Prospettive per lo sviluppo della città di Perugia

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Carmen Leombruni

Architetto

L’ex Carcere femminile, l'ex cinema Lilli, il Turreno, il mercato coperto. E altri spazi, anche fuori dal centro.  Sono molte le aree importanti della città che possono essere riutilizzate e che possono cambiare il volto di Perugia.

Io devo raccontarvi in maniera molto semplice che cosa sta facendo il Comune. Abbiamo lavorato moltissimo insieme, in rete (per utilizzare una parola che, a mio modo di vedere, è fondamentale), con le associazioni di categoria, ma anche con associazioni di cittadini, mettendo in moto un elemento di novità sostanziale, che io definirei un “processo” di condivisione di scelte su quella che è un’idea della città. Ne abbiamo fatto un riassunto di sintesi nella presentazione del quadro strategico di valorizzazione del centro storico, dentro il quale, naturalmente, abbiamo affrontato diversi tematismi. Non voglio parlare di analisi dei bisogni della città, o di diagnosi, perché credo che sia venuto il tempo di finirla con le analisi dei bisogni...

SEGATORI Non di finirla, di andare avanti, perché se uno fa le diagnosi bene, sa anche in che direzione andare.

LEOMBRUNI Sì, però da qualche parte bisogna cominciare.

SEGATORI Certo, bisogna iniziare a fare terapia.

LEOMBRUNI L’idea era quella di cominciare a definire delle tematiche di lavoro comune, con degli obiettivi molto chiari. Uno di questi lo ha appena raccontato il presidente Mencaroni, perché uno dei bisogni di questa città è cercare di ricreare, in qualche modo, una comunità, considerando tutti i processi di cambiamento all’interno della città che il professor Segatori ha riassunto prima.

Il dato della popolazione residente nel centro storico è di 11.000 abitanti. Per esempio, con mia grande sorpresa, ho trovato una forte comunità di cinesi, che prima era sfuggita alle analisi. La città cambia.

Il Comune che cosa fa? Secondo uno degli strumenti di attuazione del quadro strategico, legati ai finanziamenti POR-FESR, parlo degli investimenti PUC2, decide di investire alcune di queste risorse proprio per far rientrare dentro la città storica soprattutto i giovani.

Ecco perché la riqualificazione di alcuni manufatti, come, per esempio, il Convento degli Sciri, che sono destinati ad alloggi per giovani coppie. Anche qui però vorrei un attimo sottolineare una visione un po’ più allargata: non si fa un intervento puntuale sugli Sciri per far rientrare le giovani coppie, ma si lavora sul quartiere. E in questo senso intendo sottolineare, come novità, un nuovo processo di partecipazione nelle scelte; perché non si lavora solo sul convento, ma sul recupero della torre per farla diventare un punto di attrazione turistica. Si lavora sulla infrastruttura, ma si lavora altresì con le associazioni di quartiere. In una delle ultime riunioni si è parlato di come far conoscere quel quartiere, quindi come far diventare empatico ai nuovi fruitori quel pezzo di città.

Questo tengo a sottolinearlo come dato positivo perché in questo modo si va ad anticipare un problema, che oggettivamente esiste: persone che non sono mai entrate a Perugia devono venire ad abitarci e le vorremmo accogliere, facendole diventare parte di questa città. Questo è un pezzo del ragionamento, senza dimenticare altre sue parti. Per esempio tutti gli investimenti per la  cultura, anche qui sviluppando un progetto coeso sul distretto dei teatri: non si interviene sul singolo teatro, ma si mettono in rete una serie di immobili che, riqualificati, possono offrire una offerta culturale e un’apertura alla città di quell’offerta culturale.

I grandi edifici – che io definisco forse impropriamente, mi scuserà qualcuno, “vuoti urbani”, perché in realtà questo sono – hanno una grandissima incidenza in alcuni quartieri della città. Ne cito uno, per esempio: la zona di Corso Garibaldi, una zona che in questo momento soffre di tutta una serie di tensioni che conosciamo, ma soffre soprattutto di quella mancanza di presenza oggettiva di persone residenti. Anche perché una gran parte di quel quartiere, di fatto, è vuota. Un esempio su tutti: il Distretto militare sul quale il Comune si è già ampiamente mosso per cercare di acquisirlo.

Cosa possiamo fare del Distretto militare?

E’ chiaro che anche qui dipende dall’idea di città che abbiamo. Se la città è città museo, piuttosto che città della movida, piuttosto che outlet a cielo aperto, è chiaro che si parla di una città specializzata.

Nel nostro quadro strategico noi abbiamo cercato di evitare di avere una visione di città specializzata ma piuttosto di "città nuova", nel senso di una Perugia che accoglie nuova comunità, con tutte le esigenze che ne derivano. Nuove tecnologie, da cui non si può prescindere. Ma soprattutto un nuovo senso di “comunità”, che è una parola, capisco, molto generica, sulla quale però stiamo lavorando molto.

Cito – e concludo – parlando di un piccolo progetto nato da un metodo condiviso. Qual è il problema più emergente lo decide un focus di cittadini, di commercianti e di studenti.

Il progetto, denominato in sintesi con un termine molto divertente “Magica Bula!”, ha conseguito un risultato eccellente, a mio modo di vedere, che non è tanto la soluzione del problema, cioè l’inciviltà mostrata da alcune persone nell’utilizzare i luoghi della città, ma è stato un progetto realmente condiviso da tutti gli attori che hanno collaborato. Una buona pratica, nata a Perugia e in qualche modo ripresa da altre regioni come la Provenza e la Costa Azzurra che hanno copiato il processo di partecipazione che abbiamo sperimentato nella nostra città arrivando ad un affinamento costante dei risultati proprio perché il processo è un meccanismo continuo e costante.