IMPRESA 2.0 Quali prospettive di sviluppo per le Pmi nell’economia digitale?
A cura di Federico Fioravanti
Intervento di Diego Ciullipublic policy and government affairs di Google Italia
Diego Ciulli è un "nativo digitale". La sua storia personale, è in qualche modo emblematica. E' stato il più giovane consigliere regionale d’Italia, dal 2007 al 2010 e ha fatto l'assessore a Certaldo, il suo paese. Ma poi, a soli 27 anni, dopo aver superato un colloquio di lavoro con Google, ha deciso rinunciare ad una poltrona in consiglio regionale ed alla carriera politica. Oggi è collegato con noi attraverso Skype per presentarci "Distretti sul Web", un importante progetto nato dalla collaborazione di Unioncamere con Google.
Il nostro Paese è estremamente indietro, ma ha potenzialità enormi. Per questo abbiamo pensato ad un progetto apposito per l'Italia: “Distretti sul Web” è la prima sperimentazione di questo tipo che Google fa nel mondo. Speriamo davvero che questa iniziativa aiuti il sistema produttivo italiano a crescere e a cogliere le potenzialità della Rete.
Di solito evito di parlare di economia digitale, anche se a volte non è proprio possibile. A scanso di fraintendimenti, vi spiego che cosa intendo per “economia digitale”. Lo considero un termine stupido: è come se agli inizi del ‘900 si fosse parlato di "economia elettrica". Perché oramai l’economia digitale non è più quel pezzo di economia di cui si parlava agli inizi degli anni Duemila, composta di soggetti che, attraverso la Rete producono Pil, cioè il settore ICT, della comunicazione e dintorni. C’è una parte rilevante della nostra economia che cresce: i numeri che sono stati citati danno l'idea di un settore che sta facendo da traino in un momento di difficoltà del Paese. Ma l’economia digitale è un’altra cosa: è quella in cui noi viviamo. E quelle aziende umbre che non sono presenti sulla Rete sono paragonabili alle imprese che alla metà del Novecento ancora non avevano energia elettrica nel capannone e continuavano ad andare a carbone o con la macchina con i buoi. Ecco, di questo stiamo parlando. C'è quindi la necessità di accelerare questo processo di evoluzione e di aiutare il sistema produttivo a cogliere appieno le opportunità di internet: la questione è strategica per il futuro economico di questo Paese. Vi do un dato: in Europa il 73 per cento dei consumatori utilizza, cerca su internet, tipicamente su Google, prima di effettuare qualsiasi acquisto. Noi lo chiamiamo “ROPO”, acronimo terribile che si traduce con “ricerca online - acquisto offline”. Il commerciante, il negoziante e l’imprenditore spesso ancora non se ne rendono conto ma in Europa ormai 3 consumatori su 4, prima di acquistare un prodotto o prima di rivolgersi a un’azienda, controllano su internet la reputazione di quell’azienda e le caratteristiche di quel prodotto.
Quel 30 per cento di aziende che non sono in Rete quindi banalmente non esistono: coltivano ancora una nicchia di clienti e fornitori ma in prospettiva tutto ciò che è nuovo potrà arrivare a loro solo dalla ricerca online.
Quindi c’è un pezzo molto significativo della nostra economia, che non fa ancora un uso avanzato della Rete in termini di e-commerce, di marketing, di costruzione di comunità, di accorciamento della filiera. Un pezzo di economia che semplicemente non c'è: se lo cerchiamo su un motore di ricerca non compaiono risultati, non è presente sulle mappe.
Questo pezzo di economia, alla lunga, rischia di rimanere escluso da qualsiasi evoluzione del mercato, proprio perché il 73 per cento dei consumatori, prima di comprare, dà un’occhiata alla Rete. Tra l'altro, questo numero schizza in alto per tutti i beni di un certo impatto economico.
Il caso degli elettrodomestici è quello più eclatante, seguito da quello delle vacanze. Magari si va lo stesso in agenzia di viaggi perché è più comodo, ma la meta turistica ormai viene scelta online. La lavatrice si compra ancora in negozio ma la marca si sceglie su internet.
In questo quadro, perché Google si è messo a fare i “Distretti sul Web”? E come mai ha buttato la sua attenzione, anziché, come parrebbe naturale, sullo start-up e le aziende digitali normali, come peraltro facciamo in buona parte del mondo e ha deciso di concentrarsi sul "Made in Italy"? Perché ci siamo convinti che in Italia ci siano enormi potenzialità che non sono utilizzate.
