Trasparenza e legalità per le imprese

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Fausto Cardella

procuratore della Repubblica

Fausto Cardella dallo scorso 11 dicembre è il nuovo procuratore capo della Repubblica de L'Aquila e procuratore della direzione distrettuale antimafia del capoluogo abruzzese. Per cinque anni è stato a capo della procura di Terni ed in precedenza consigliere in Cassazione.
Ha lavorato a lungo, come sostituto, alla procura di Perugia dove si è occupato di inchieste importanti come quelle relative a Tangentopoli ed al sequestro del piccolo Augusto De Megni e dove è stato pubblico ministero nel processo sulla misteriosa morte del giornalista Mino Pecorelli. In precedenza, alla procura di Caltanissetta, Fausto Cardella ha seguito insieme ad Ilda Boccassini le indagini sull'attentato nel quale morirono il giudice Giovanni Falcone e la sua scorta. Ha guidato anche la procura di Tortona quando fu riaperta l'inchiesta, poi archiviata, sulla morte di Fausto Coppi.


Procuratore, sembra sempre più attuale una sua definizione dell'Umbria come "covo freddo" della mafia: un territorio che appare tranquilllo, nascosto, senza fenomeni eclatanti di criminalità organizzata, dove però c'è il rischio concreto che le mafie prosperino nell'ombra. E dove quindi occorre, come spiegava il presidente Mencaroni, che la società civile e il mondo dell'impresa, lavorino di concerto per prevenire il fenomeno.


