Prospettive per lo sviluppo della città di Perugia

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Nicolò Savarese

Architetto

L’architetto Nicolò Savarese, ha curato gli aspetti relativi alla cosiddetta “città smart”, per il dossier che è stato presentato in vista della candidatura di Perugia a capitale europea della Cultura. Per smart city si intende la "città intelligente": un ambiente urbano in grado di migliorare la vita dei propri cittadini, che concili e soddisfi le esigenze di chi la abita anche grazie all'impiego diffuso e innovativo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Città intelligente perché attenta ai bisogni delle persone e a una gestione oculata delle risorse, che punti ad uno sviluppo sostenibile.

"Smart” è un termine molto alla moda. Noi urbanisti teniamo il XXVIII Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, il cui titolo quest’anno è “La città motore dello sviluppo del Paese”. I fenomeni che giustificano questa attenzione alle città ci sono tutti. Nei Paesi occidentali, nei Paesi più sviluppati, ormai quasi il 70 per cento della popolazione vive in grandi strutture urbane. Il problema della rigenerazione dei centri urbani è un problema all’ordine del giorno. Uno dei temi di questo congresso sarà rigenerazione intesa come “resilienza” che vuol dire resistenza alla rottura.

Tutti ormai si rendono conto dello stress a cui sono sottoposte le città e quindi bisogna introdurre degli elementi e dei fattori che siano capaci di renderle più sostenibili rispetto ai fenomeni che esse vivono.

Tuttavia, qualche volta, ho l’impressione che questi slogan, appunto, siano un po’ alla moda e non affrontino la sostanza dei problemi. Vorrei ricordare che noi cominciamo a parlare di "società dell’informazione" negli anni Settanta. Dopo un po’ di tempo, e cioè nel 2000, al tempo del Consiglio europeo di Lisbona, si passò da questo concetto di “società dell’informazione” a un concetto, a mio parere molto più esteso, quello di “società della conoscenza”, che non significa solo informazione, ma significa comprendere ciò di cui siamo informati. Nel giro di dieci anni siamo arrivati alla "società dell’intelligenza". A me pare un po’ troppo, perché già sarebbe tanto avere una società realmente preparata nel senso della conoscenza.

Avevamo sostituito per certi progetti quel prefisso, che ormai è davanti a tutto, la “e” per electronic, con una “k”, di conoscenza, tanto è vero che un progetto al quale ho partecipato e che ho promosso si chiamava “K-Metropolis”, dove “k” è per knowledge. Ora andiamo verso la “s” per smart.

Il fatto che ci dovrebbe indurre a riflettere è che, in realtà, la tecnologia non ha mai risolto i problemi della città, anzi, li ha creati. Basti pensare alla prima rivoluzione industriale, i fenomeni dell’urbanesimo, dell’inurbamento, di grandi masse rurali dentro la città è legato alla prima rivoluzione industriale. Ma anche senza andare troppo lontani, pensate alla diffusione di massa dei mezzi di spostamento privati, cioè delle automobili subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e i problemi dentro cui ci dibattiamo rispetto a queste cose.

L’uso intelligente delle tecnologie diventa un fatto fondamentale. Siamo di fronte alla seconda rivoluzione industriale. Ma credo che sia il caso di porsi qualche domanda supplementare.

Innanzitutto, cominciamo a riflettere su che cosa e quale sarà il futuro delle città, perché questo modello, al quale anche noi urbanisti, in qualche modo, siamo legati, cioè quello della città come grande momento di concentrazione delle idee, della creatività, degli scambi interpersonali eccetera, tuttavia qualche dubbio e qualche riflessione ce la deve far portare.

Vi voglio citare un capolavoro della letteratura di fantascienza, risalente al 1957, di uno dei più famosi scrittori di fantascienza, Arthur Clarke, The Cities and the Stars, dove veniva descritta, dopo la solita catastrofe millenaria, la riduzione sulla terra dell’umanità a due piccoli agglomerati: da una parte, una città ipertecnologica, che viveva all’interno di cupola, tutta regolata da computer e da sistemi informatizzati; dall’altra, una comunità che viveva dispersa in un’oasi verde e che comunicava al suo interno attraverso la telepatia. Adesso sostituite la ICT (Information, Communication and Technology) con la telepatia, e vedete. Insomma, il problema fondamentale su cui dobbiamo riflettere oggi, la domanda che ci dobbiamo porre è che cosa è una città.

