Industria culturale, leva del turismo in Umbria

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Bruno Bracalente

presidente Fondazione Perugiia2019

Partiamo dai dati di una ricerca del 2008, curata da due docenti della facoltà di Economia: Bruno Bracalente e Luca Ferrucci che esaltano il ruolo moltiplicatore degli eventi culturali per l'economia umbra. Bracalente, per una leglislatura, dal 1995 al 2000, è stato il presidente della Regione. Oggi è il presidente di Perugiassisi 2019, la fondazione che sostiene la candidatura unitaria delle due città umbre a “capitale della cultura europea”.


Quella ricerca riguardava la valutazione di impatto economico di un insieme di eventi a Perugia, nel 2008: la mostra del Pinturicchio, l’edizione estiva di Umbria Jazz, e poi una mostra per il centenario della Fondazione della Cassa di Risparmio, Da Corot a Picasso.
Abbiamo fatto una valutazione del ritorno economico di queste attività, anche mettendole a confronto con gli investimenti o contributi, pubblici alla realizzazione di questi eventi, da parte delle istituzioni pubbliche, peraltro quasi per nulla istituzioni nazionali, ma soltanto istituzioni umbre, e da parte di istituzioni non politiche, diciamo così, istituzioni sociali, private, in particolare la Fondazione Cassa di Risparmio e la Camera di Commercio di Perugia.
La ricerca evidenzia che questo insieme di manifestazioni aveva generato in un anno circa 11 milioni di reddito, che è quello che produce in un anno una fabbrica di 400-500 dipendenti. Questa è la dimensione economica dell’impatto di quell’insieme di manifestazioni. Con un rapporto appunto tra contributi pubblici o investimenti pubblici o di istituzioni comunque in qualche modo che svolgono una funzione pubblica, rispetto al reddito prodotto che va dall’1 a 3, nel caso di Umbria Jazz, che però è una manifestazione che si concentra in dieci giorni, fino ad 1 a 7, per una mostra come quella di Pinturicchio, durata a lungo e prolungata ulteriormente rispetto alla programmazione iniziale.

Quindi, ogni euro investito per la mostra del Pinturicchio ne ha prodotti altri sette, a beneficio del territorio e dell'economia locale.

Esatto: ogni euro ne ha prodotti altri sette. Aggiungo due altre considerazioni, che sono interessanti per allargare il discorso dagli eventi culturali all’effetto economico.
L’altro risultato che vale la pena di richiamare è questo: non basta organizzare una mostra per attrarre turismo culturale in una città. Nel caso della mostra del Pinturicchio, dalle indagini che abbiamo fatto, che sono state molto accurate, abbiamo constatato che il 40 per cento dei visitatori del Pinturicchio sono venuti a Perugia da fuori non prevalentemente per visitare la mostra del Pinturicchio, ma soprattutto per l’attrattiva che offre la città nel suo complesso, per il resto dell’offerta culturale della città, che vuol dire monumenti, musei, centro storico e quindi l’attrattività, l’immagine della città stessa. E questo ci dice quanto è importante salvaguardare l’immagine e la qualità della città, anche perché poi investimenti in attività culturali producano effetti economici rilevanti. Lo dico perché a Perugia abbiamo da qualche tempo qualche problema da questo punto di vista.
E' quindi importante non solo salvaguardare l’immagine della città, ma attuare anche delle politiche che aiutino a rendere attrattiva la città. Politiche di riqualificazione dei centri storici e della qualità urbana complessiva. Se cerchiamo un ritorno economico tramite il turismo culturale dobbiamo occuparci di tutti gli aspetti dell’attrattività di una città.
L’altro aspetto che vale la pena di richiamare è che le politiche integrate devono riguardare anche il rafforzamento di tutta la filiera delle attività direttamente o indirettamente legate al turismo culturale e agli eventi culturali. Mi riferisco al terziario avanzato per il turismo, alla comunicazione, alla promozione, alla capacità di coltivare lo start-up di imprese legate all’indotto, direttamente o indirettamente.
Fino alle stesse attività commerciali di qualità nei centri storici, alla promozione dei prodotti tipici della città, della regione, nei centri storici. Perché altrimenti, se questa filiera non è stretta, non è completa, se ci sono dei buchi, se l’interconnessione non è molto stretta tra tutte queste attività, una percentuale elevata dell’impatto economico non viene trattenuta nel territorio, ma va a vantaggio di altre realtà.
La nostra ricerca ci dice che nel complesso delle tre manifestazioni, che ho elencato all’inizio, il 40 per cento dell’impatto economico non siamo riusciti a trattenerlo. Ne abbiamo trattenuto soltanto il 60 per cento. Non è poco ma  c’è la necessità di rafforzare questo insieme di attività per rendere l’effetto economico anche di questi eventi più forte e fare in modo che rimanga di più a vantaggio del territorio, degli operatori del territorio, dove queste manifestazioni vengono realizzate.
Un'altra considerazione. L’insieme di queste cose ci dice anche che non tutte le città si possono permettere di svolgere attività culturali di alto livello per risolvere i loro problemi di crescita economica, per avere appunto anche un ritorno economico; c’è bisogno che vi sia un sistema, appunto, che abbia una dimensione urbana di un qualche livello, comunque forme di collegamento.