Credo che si debba convenire tutti su un aspetto: quando si parla di legalità e di lotta alla criminalità, alla corruzione, alle sue manifestazioni, la repressione, quella cioè che viene attuata dalla magistratura, soprattutto dalla magistratura inquirente, e dalle forze di Polizia, non basta. Occorre qualcosa di più. Convegni come questo sono importanti per aumentare il livello di consapevolezza di determinati fenomeni che vanno certamente combattuti.  
Ancora non riesco a guardare l’Umbria con il necessario distacco perché prima di tutto non ne sono affatto distaccato perché ci vivo, e in secondo luogo perché l’osservatorio abruzzese ancora non è abbastanza lontano.
Ma se parliamo di legalità e trasparenza, soprattutto con riferimento alle imprese, io credo che ci si debba soffermare su tre aspetti fondamentali: l’evasione fiscale, l'infiltrazione e il riciclaggio di denaro.
Sembrano tre cose completamente distanti e diverse, tre aspetti diversi, invece, secondo me, evasione, infiltrazione e corruzione sono le facce di un medesimo fenomeno con il quale dobbiamo misurarci.
L’evasione fiscale in Umbria è nella media nazionale e questo da un certo punto di vista è assolutamente confortante. Ma sia nella nostra regione che in Italia, sembrerebbe che si faccia di tutto per non contrastare il fenomeno. Voglio sperare che non sia così. Ma ci sono tre punti chiave da chiarire. Il primo è quello delle sanzioni nei confronti di chi evade: sono troppo basse. Ricordo sempre che in America, Al Capone fu arrestato per aver evaso il fisco. In Italia, questo non potrebbe accadere. Nel nostro Paese ci sono delle soglie di evasione così alte e delle sanzioni penali così basse e non proporzionate che l’effetto deterrente e anche l’effetto punente della norma penale è pressoché vicina allo zero. Il secondo problema è quello della inefficienza della macchina pubblica. Il cittadino si chiede dove finiscano i suoi soldi: la visione di tanti sperperi ci induce a concedere malvolentieri i nostri soldi allo Stato. Il terzo nodo è quello più importante: il problema dei valori. Da almeno venti anni ci arrivano ogni giorno messaggi contraddittori e negativi. Come quello che sia da stupidi pagare le tasse. O che il furbo evita il fisco. Così l'evasione è tollerata dall'opinione pubblica. Che dimentica che le tasse sono alte proprio perché non tutti le pagano.
Quanto alle infiltrazioni, c'è un grido di allarme che arriva dal mondo delle imprese, che in Umbria vivono una situazione di seria difficoltà. Ce lo conferma l'ultimo rapporto della Banca d'Italia. In una situazione così critica non occorre essere Sherlock Holmes, per capire che in un momento di drammatica difficoltà di accesso al credito alcune imprese rischiano di essere prede nel giro del denaro sporco ma facilmente utilizzabile. Le banche, in questa emergenza dovrebbero e potrebbero fare di più.
Molti anni fa, un imprenditore di una piccola azienda mi disse: "Vedi, io mi trovo in un momento di difficoltà economica. Potrei benissimo risolverla accedendo a forme di prestito, di sostegno, da parte di determinate persone, peraltro non del tutto sconosciute. E questo mi consentirebbe, probabilmente, di venire fuori, o di vivere bene. Ne verrei fuori però poi quasi sicuramente succederebbe una cosa: un ospite da tenere a casa per qualche giorno, senza sapere chi è, chi sia, dove, perché, oppure una valigetta consegnata da custodire per un certo periodo di tempo. Francamente, dice, questo non mi va di farlo". Non farò il nome, ovviamente, neanche sotto tortura, però vi posso dire che poi, dopo un certo periodo di tempo, quell'imprenditore ha chiuso i battenti e ha cambiato lavoro, iniziando altre attività.
Ecco perché si parla dell'Umbria come di un "covo freddo". Penso a recenti studi della Guardia di Finanza che ci ricordano che in questa drammatica situazione economica, nella quale molte aziende sono in seria difficoltà, è molto alto il rischio che arrivino soldi da questo mare di denaro che proviene dal traffico della droga, dalla corruzione, dalle speculazioni sugli appalti. Perché se, come si diceva prima, la corruzione porta ad una lievitazione dei costi qualcuno, in questa situazione, guadagna. E questo guadagno è spesso "in nero" e quindi reinvestibile.
Come si fa a resistere? Come si fa a essere certi che le imprese più in difficoltà ce la facciano? Questa situazione porta ad una crescita del fenomeno dell'usura ed ad un aumento della corruzione.
In una situazione di questo genere le mafie, perché oggi parliamo di mafie, non solo la mafia siciliana che ha dato il nome a tutto, ma la ‘ndrangheta e soprattutto la camorra, hanno tutto l’interesse a mantenere quella situazione di tranquillità che non innalzi il livello di scontro con lo Stato.
Ecco perché la tranquillità che c’è in Umbria come ha detto bene prima il presidente Mencaroni non deve indurci non solo ad abbassare la guardia ma nemmeno a tenere un livello basso di vigilanza.
L’indice di Transparency International ci inchioda ad un dato: l'Italia è al 72° posto nel mondo nella percezione della corruzione nel settore pubblico e politico. Non siamo solo lontani dalla Danimarca o dagli altri paesi del nord Europa. Di recente l’emiro del Qatar, venuto in Italia e ricevuto dal presidente del Consiglio Monti, ebbe a dire che non investiva in Italia perché il livello di corruzione nel nostro Paese era troppo alto.
La realtà è che di fronte a questa situazione per tanto, troppo tempo, non si è fatto nulla, nonostante le invocazioni e gli strepiti della magistratura e di tanti analisti e studiosi. Poi, finalmente, è arrivato il provvedimento del ministro della Giustizia Severino. Dico subito che sono uno dei pochissimi difensori del provvedimento del ministro perché, con un po' di buona volontà, sono riuscito a trovare un aspetto positivo, che è quello della struttura stessa del reato di corruzione. E' questo un problema che abbiamo sempre avuto e che ci portiamo dietro dagli Anni Trenta del Novecento. Un reato quindi configurato in un momento storico lontano anni luce dalla nostra epoca, cristallizzato alla situazione del funzionario che prendeva la bustarella in cambio di un timbro su una patente o su una autorizzazione. Questa configurazione così datata, bustarella in cambio del timbro, ha fatto naufragare migliaia di inchieste e si è spesso saldata con la difficoltà investigativa di scoprire un reato nascosto, difficile da far emergere perché né il corrotto né il corruttore hanno interesse a parlare. Ora questa corrispondenza è più sfumata, non è più necessaria. E questo consentirà di approfondire meglio molte indagini e magari di arrivare a determinate conclusioni. Detto questo, tutto il resto del provvedimento varato dall'ultimo governo non va proprio o perché è deludente ciò che è stato fatto, o perché è terribilmente deludente ciò che non è stato fatto, ciò che ci saremmo aspettati, ciò che avremmo desiderato che fosse fatto. Norme necessarie e semplici come ci insegna il professor Merloni.

 

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Abbiamo citato dei numeri che fanno impressione: 4 miliardi di evasione fiscale in Umbria. Un costo nazionale della corruzione di circa 70 miliardi di euro. Una evasione fiscale nazionale difficile da quantificare ma comunque intorno ai 150 miliardi annui. E l'economia criminale, quella sommersa, che fattura forse 250 miliardi di euro. Arriviamo alla stratosferica cifra di 500 miliardi l’anno: l'importo di una decina di leggi di stabilità. Cifre colossali alle quali attingere per risolvere tanti problemi...

