Per una valorizzazione dei mestieri artigiani e delle abilità manuali. Verso il futuro, innovando

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Luca Mirabassi

imprenditore

Parliamo di rete, di reti di impresa e di capacità di esportare il "saper fare" delle aziende umbre sui mercati internazionali. Di recente il marchio del cashmere Lorena Antoniazzi ha aperto un negozio monomarca nel cuore di Parigi. E' una storia d'impresa di successo, che fa notizia, soprattutto in un momento di così grave crisi economica. Il comparto tessile, con il polo della maglieria di qualità, coniuga la manualità con l'innovazione e presenta, in controtendenza, bilanci eccellenti. Luca Mirabassi, fondatore del gruppo Sterne è il proprietario del marchio Lorena Antoniazzi e il rappresentante della Camera di Commercio di Perugia nel Consiglio Nazionale dell’ITF, cioè della filiera del tessile.


Buongiorno a tutti. Grazie dell’invito. Saluto con particolare gioia i ragazzi delle scuole professionali che sono presenti a questo nostro incontro. Il nostro settore tessile sta funzionando. Non sono d'accordo su quanto ha detto, poco fa, il direttore della Cna. Il tessile della provincia di Perugia negli ultimi due-tre anni, ha registrato notevoli incrementi di fatturato. Le aziende a marchio proprio, e penso alla più famosa Cucinelli ma anche a Cruciani, a Filippi o alla nostra Lorena Antoniazzi, continuano a crescere e nella loro escalation sono stati capaci di trascinare un intero comparto: quello della subfornitura, della artigianalità, che è cresciuto insieme a noi. Penso a cinque anni fa, a quando sono stato nominato presidente del settore tessile: gli imprenditori a marchio proprio hanno fatto delle scelte specifiche e mirate, che in questi anni hanno pagato. Prima di tutto abbiamo scelto di non delocalizzare, proprio quando tutto il mondo e anche le altre imprese, a partire da alcune famose aziende nazionali, seguivano quella strada per i motivi legati ai costi di produzione più bassi che prima sono stati ricordati.
Noi abbiamo deciso di "fare sistema", di unirci, puntando su una strategia di impresa collegata a tre-quattro punti di intervento sui quali lavorare.
Prima di tutto abbiamo scelto di aiutare il mondo della subfornitura, lavorando insieme ai piccoli imprenditori e sorreggendoli, sia da un punto di vista finanziario che tecnologico. Abbiamo fornito macchinari ma soprattutto abbiamo trasmesso tranquillità, elaborando insieme dei programmi semestrali. Li abbiamo riuniti due volte l'anno e abbiamo detto loro: nei prossimi sei mesi noi siamo in grado di darvi questo tipo di lavoro quindi non abbiate paura di investire su macchinari e personale. E così siamo cresciuti. Insieme.
La seconda mossa è stata quella di puntare sui giovani. In un modo concreto. Spesso in passato ci siamo riuniti con le scuole, le imprese e la Confindustria ma abbiamo parlato a fatica. In questo momento più che parlare serve agire. E anche una piccola cosa può servire.
Così, attraverso l'ufficio stampa di Confindustria, abbiamo cominciato a dire alle famiglie che provare a lavorare nel tessile non era poi così disdicevole. Prima abbiamo lavorato sulla comunicazione, poi abbiamo cominciato ad organizzare dei corsi tecnici per maglieriste. All'inizio abbiamo avuto quasi 200 domande di partecipazione; la seconda volta ne sono arrivate 400. Le maglieriste sono state formate e poi inserite non solo nelle nostre aziende ma anche nelle imprese specializzate in subforniture.
Oggi le aziende tessili regionali realizzano al novanta per cento la loro produzione in Umbria. Non si approvvigionano fuori, non finiscono il prodotto in Cina. Questa scelta è servita a far capire al consumatore internazionale cosa vuol dire qualità. E' vero che il prezzo all'estero è più concorrenziale ma se noi siamo in grado di unire alla artigianalità la contemporaneità e lo stile e insieme l'innovazione, stiamo sul mercato e diciamo la nostra.
L'artigianalità, l'innovazione, le nostre idee, lo stile delle produzioni: sono questi gli ingredienti che ci hanno permesso, nell'ultimo anno, di crescere comunque, nonostante la crisi, del 20, del 30 o del 40 per cento. I subfornitori si sono tranquillizzati, si sono modernizzati e ci sono venuti dietro.

Quante sono le aziende del vostro settore?