Noi siamo troppo legati all’idea di una città come un’iperconcentrazione di gente, di edifici di parte costruita. In realtà, nella storia della città, dal paleolitico fino ad oggi, il concetto di città è molto più vasto perché, se ci pensate bene, è città anche il territorio di una tribù che vive di caccia e di raccolta. E' città non solo il villaggio neolitico, ma anche tutto il sistema agricolo che consente al villaggio agricolo di vivere. E' città la città-stato, che abbiamo ritrovato nella storia sumerica, greca, maia, la polis greca eccetera. Definiamo città anche le grandi aree metropolitane, che è difficile ormai definire tali perché  sono strutture regionalmente estesedi centri insediati.

Ma è città anche una rete di città piccole e medie. Come quella che, per esempio, esiste in Umbria. Nei lontani anni Sessanta fu coniato il termine di “città-territorio”, di “città-regione”, cioè quello di una rete di piccole e medie città dentro le quali, però, esiste quello che in termini più tecnici dal punto di vista della scienza delle reti si chiama un “Hub”, un centro.

Secondo uno studio commissionato dall'Istituto Ambrosetti, la piena applicazione delle nuove tecnologie nel nostro Paese, porterebbe a 90 miliardi di risparmi. In un momento di gravissima crisi economica questo scenario appare fantascientifico.

Alcuni temi della candidatura di Perugia 2019 sono estremamente legati ad alcune cose che dicevo prima e al concetto che soggiace allo sviluppo delle tecnologie: cioè la capacità di una comunità non solo di lavorare con le tecnologie ma di reinventarle, di adeguarle, di implementarle attraverso il concetto di “creatività”.

Il passaggio da una società industriale di tipo fordiano, in cui la gente riproduce alla catena di montaggio gli oggetti, invece a dei prodotti che incorporano una quantità molto maggiore di intelligenza e di creatività da parte delle persone e sviluppi delle nuove tecnologie, basta pensare a tutta questa tematica dei makers, che si sta sviluppando in questo momento, rappresentano un’evoluzione importante, e questo fatto sicuramente nel progetto di candidatura per il 2019 è presente dentro il progetto di Perugia, cioè quello di uno sviluppo della creatività, e come, e perché il centro storico, ma questo...

 

 

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Rendere più dinamica una città che agli occhi di chi la guarda appare statica. E' uno degli scopi della candidatura di Perugia a capitale della Cultura.

Innanzitutto, in merito al discorso sulla tecnologia, il problema vero è come si usa: se non c’è un pensiero dietro si possono fare danni.
Ho apprezzato moltissimo il saggio di Segatori ma vorrei sottolineare alcuni punti. Ho l’impressione che bisogna allargare un po’ i termini di paragone. Segatori parla di “smottamento a valle”. Ma  questo è un fenomeno di tutte le città del mondo. La periferizzazione di gran parte delle città, al di là che siano in pianura o su un colle, è un fenomeno generalizzato. Così come certi fenomeni di dislocazione di alcune funzioni, come le multisale, i centri commerciali eccetera. Per questi  esercizi è difficile pensare che si torni alla situazione di prima. Sarà ben difficile poter accogliere nel centro storico funzioni commerciali di questo tipo, se non per casi del tutto eccezionali, che però, secondo me, a Perugia non esistono.
Il fatto è che, innanzitutto, la città contemporanea non ha ancora definito un suo modello. E questo accade in tutto il mondo e non soltanto da noi. Tanto è vero che noi stessi, anche i più colti, anche i più professionalizzati in questo senso, ragioniamo ancora fondamentalmente in termini di quelli che sono i modelli ottocenteschi della città. Persino in un caso come Perugia, pensateci bene, che è una città medioevale e non c’entra niente, per esempio, con la Parigi di Hausmann o con altre metropoli. Però come la valutiamo noi? Qual è quello che riteniamo il vero centro della città? Sono due piazze collegate da un corso, lungo cui si distribuiscono i locali commerciali più pregiati, i momenti di intrattenimento eccetera eccetera. Questa concezione, che è fondamentalmente ottocentesca, di un insieme di piazze, nella città, collegate da strade, da boulevard, questa è l’immagine di qualità che noi attribuiamo alla città ancora oggi. E per noi tutto ciò che è di fuori, periferia eccetera, è bruttezza, diciamolo chiaramente, perché quello spazio ancora non ha trovato una sua configurazione. Poi chiaramente ci sono dei casi eccezionali: Barcellona, legata alle Olimpiadi, alla ristrutturazione non solo del centro storico ma di tutta un’altra serie di polarità intorno alla città ma non voglio entrare in casi particolari.
Condivido invece il discorso sulla frammentarietà. Ho lavorato in questi mesi con gli uffici tecnici comunali e ho trovato delle persone eccezionalmente preparate, che lavorano con idee e passione. Quello che manca, probabilmente, è una idea generale, questo discorso di ripensare la città. Ripensare la città è un fatto fondamentale.
All’interno della candidatura mi sono occupato di una delle gambe di quello che è stato chiamato "Piano strategico culturale della città". Quali sono i punti fondamentali? Ho finito il primo intervento parlando di “rete di città”.
In realtà questo concetto dell’Umbria insieme, di Perugia legata agli altri centri dell’Umbria, è una idea  fondamentale perché può diventare un modello. Per quello dicevo: attenzione quando parliamo di città. Che cos’è una città? Non è necessariamente una concentrazione edilizia, è anche una struttura complessa, territoriale, regionale, in cui, però, cosa ci deve essere? Ci deve essere un punto centrale, quello che dicevo io è un hub, un punto di riferimento, la cui funzione fondamentale è quella di relazionare questa rete con il resto del mondo.
Un altro punto, su cui si è ragionato moltissimo, è in realtà una delle deficienze maggiori di Perugia, anche rispetto al suo territorio e all'Umbria in generale. La città è malamente riconosciuta come capoluogo e come capitale di questa regione, proprio, forse, per una carenza e deficienza nel saper rapportare questa rete al resto del mondo. Parlo della necessità di internazionalizzare la regione. Una operazione che si costruisce partendo dal centro principale, quello che ha maggiore potenzialità per costruire relazioni internazionali.
Il senso della candidatura di Perugia a Capitale della Cultura 2019 significa innanzitutto un rilancio di questa città verso una sua dimensione internazionale, che in questo momento, al di là di fatti eccezionali e pure importanti, come alcuni festival, come alcune manifestazioni culturali, però manca come elemento caratterizzante.
Il centro storico è il focus di questa candidatura. L'accessibilità resta un problema nonostante alcune sperimentazioni di carattere tecnico e concettuale che erano molto avanzate quando furono messe in campo. Io non entro, per esempio, sul problema del minimetro, può essere stata una scelta sbagliata, o no, ma sicuramente...