Quindi le piccole città, da sole, non possono sperare di avere gli stessi ritorni economici nel loro territorio.

Serve una rete che offra servizi di livello superiore all’insieme delle manifestazioni culturali. Quindi va rafforzata l’offerta di servizi avanzati per le manifestazioni culturali, cosa che può avvenire soprattutto nel capoluogo, dove ci sono le università, dove c’è una città, e quindi ci sono le condizioni perché questi servizi possano essere potenziati. Una rete non è fatta di soggetti che stanno tutti sullo stesso piano:  il policentrismo del “siamo tutti uguali” non ha molto futuro. C’è bisogno di un policentrismo che abbia anche delle forme, non solo orizzontale ma anche verticale, dove nei poli maggiori vi siano delle concentrazioni di servizi di qualità superiore, come è normale in tutte le realtà urbane del mondo.

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Perugiassisi 2019 è una sfida per tutto il territorio. Come tutte le competizioni che sono giocate sulla lunga distanza, si può vincere solo se c'è un efficace gioco di insieme. Qual è il clima che si respira intorno a questa candidatura?

C’è bisogno adesso che l’opinione pubblica umbra abbia più chiara la consapevolezza non solo di quello che stiamo facendo ma di che cosa rappresenta un impegno progettuale così rilevante.
Noi partiamo dalla consapevolezza delle qualità che sono state sviluppate e mantenute nel passato, di cui ci parlava prima Cremona. Sono carte da giocare. Ma stiamo facendo  soprattutto un grande investimento sul futuro, puntiamo a un cambiamento. Allora vediamo cosa hanno rappresentato queste esperienze di capitali europee della cultura, dove sono state realizzate, dove si stanno realizzando e che cosa, soprattutto, vuol dire e vorrà dire per il territorio.
Parlo un po' da statistico: la competizione è tra tante città e territori che hanno tutti grandi potenzialità. La probabilità di vincere non è un ventesimo, essendo venti le città, ma è molto minore della probabilità di perdere; quindi noi dobbiamo fare un investimento sapendo che c’è la probabilità di non diventare Capitale europea della Cultura.
Prima, però, voglio sottolineare che lo sforzo di progettazione è di per sé già un investimento importante. Stiamo facendo una cosa che, di norma, non si fa. In Italia, non siamo abituati a progettare cose rilevanti, non solo in Umbria, non solo a Perugia, ad Assisi. Insomma, non guardiamo più al futuro, sostanzialmente. Spesso, quando ci riusciamo, cerchiamo di tamponare le falle del passato. Nelle pubbliche amministrazioni, si lavora sul giorno per giorno, quasi mai in termini strategici, di visione di un futuro da arginare prima e da cercare di realizzare poi. Questo è lo sforzo fondamentale di questa candidatura, che produrrà risultati comunque, indipendentemente dall’esito.