Il numero delle aziende cambia di anno in anno, a seconda della specializzazione.
Ma oggi ogni azienda a marchio proprio può contare su 120-130 subfornitori, che non sono gli stessi, perché ognuno si è "coltivato" il proprio subfornitore, quindi il proprio specialista del settore.
Ma devo ringraziare il presidente Mencaroni per un'altra battaglia che abbiamo combattuto insieme: quella della tracciabilità dei nostri prodotti. Dobbiamo far capire al consumatore che quello che produciamo nel nostro territorio è veramente fatto in Italia. La legge, dobbiamo dirlo, ora non ci aiuta: adesso basta "chiudere" in Italia solo due fasi della produzione per poter apporre sul prodotto il marchio "Made in Italy". Non voglio usare aggettivi forti ma di certo non è una bella cosa.
Quindi, insieme alle Camere di Commercio e all'ITF, abbiamo cercato di garantire, prima di tutto, il consumatore. In particolare, la mia azienda ha lavorato per tre anni su un progetto di tracciabilità attraverso un microchip. Un gruppo di giovani collaboratori ha lavorato a lungo per questo obiettivo e qualche settimana fa abbiamo ottenuto un brevetto mondiale sulla tracciabilità della nostra produzione. Siamo la prima azienda al mondo ad avere un sistema di tracciabilità brevettato. Funziona così: un microchip si attiva dal momento della conferma della commessa e segue tutti i  processi di produzione: l'acquisto del filato, la smacchinatura, la cucitura, il lavaggio e il controllo di qualità. Questi quattro elementi sono tracciati nel microchip, che viene immesso nel capo. E il consumatore, in ogni momento e in ogni parte del mondo, può fotografare il codice QR o digitare un codice a barre inserito nel capo e collegarsi ad un sito per controllare come quel capo è stato prodotto.
 
Quindi l’Umbria si vede.
 
L’Umbria si vede, perché noi abbiamo messo data e luogo di esecuzione del capo, di quella fase specifica, e sotto abbiamo evidenziato una icona. Tutte le aziende tessili umbre a marchio proprio esportano dal 70 al 90 per cento della loro produzione. Il consumatore estero, ad esempio un giapponese che vuole controllare il nostro lavoro, può cliccare dentro l'immagine dove è scritto “tessitura” e seguire un film dove si vede la mano artigiana, non la macchina elettronica, le nostre mani artigiane umbre che fanno la maglia o cuciono la maglia, perché il 70 per cento della produzione facciamo ancora tutto a mano.

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Il vento dello sviluppo tira da altre parti. Per trovare spazio sui mercati va abbandonato l'individualismo: bisogna imparare a lavorare in squadra.