 

Non spetta a me tirare le conclusioni di questo interessante convegno, né intendo farlo. Ma su una considerazione credo che possiamo essere tutti d'accordo: questi fenomeni di corruzione e di criminalità, più o meno striscianti, più o meno conclamati, non possono essere contrastati solo con lo strumento giudiziario, soltanto attraverso il Codice Penale oppure il carcere, peraltro spesso più minacciato che non attuato.
Occorrono ben altre cose. C'è la necessità di far crescere dei valori, di cambiare una mentalità, di acquisire una consapevolezza nuova.
Da questo punto di vista, come cittadino che risiede a Perugia, mi compiaccio del fatto che in una regione come l’Umbria sia stata istituita una Commissione antimafia. Forse potrebbe apparire come non strettamente necessaria, o, meglio, forse sarebbe più necessaria in altre Regioni, dove invece non c’è, o se c’è è molto distratta. Ma noi, in questo territorio, abbiamo quindi un centro di diffusione di cultura e di valori antimafia, che sono valori importanti di legalità.
E qui però il nostro ottimismo si ferma. Prima, a proposito del provvedimento anticorruzione varato dal governo, con tanta buona volontà, sono andato a cercare qualche elemento positivo. Ora avrei bisogno almeno di un paio d'ore per elencare gli aspetti negativi di questa legge. Ma sarò brevissimo. Non non sarei neanche in grado di fare una lezione di diritto penale sulle nuove figure di corruzione. In sintesi, riassumo dicendo che sono piuttosto deludenti. E penso che il professor Merloni potrebbe darmi ragione.
Si corrompe in cambio di che cosa? Una volta, prevalentemente, in cambio di denaro. Oggi non è più così. Sono "cresciuti" tutti, anche i corrotti e i corruttori. Vi ricordate l’esempio, di qualche mese fa del famoso appartamento di un certo personaggio che fu pagato a sua insaputa? Su quel fatto c'è stato un procedimento penale che si è concluso con l’archiviazione per il motivo che vi ho detto prima: non si è trovata la corrispondenza dell’atto. Oggi la situazione della corruzione è completamente diversa: spesso non c'è un rapporto diretto. Piuttosto assistiamo a triangolazioni: io faccio il favore a te, tu lo ricambierai a un altro, che poi lo ricambierai a un altro ancora. E poi il favore mi ritornerà in un’altra cosa. Questa nuova situazione avrebbe dovuto essere fotografata dalle nuove disposizioni che invece hanno fatto flop. Resta tutto come prima: un quadro di inefficienza nella lotta alla corruzione.
C'è un altro aspetto: aspettavamo questa figura della corruzione ambientale. Speravamo in qualcosa di più incisivo che invece non c’è stato. Se volessimo veramente combattere la corruzione, degli strumenti più efficaci ci sarebbero. La corruzione è un reato sotterraneo, perché né il corrotto né il corruttore hanno interesse a parlare. Bisognerebbe spezzare questo patto tra il corrotto e il corruttore e concedere un’attenuante o addirittura, come si fa con i collaboratori di mafia, prevedere benefici quando viene rivelato un reato che probabilmente non sarebbe mai scoperto senza una confessione.
Quindi bisognava scindere questo patto tra corrotto e corruttore. Invece è stata scissa un’altra cosa che non c’entrava niente: nel reato di concussione abbiamo distinto la concussione per induzione dalla concussione per violenza o minaccia. Ma non se ne sentiva affatto l’esigenza. E questa decisione creerà molti problemi su una serie di processi in corso. Tanti procedimenti giudiziari faticosamente costruiti che riguardano, come si diceva una volta, tutto l’arco costituzionale. Non solo i processi di Milano o certi processi, anzi. Potremmo fare anche nomi e cognomi ma credo non sia necessario.
Parliamo di prevenzione della corruzione e di trasparenza. Ma oggi l'impresa come fa il "nero" per pagare la corruzione? Attraverso il falso in bilancio. E’ automatico: non si può creare la provvista di denaro "in nero" per pagare la corruzione se non grazie ai falsi di bilancio. E' un fatto evidente, non c'è bisogno di un grande investigatore. Ma perché il reato di falso in bilancio sostanzialmente è depenalizzato? Non ce la raccontiamo tanto lunga: adesso non so di chi siano le colpe, se siano delle lobbies. Ho però la sensazione che la lobby dei corruttori e dei corrotti sia una delle lobbies i più importanti e più potenti. Se non puniamo il falso in bilancio, che di fatto ormai è stato depenalizzato, non c’è giurisprudenza, perché non c’è più casistica.
L'ultima cosa riguarda la prescrizione del reato. I tempi vanno rivisti. Ma ci vuole tanto a capire? La corruzione è un reato sommerso, difficile da scoprire. Quando si scopre già una buona parte del termine di prescrizione è stato eroso. E ci sono le indagini, il primo grado di giudizio, l'appello, il ricorso in Cassazione...