E’ importante anche partecipare, insomma.

E’ molto importante partecipare. Ma per le città che sono diventate capitali europee della cultura, vincere ha rappresentato una svolta. Spesso città industriali, in declino, attraverso questa esperienza hanno ridato avvio a un percorso di sviluppo diverso.
Noi non siamo una città industriale in declino: né Perugia, né Assisi, né l’Umbria. Però rappresentiamo città e territori che forse vedono tramontare un certo modello di sviluppo del passato e devono comunque mettere in moto un meccanismo di sviluppo nuovo, su basi diverse. Quindi bisogna fare un investimento di progettazione, di cambiamento molto rilevante. Come hanno fatto altre città che hanno approfittato della candidatura per cambiare anche la loro immagine, la loro economia urbana? Grazie al  turismo culturale, ma attraverso tante altre attività economiche creative legate, in qualche modo, alla cultura.

In quelle città c'è stato un ruolo attivo ed importante anche dell'impresa privata.

Molto spesso, infatti, sono stati determinanti gli investimenti dei privati. Il “caso Liverpool”, che viene portato come esempio di eccellenza, è stato per quella città l’occasione per passare da un centro industriale in declino al secondo polo culturale della Gran Bretagna. L'investimento è stato di un centinaio di milioni di euro, di cui il 90 per cento a carico di soggetti privati. Gli investimenti pubblici nella cultura sono sempre importanti, però sono il modo di innescare un processo che si alimenta soprattutto attraverso investimenti privati.
Ma adesso vorrei dare qualche dato, anche per avere una idea della dimensione economica di quello che una candidatura di questo tipo muove e che ha mosso in passato. Devo dire che probabilmente adesso, in una situazione di crisi (penso a Guimarães in Portogallo) gli effetti economici non saranno così grandi come sono stati qualche anno fa a Liverpool o a Lille, o a Genova.
Per realizzare le manifestazioni sono previste spese dell'ordine dei trenta milioni di euro, che producono un effetto moltiplicativo sull’economia dell’ordine di quello che dicevano prima per le nostre mostre del Pinturicchio: si moltiplicano per sette o per otto gli effetti economici.

Quindi 30 milioni di investimento ne possono produrre 200?

Esattamente. Questo è quello che è successo a Genova, per esempio: 30 milioni di investimento hanno sviluppato un indotto complessivo di 220 milioni per il territorio. L'incremento dei pernottamenti previsto è dell'ordine del 10-20 per cento e anche oltre. Ma questi numeri sono legati soprattutto all’insieme delle manifestazioni costruite: in passato sono state centinaia, oggi invece si pensa che sia meglio concentrasi su numeri più bassi. Marsiglia, per esempio, per il prossimo anno ha in programma 72 iniziative. Sono comunque tante: più di una e mezza la settimana. Questo è l’ordine di grandezza delle cose che si progettano. E poi, ovviamente, investimenti in nuove infrastrutture culturali e in infrastrutture urbane, anche in questo caso per diverse decine di milioni. Cito un numero relativamente ridotto nel panorama di quello che è avvenuto e che sta avvenendo. Proprio quello di Guimarães, la città portoghese che sta svolgendo, proprio quest'anno, il suo ruolo di Capitale europea della Cultura: , gli investimenti infrastrutturali sono dell’ordine di 70-75 milioni di euro.

E' necessario vincere per avere ritorni positivi? Dobbiamo credere in questa avventura solo se abbiamo 75 milioni di euro da spendere in infrastrutture e se ne abbiamo altri 30 per l’insieme delle manifestazioni culturali?

Noi ci imbarchiamo in questa impresa consapevoli di avere le caratteristiche per essere tra le città che possono competere per il titolo. Chi ci guarda da fuori è convinto che l'Umbria possa farcela.