GIANNANGELI  La Cna negli ultimi dieci anni ha promosso almeno venti iniziative di aggregazione. Solo l'anno scorso sono nate cinque nuove aziende di questo tipo. Quella delle reti è una delle strade per far ripartire lo sviluppo ma non l'unica. La nostra è una delle poche regioni  nelle quali gli artigiani si sono messi insieme utilizzando il contratto di rete, che è uno strumento pensato per altre realtà imprenditoriali. Se quella è una strada, non può essere l’unica, perché si scontra con l’individualismo, perché si scontra con tanti fattori ostativi, anche se è una strada importante sulla quale noi puntiamo in maniera forte.
Per quanto riguarda l’esempio che facevo prima sul tessile, non penso che quello che ho detto sia in contraddizione con quello che esprimeva Mirabassi. Facevo solo un esempio.
Penso che quello che paghi sia la qualità. Abbiamo sostenuto, condiviso e accolto favorevolmente le scelte fatte da alcune medie imprese nel settore tessile. Ci auguriamo che siano molte di più le piccole imprese che riescano a sviluppare un marchio proprio ed affrontino la sfida del mercato globale.  Anche perché quelle che lavorano in subfornitura, anche se hanno lavoro assicurato, comunque soffrono dei problemi di fondo, burocratici e fiscali. Penso all'Irap, per dirne una.
Guardo i giovani presenti in sala per un'altra riflessione. La domanda che mi pongo è la seguente: perché un giovane, che magari ama l’informatica, dovrebbe andare a lavorare in una piccola e media impresa di produzione?
Molto spesso il lavoro, soprattutto nelle piccole imprese, non è attraente. Ci sono delle eccezioni come Cucinelli. Ma in Umbria non è un esempio facilmente replicabile, per cui se togliamo le grandi eccellenze sopra e tagliamo le ali, verso l’alto e verso il basso, noi abbiamo dei giovani che, anche se hanno studiato, fatto ingegneria e quant’altro, oggi vanno in un’azienda di produzione e come prospettiva potranno guadagnare 1.200-1.300-1.400 euro al mese.
La domanda che ne consegue: perché dovrei andare a lavorare lì? E perché un giovane che, dopo che ha fatto tanti sacrifici, si dovrebbe mettere a fare l’imprenditore? Mi metto a fare l’imprenditore e poi torno sempre all’inizio. Quando apro un'azienda incontro le difficoltà a raffica di cui parlavamo prima e poi tutta una serie di imposizioni più o meno dirette mi costringono a lavorare almeno sei mesi all’anno per lo Stato. Così l’imprenditorialità non viene spinta. E questi sono i problemi dai quali dobbiamo partire perché la realtà è che noi in Umbria abbiamo 24.000 artigiani su 60.000 imprese. Il trenta per cento delle imprese e se guardiamo le imprese attive, i dati cambiano perché il 90-95 per cento delle imprese ha meno di 9 addetti.
Servono politiche ad hoc per queste piccole imprese del centro storico, della ceramica di Deruta o di altre aree della provincia di Perugia. Non possiamo pensare che solo alcuni grandi campioni riusciranno a trainare gli altri.  Noi speriamo che ci sia un numero, il più alto possibile, di campioni capaci di trainare un pezzo della nostra economia ma poi c'è un altro pezzo che non può essere trascinato dai campioni. E allora sono necessarie delle politiche che possiamo definire strabiche, che guardino in più direzioni: da un lato orientate a far crescere le medie imprese che magari possono trainare filiere e cluster, dall'altro che pensino alle piccole imprese perché le intelligenze che prima citava il professor Ferrucci, sono anche in tante piccole imprese ma hanno difficoltà ad emergere senza l'aiuto di strumenti adeguati. Per cui credo che sia necessarie politiche industriali diverse, a seconda delle tipologie di impresa e delle dimensioni delle aziende.
MIRABASSI Ma con un ragionamento del genere cosa comunichiamo ai giovani? Che speranza diamo? Lei chiede perché dovrebbero andare a lavorare nel settore tessile per guadagnare 1200 euro? Perché, scusi, l'alternativa qual è?
GIANNANGELI Le spiego meglio il mio ragionamento. Se una persona costa 3.000 euro a un’azienda e poi percepisce 1.200 euro, sono scontenti in due: l’azienda che deve pagare i 3.000 euro ed il lavoratore che va in azienda a lavorare a 1.200 euro al mese. Il mio era un ragionamento sul costo del lavoro, pensavo di essere stato chiaro.
MIRABASSI No, non è stato chiaro, ma comunque sia il costo del lavoro è uguale per tutti, non è solamente nel tessile o nell’artigiano, vale in tutti i settori, anche se va a fare l’addetto al call center. Ma se questo è il messaggio, è chiaro che i giovani non vengono a lavorare.
Vorrei dire ai ragazzi che oggi sono qui con noi: sapete come si diventa capi reparto, direttori di produzione, tecniche di maglieria? Partendo da zero, lavorando, facendo sacrifici, imparando un mestiere e mettendoci il proprio valore, che è la testa. Non si può pretendere che un laureato inizia lavorare ed abbia subito un ruolo direttivo. Non funziona così.
Noi dobbiamo comunicare ai giovani che per ottenere risultati bisogna fare sacrifici, bisogna metterci la testa, l’intelligenza, la passione e il cuore. Il cuore! E se non cominciamo mai a lavorare, a fare le cose semplici, non possiamo progredire.
Negli ultimi otto mesi, sono stato più giorni all’estero che in Italia e mi sto rendendo conto che anche nei Paesi di grande sviluppo c’è un ritorno alle cose vere. Rimettiamo davanti le cose vere: la qualità del lavoro, l’onestà, la professionalità, l’artigianalità! Queste cose le dobbiamo rimettere avanti, sennò parliamo e basta. Si tornerà indietro riprogettando il futuro, rimettendo alla base di tutto la qualità e l'intelligenza, i valori ai quali prima accennava il professor Ferrucci.
Ripartiamo dalla semplicità. Parliamo ai giovani, facciamoli lavorare insieme a noi, perché loro sono più bravi di noi. Uniamo la loro intelligenza e la loro velocità con la nostra esperienza. Ricordo un detto che non dovremmo mai dimenticare: se pretendiamo che le cose cambino, continuando a fare le stesse cose alla stessa maniera di sempre, non arriveremo mai da nessuna parte.