Se voi leggete Chris Anderson e gli articoli di altri grandi "guru" di internet, troverete analisi che portano allo stesso risultato: è finita la fase della Rete per la Rete. Anche Eric Schmidt, il presidente del Cda di Google, lo ripete: fino ad oggi essenzialmente internet ha prodotto denaro attraverso internet, grazie alla pubblicità online, ai social network, ai video, alla musica da scaricare. Insomma, la transazione partiva online e finiva online. Lo scambio dei bit in questi anni ha prodotto molta ricchezza. Ma ormai siamo entrati molto rapidamente nella fase successiva, quella in cui internet diventa l’infrastruttura di base attraverso la quale si sviluppano tutte le attività economiche. Come accadeva con l'elettricità nel ‘900 ma con una caratteristica sostanziale: internet distrugge le mediazioni, premia la qualità e valorizza le nicchie che riescono a stare bene sul proprio mercato.
E proprio questo è il "Made in Italy": qualità, nicchia. Quando nella Regione Toscana, dove allora lavoravo, si ragionava intorno alle evoluzioni economiche, a proposito dei distretti si parlava di un grande problema: c'è un "Made in Italy" bello e di qualità ma che è troppo piccolo per raggiungere economie di scala e troppo debole per arrivare con forza ad un pubblico globale. Questo è il grande problema storico dei distretti tradizionali del "Made in Italy". Per cui c’è stato tutto questo filone di politica economica per aiutare l’allargamento delle reti d’impresa e la crescita dimensionale delle aziende.
Noi crediamo che la Rete sia un’opportunità perché risolve alla radice questi problemi. Ad un costo pari allo zero, il mercato di riferimento è globale, anzi, non esiste più. La qualità vera è trasportabile a livello globale.
Chris Anderson ha parlato qualche anno fa del concetto di “coda lunga”, sviluppato grazie al Web. Fino a pochissimo tempo fa, in pieno fordismo, erano i prodotti di massa che creavano la stragrande maggioranza del prodotto interno lordo. Con internet, prima con il Web per il Web, e dopo con il Web le cose fisiche, è la massa di prodotti di nicchia che crea la ricchezza.
Ci sono ormai una miriade di piccoli produttori indipendenti che si creano il loro format, che trovano il loro pubblico e che, di conseguenza, producono reddito, Pil e crescita.
Questa cosa noi crediamo possa avvenire anche per il bene che viene prodotto in modo artigianale. Gli esempi non mancano. Come una azienda che ho incontrato presentando “Distretti sul Web”. E' la “Caffè Carbonelli” di Napoli, una piccola torrefazione che per cambiamenti tecnologici nella produzione del caffè e le relative economie di scala, rischiava di fallire o di essere comunque inglobata dai concorrenti. I responsabili dell'impresa stavano già negoziando la cessione del brand e delle macchine quando, grazie ad uno straordinario esempio di passaggio generazionale, il figlio ha iniziato a guidare l’impresa e ha detto: "Papà, non vendiamo l'azienda, proviamo a vendere caffè di qualità artigianale in tutto il mondo. E lui ora smercia, su scala globale, un prodotto, di estrema qualità. Ma vende anche una storia: quella del Caffè Carbonelli, che è fatto a Napoli. E' una torrefazione quasi artigianale, che ha conquistato la propria nicchia di appassionati di caffè nel mercato globale e che ovviamente non compete sul prezzo con imprese come Illy o Lavazza.
Questa è una delle tante storie che noi vorremmo replicare con questo progetto. Siamo convinti che le potenzialità siano enormi.
Ma siamo anche consapevoli che ci sia bisogno di uno “shock culturale” per farlo capire al nostro sistema imprenditoriale.
Quella di Carbonelli è una storia straordinaria perché è una storia di ricambio generazionale. Io ne ho conosciute tante di queste storie. Aziende tradizionali che, grazie al Web, si sono aperte a nuovi modelli di business. In una grande percentuale di casi, questo avviene nel momento del passaggio dal padre al figlio. Proprio perché è evidente che come in ogni grande tecnologia di impatto, sia necessaria una diversa impostazione mentale. Per cogliere appieno le potenzialità della Rete occorre essere in parte "nativi", o comunque vicini ai "nativi digitali". Voglio dire che purtroppo non esiste il manualetto per portare il settore manifatturiero online: bisogna quindi conoscere bene il proprio prodotto e capire come usare la tecnologia che abbiamo a disposizione.
Il tema è quindi più culturale che tecnologico.
