ejarque un suo giudizio sulla scelta della regione di inglobare l'Azienda di promozione turistica in Sviluppumbria. Lo dico pensando a quello che Ejarque ha scritto in precedenti interventi: “In Italia il turismo è amministrato. Lo dice la parola stessa: è guidato in modo amministrativo. Spesso senza un disegno unitario, senza una strategia, perché è affidato a dei funzionari e non a dei manager”.

Ci sono diversi problemi da affrontare sul fronte del turismo in Umbria. La regione è straordinaria, ci sono bellezze ovunque. Per anni i turisti sono “piovuti” senza che gli addetti ai lavori o anche le amministrazioni dovessero fare più di tanto. Ora non è più così.
Vorrei partire dal mio lavoro per poi arrivare al punto. Svolgo una professione strana, quella del destination manager. E' un lavoro che in Italia quasi non esiste. Siamo veramente in pochi.

Duecento in Europa, forse...

Tra i duecento e i trecento, più o meno. Lei in qualche modo lo ha accennato: nel '99 sono stato chiamato a Torino dalla Spagna, con l'obiettivo di inventare una destinazione turistica. In quegli anni Torino era una città brutta, grigia, industriale. Una città depressa dalla crisi della Fiat che era diventata la crisi della città. Ma Torino aveva una potenzialità inespressa. Alla fine io non ho inventato niente di particolare. Ho però contribuito a creare  il prodotto turistico per quella città, a disegnare una strategia. Attenzione: una strategia centrata su un argomento che non era quello che faceva piacere ma quello che poteva funzionare.
L'Umbria ha questo difetto: si vuol decidere che cosa i turisti vogliano comprare e che cosa si vuol vendere. Si dimentica che il turista è un signore che non è umbro, che viene da lontano e che ha idee, visioni e voglia di consumare determinate cose che spesso non corrispondono più a quello che desiderano gli umbri.
Ma che cos’è un turista? Se faccio il professore racconto che è un soggetto che viaggia. No, signori, balle! Un  turista non è altro che un bene economico. Mi spiego: è un “portafoglio” che è arrivato sul mio territorio e che pertanto deve consumare.

Crudo ma efficace.

Ma è la realtà dei fatti, signori. Per far fare un balzo al turismo umbro non basta più solo la materia prima. Non serve dire: guardala, è qua. Bisogna cominciare a creare il prodotto turistico. E soprattutto iniziare a commercializzarlo.
Sto utilizzando un territorio straordinario come l'Umbria come un esempio negativo. Ma bisogna comunicare. E nella ipotesi che si possa far decidere un turista a scegliere questo territorio, si fa poi di tutto per evitare che “compri” il prodotto turistico. L'Umbria è troppo difficilmente prenotabile e troppo difficilmente “comprabile”. Questo è il vero problema.
Torniamo alla strategia e all'esempio di quello che è stato messo in atto a Torino. In quel caso la strategia turistica ha funzionato. Si è visto, in modo realistico, quello che poteva avere successo e quello che non poteva averlo. Anche se piaceva. Spesso invece si fa l'errore di voler mettere in campo le cose che piacciono a noi. Ma non è detto che poi, alla prova dei fatti, siano quelle che funzionano.
Una riflessione riguardo il ruolo dei privati sulla candidatura Perugiassisi 2019 a capitale della cultura. In passato, ho vissuto l'esperienza di altre città candidate. E ho partecipato in modo attivo alla candidatura di Santiago di Compostela. C'è un aspetto fondamentale da considerare: il privato spende se vede un progetto chiaro e se questo progetto gli porta un ritorno. Quindi la progettazione di una candidatura deve rispondere a criteri di mercato.
Una progettazione deve prevedere uno sviluppo economico credibile. Si può fare. Come si è fatto a Liverpool, a Glasgow e anche a Barcellona. Ma quando si progetta come può essere organizzata, come funziona o come funzionerà l'economia di un territorio, non si può partire dai sogni ma dalla realtà. Quindi va dimenticata una visione endocentrica e adottata una visione esogena: da fuori bisogna guardare dentro. Allora questo è il messaggio che mi sento di trasmettere oggi: in Umbria le cose, da un punto di vista turistico, stanno andando abbastanza bene.  Ma non è detto che sia sempre così. E non sogniamo i cinesi. Scordiamoceli: Quello dei cinesi è un altro film...
L'Umbria deve vivere del turismo italiano e di quello europeo. Ne ha tutte le caratteristiche, per via delle città d'arte e tutto quello che ci gira intorno.
Ma non può continuare a vivere di turismo solo 90-100 giorni all'anno. Questo è il bilancio dell'attività del turismo in questo territorio. Con un grave problema in più del quale non abbiamo parlato: quello di un tasso altissimo di economia in nero. Allora il turismo umbro va organizzato.
Dovrebbe essere una attività che copra 180 o 200 giorni nell'arco di un anno: il doppio di quello che accade adesso. Ma questo non può accadere in modo automatico. Cari umbri, nessuno farà questo lavoro per noi. Dovremo organizzarci, dovremo avere un disegno strategico dei prodotti turistici e avere chiaro il “prodotto destinazione”. Ma soprattutto diventare accessibili commercialmente  affinché il mercato possa comprare o prenotare l'Umbria con facilità.