Noi forse un po’ meno.

E' vero, per ora un po' meno. Ma in tutti i contesti gli italiani considerano se stessi meno di quanto valgono e si valutano meno di chi li guarda da fuori. Anche in scala regionale, gli umbri non fanno eccezione, così come i perugini. Ma abbiamo le carte in regola per competere. Vincere rappresenterebbe un risultato enorme. Quindi vale la pena scommettere su questa impresa ed investire in una visione nuova del territorio. E' un esercizio che abbiamo dimenticato: l'Umbria ha un grande bisogno di ripensare il suo futuro in termini di cose da realizzare e che comunque produrranno un risultato.
Che cosa vuol dire tutto questo? Lavorare in due direzioni. La prima è quella di un rafforzamento delle manifestazioni culturali che si stanno realizzando: a tutte le dimensioni, non solo quelle presentate di recente a Roma, che sono le grandi manifestazioni dell'Umbria note in tutta Italia, e spesso anche all’estero, ma l’insieme delle manifestazioni culturali, anche quelle che sono promosse da gruppi minori. Perché la candidatura a Capitale europea della Cultura non riguarda solo manifestazioni di èlite ma è soprattutto espressione di una creatività diffusa, del protagonismo culturale di tanti soggetti, di un coinvolgimento molto forte di tutti gli attori, non solo culturali ma anche economici e sociali, fino alla massa dei singoli cittadini che vivono nel territorio che esprime la candidatura. Questo è un elemento essenziale: per vincere bisogna far nascere un progetto forte dal basso. Bisogna allora trovare forme nuove di coinvolgimento, di rafforzamento, di messa in rete e di crescita, di ognuna di queste manifestazioni, dalle più grandi alle più piccole. E quindi vale per le attività culturali ciò che vale per le imprese produttrici di beni, di tutte le dimensioni, che devono crescere, internazionalizzarsi, innovarsi e devono diventare più un sistema.
Non è forse quello di cui abbiamo più bisogno? Quindi questa attività di progettazione avrà sicuramente (se la faremo bene ovviamente, e dipenderà molto da noi, da tutti) questo primo risultato, quello di rafforzare  l'offerta culturale della regione e farla diventare più “sistema”.
La seconda dimensione del progetto, quella economicamente più rilevante è quella di mettere in campo una strategia per una nuova economia delle città, fondata sulla cultura e sulla creatività, che preveda investimenti in infrastrutture culturali, in infrastrutture urbane. Di rigenerazione della qualità urbana, dei centri storici in particolare e del centro storico che oggi, dal punto di vista sociale, ha più problemi in questa realtà, che è il centro storico di Perugia, che però, nello stesso tempo, ha anche più carte da giocare che possono essere utilizzate per costruire una nuova base economica per la città e per il territorio circostante.
Le istituzioni pubbliche e la Fondazione Perugiassisi 2019  propongono a tutta la società regionale un forte investimento in questa direzione. Bisogna crederci. Sapendo che un investimento non è gratuito ma ha un costo. Lo dico qui, in presenza del presidente della Camera di Commercio che è uno degli enti a cui ci rivolgiamo per supportare il forte sostegno economico che occorre per realizzare questo grande progetto che avrà comunque ricadute positive per il territorio. Altri soggetti, le istituzioni regionali, le fondazioni bancarie e le banche stesse devono fare uno sforzo maggiore rispetto a quello che hanno compiuto fatto fino adesso. Ma ne vale la pena.
Questo enorme sforzo di progettazione, che noi stiamo avviando e che altre 19 città stanno facendo in Italia, meriterebbe da parte del governo comunque un sostegno perchè solo una di queste città avrà un piccolo contributo  dall’Unione Europea e le altre che dovranno fare con le loro risorse. Se ci sarò un sostegno del futuro governo, queste candidature saranno un punto di passaggio, una svolta importante: uno dei motori da riaccendere per far ripartire l'economia del Paese.