A Google tendiamo a dire: la questione tecnologica è superata, roba da anni Novanta, anche perché ormai le tecnologie sono semplici e accessibili a tutti. Guardate il Cloud, che sette-otto anni fa sembrava una cosa incredibile: ormai Google, Microsoft e Telecom lo hanno reso talmente semplice ed economico che viene utilizzato praticamente da chiunque.
Ma come si supera questo blocco culturale?
In due o tre modi. Prima di tutto grazie al ricambio generazionale. Questo è il motivo per cui abbiamo pensato a “Distretti sul Web”. L'idea parte da una constatazione: i nostri imprenditori storici, quelli che hanno costruito l'epopea del "Made in Italy", quelli che si sono fatti da soli e che praticamente dal niente negli anni Sessanta-Settanta hanno creato un’azienda e l’hanno portata al successo, oggi hanno bisogno di una mano per adattare la loro impresa al contesto dell’economia di internet. E chi può aiutarli meglio delle giovani generazioni?
In realtà, ci siamo resi conto, e non è stato particolarmente difficile, che abbiamo una straordinaria massa di giovani che le imprese non sanno utilizzare. Ragazzi con delle capacità che non riescono a trovare la loro strada all’interno del mercato del lavoro.
È la stessa generazione che veniva citata dal nostro coordinatore che per oltre il novanta per cento, tutti i giorni, è presente attivamente su internet. Allora ci siamo detti: proviamo, prendiamo i giovani e diciamo loro di non andare in azienda a fare quello che già fa l'imprenditore o a puntare su un mestiere che non è per loro attraente. Ma diciamo loro di portare in azienda le loro competenze. Allora, per esempio, capire che come usare Facebook (per citare un’azienda che non è la mia) può essere utile all’imprenditore per creare comunità e far conoscere i propri prodotti.
Stiamo parlando ovviamente di una grande scommessa. Francesco Zuccaccia, che è in sala con voi, è il giovane laureato che ha vinto la borsa assegnata a Perugia. Per sei mesi sarà a vostra disposizione, in particolare per quanto riguarda il distretto del cashmere.
Ma noi di Google diciamo alle imprese: date una mano a chi ha voglia di scoprire questo mondo. C'è una persona a disposizione gratuitamente presso la Camera di Commercio per pensare insieme come la Rete può aiutare il vostro distretto. Certo, non c'è una ricetta. Abbiamo pensato alla formazione e ci sono gli strumenti tecnologici ma poi conteranno la fantasia, l'entusiasmo e la voglia di capire come questi strumenti possano aiutare a far crescere un business. Lo diciamo con molta umiltà: questo progetto di Google non cambierà il mondo ma vuole comunque segnare una strada. Poi questa intuizione potrà diventare una idea strutturata. Per ora la mettiamo a disposizione del sistema economico italiano.
L'idea è stata applicata già con la Regione Toscana, che ha previsto un progetto strutturato per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro con appositi stages e tirocini di qualità. Un accordo tra Regione, Google e CNA (Confederazione Nazionale Artigianato) per utilizzare questi tirocini per aiutare le imprese ad andare online.
È solo un modello, ne possiamo individuare altri anche insieme la Regione Umbria. Però il senso della missione è ormai delineato: creare percorsi di qualità per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e, allo stesso tempo, far dialogare le imprese con il mondo dell’istruzione e della formazione professionale.
Badate: qualsiasi studente dai 19 ai 25 anni oggi è in grado di creare una presenza online per l’impresa. Quella di base, cioè quella che fa sì che quando io cerco un’impresa su Google la trovo.
Poi, certo, c’è tutta la parte più avanzata che ovviamente ha bisogno di altre competenze, a partire dall'e-commerce.
Ma intanto buttiamo giù il muro della diffidenza: facciamo capire all’imprenditore che è facile essere online.
C'è altra cosa da fare con urgenza che non costa nulla: dobbiamo semplificare le norme. Non conosco nel dettaglio la situazione della Regione Umbria, ma so che in quasi nessuna regione italiana nel Codice del commercio si cita il “commercio elettronico”. Sembra una sciocchezza, però per un imprenditore che vuole avviare questa attività significa addentrarsi in un limbo in cui c’è sostanzialmente un vuoto normativo. Certo, si va avanti, ma dobbiamo sapere che il commercio tradizionale è molto differente rispetto a quello elettronico.
Un esempio banale: nella mia regione la domenica i negozi sono chiusi per legge, peraltro giustamente. Ma sarebbe grottesco obbligare i siti di e-commerce con base in Toscana a non lavorare la domenica. E ovviamente la Regione non lo fa. Ma non c'è scritto da nessuna parte. C'è quindi bisogno di ripensare tutto l’ordinamento economico nella logica dell’economia digitale.