SEGATORI Per ora diciamo che è una scelta parziale.

SAVARESE Se resta così, non è nulla. Se non si crea una rete di collegamento, rimane uno spezzone che collega un punto a un altro e che non ha senso. Ovviamente, sono scelte finanziarie, ma che devono essere affrontate così come il completamento della corona dei punti di accesso al centro. Non che non si faccia nulla su questo argomento, perché le politiche che fa il Comune su tutte queste tematiche (vedi il car sharing) sono giuste. Ma le infrastrutture ancora sono carenti. Questo è il primo punto.
Il secondo riguarda il commercio. Il centro storico, al di là di esercizi di qualità, non può riattrarre grandi contenitori commerciali. Però può puntare sulle funzioni culturali. E su questo devo dire che a mio avviso gli uffici tecnici comunali hanno lavorato molto bene.
Si citavano prima gli esempi fatti di reimpostare una politica di luoghi culturali attraverso i fondi strutturali europei. L’importante è che il progetto di Perugia 2019 diventi un vero e proprio centro di produzione culturale qualcosa di effettivamente reale e concreto.
Ma secondo me, il problema centrale della città è il riequilibrio delle componenti sociali all'interno del perimetro del centro storico. Purtroppo riprendere in mano il discorso sulle politiche abitative è oggi difficile, oggettivamente, nel senso che ciò che si è fatto negli anni Settanta e Ottanta, anche con strumenti eccezionali, come quello di creare dei quartieri di edilizia economica e popolare, espropriando e poi rimettendo le persone non è forse più proponibile.
Però indubbiamente su questo argomento credo che ci sia bisogno di intervenire in maniera pesante e direi un po’ dirigistica perché, mentre dei processi di sostituzione nei centri storici italiani, ma direi di tutta Europa, sono avvenuti quasi naturalmente, cioè l’abitare in centro storico è tornato a essere, da dieci, quindici, anche vent’anni a questa parte, uno status symbol, per Perugia servono politiche abitative forti. E' difficile far tornare la gente a vivere in centro perché il mercato le sta portando da un’altra parte.


SEGATORI Vorrei che tutti fossimo consapevoli, a livello di stati d’animo diffusi e percepiti, che l’Umbria è una regione centrifuga, non una regione centripeta. Per i ternani, gli orvietani, gli spoletini, i folignati, i castellani, gli eugubini Perugia non è il centro. Ci si viene perché le risorse arrivano da qui e qui bisogna prenderle. Se c’è stato un grande limite della presidenza Lorenzetti, che se non si fa attenzione potrebbe essere replicato anche dalla presidenza Marini, è quello di non aver interpretato la necessità di trasformare gli umbri a orientarsi in senso centripeto. Siamo rimasti una regione centrifuga, una "non regione".