Il dibattito pubblico su questi temi, grazie al governo Monti, ha fatto un salto incredibile. E io credo che si debba riconoscere pubblicamente al ministro Passera il fatto di aver messo internet e il Web al centro dell’agenda politica, focalizzando tre questioni principali.
La prima è quella delle infrastrutture e finalmente sembra che siano stati ripartiti un po' di fondi per la banda larga. Poi c'è il tema della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e abbiamo appena parlato della operazione della Regione Umbria sull’Agenda digitale. Infine la questione delle start-up ed il loro adeguamento normativo, l'unico spezzone a cui si è messo mano sul tema delle imprese.
Lavoriamo insieme ad Unioncamere. L'ente camerale ha presentato da poco uno studio che contiene dati straordinari sul rapporto tra innovazione e assunzione dei lavoratori. Ma ora io credo che il governo debba giocare fino in fondo la partita perché tutto il sistema produttivo colga le potenzialità di internet. Se fino ad oggi, grazie alle start up ci siamo occupati delle aziende che non ci sono, oggi, che abbiamo semplificato le procedure per far nascere aziende innovative, dobbiamo anche sapere che queste imprese, ad un certo punto, troveranno le difficoltà di tutte le altre aziende, in termini di burocrazia, di oneri e di normative sulla gestione dei dati.
Su tutto questo problema, che non riguarda solo le start-up, ma tutte le imprese, credo che si possano fare importanti passi in avanti. E grazie all'innovazione potremo forse cogliere la grande urgenza di questo Paese: quella di creare un po’ di reddito e posti di lavoro per i giovani.
Lo studio prodotto da Unioncamere è la cosa più impressionante che io leggo da mesi o forse da anni. Unioncamere ci dice che nel 2012 tra le assunzioni programmate dalle aziende il 10 per cento sono relative al settore delle telecomunicazioni e dell’ICT.
Questo settore ora, in totale, non vale nemmeno il 2 per cento del Pil ma nel 2012 ha assorbito il 10 per cento dell’occupazione giovanile. Questo significa, banalmente che non sono le aziende ICT ad assumere, perché sono tutte piuttosto piccole e possono dare lavoro in modo relativo, ma che le aziende medie e grandi, senza una grande spinta promozionale politico-istituzionale, stanno capendo che se c’è la possibilità di assumere una persona giovane la si assume proprio in quel settore.
Allora, se le istituzioni pubbliche spingeranno in questo senso, in tempi rapidi possiamo digitalizzare il nostro sistema produttivo, creare lavoro per i giovani e magari dare un’opportunità al Paese per fare ripartire lo sviluppo.
Nel bando dei “Distretti sul Web” viene data una importanza strategica al legame con il territorio.
Questo aspetto è fondamentale proprio perché con "Distretti sul Web" abbiamo voluto dar vita ad un’operazione che aiuti l’Italia a far emergere i propri tesori. Il presidente Mencaroni ha fatto una utile riflessione sui grandi portali aggregatori, che di fatto prendono delle commissioni molto alte ai produttori, in particolare nel settore del turismo, che ha caratteristiche molto particolari.
Ma il senso del nostro impegno sul Made in Italy è esattamente questo. Noi diciamo: fino a che non sei online e non sei in grado di starci da solo, è evidente che non puoi che appoggiarti ai grandi portali che danno un servizio, né più né meno. Voi sapete, probabilmente, qual è la filosofia e lo spirito di Google: non siamo un grande portale che vende servizi, Google aggrega contenuti di altri e si remunera ospitando pubblicità. Quindi noi abbiamo tutto l’interesse aziendale, da un lato, ma anche l’impostazione culturale, della nostra cultura aziendale, nell’aiutare i singoli soggetti del territorio ad andare online in modo autonomo. E questo fa il paio con il ragionamento che ho provato a fare sul tema del Made in Italy: se noi mettiamo i nostri prodotti nei grandi supermercati che ci sono della Rete, sicuramente facciamo e-Commerce, però perdiamo il nostro grande asset competitivo. La partita per i distretti tradizionali è riuscire a portare sulla Rete tutto il proprio carico di storia, di eticità, di valori che è stato costruito nel corso dei secoli. Per questo l’idea di Google di svolgere il ruolo di piattaforma abilitante per aiutare i soggetti del territorio a cogliere autonomamente le opportunità della Rete, anziché appoggiarsi sempre su soggetti terzi, è esattamente uno dei punti fondamentali che alla base del nostro impegno.