STUDI E RICERCHE

11 febbraio 2019

Donald Trump e la politica Usa dei dazi: l'avversario perfetto

di Antonella Jacoboni

Donald Trump, 45° presidente degli Stati Uniti, nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca del 20 gennaio 2017 ha proclamato “per molti anni abbiamo arricchito l'industria straniera a scapito di quella statunitense......ci riprenderemo i nostri posti di lavoro......ci riprenderemo la nostra ricchezza......seguiremo due semplici regole: compra americano, assumi americano”.

Coerente con gli impegni presi in campagna elettorale, ha iniziato il mandato enunciando "le guerre commerciali sono giuste e facili da vincere", "sono un profondo pensatore e mi accorgo di quello che accade".

Lo stile è insolito per le ovattate cancellerie mondiali, dove regnano i toni soft; in particolare per quelle del sud-est asiatico di cultura confuciana e taoista, Confucio ci dice "l'uomo superiore è calmo e magnanimo, l'uomo dappoco è sempre agitato" , “chi si modera raramente si perde” e Lao Tze "chi è capace non discute, chi discute non è capace".

Trump ha anche vanificato due accordi commerciali di libero scambio, uno riguardante l'area del Pacifico, il TPP, permettendo così a Pechino di mantenere l'egemonia economica nell'area, l'altro con la UE, il TTIP. Non sono mancate minacce verbali di imposizioni daziarie nei confronti di paesi amici e non; infatti ha stabilito dazi su acciaio (25%) e su alluminio (10%), ritenuti strategici per la sicurezza  nazionale, perché materie prime dell'industria bellica, provenienti da paesi extra Usa, in particolare da Canada, Unione Europea, Messico e Cina.

Che cosa sono i dazi doganali?  Sono i tributi che le dogane sono tenute a riscuotere in relazione alle operazioni doganali, in particolare a quelle di importazione. Una merce gravata da dazi, in quanto proveniente da un paese estero, sarà un bene più costoso e perciò meno concorrenziale rispetto ad uno nazionale. In sintesi sono strumenti di difesa delle industrie locali, in particolare del settore manifatturiero.

Il primo bersaglio è stato il Messico che dal 1994, insieme a Canada ed Usa, ha fatto parte del Nafta, cioè dell' Area di Libero Scambio del nord America, poi trasformatasi in un nuovo accordo, Umsca. E' stata introdotta una clausola anti-cinese: il paese che voglia avere scambi di merci con Pechino dovrà avvertire preventivamente gli altri due partner.

Secondo obiettivo l'Unione Europea, in particolare la Germania, colpevole di esportare troppi autoveicoli negli Usa. Nel 2017 l'export europeo automobilistico verso gli Stati Uniti è stato di circa 38,1 miliardi di euro (dati Eurostat-Cometex 2018); la sola Germania ne ha esportati  per circa 19,1 miliardi di euro e ne ha importati per circa 5 miliardi. Le auto statunitensi importate nell’UE sono soggette a tariffe del 10% contro il 2,5% nell’altra direzione, ma è altresì vero che l'import di camion e pick-up negli Usa è soggetto al 25% e Trump minaccia di estendere questa tariffa ad ogni auto proveniente dall'Europa. La UE ha risposto dicendo di voler presentare un ricorso al WTO, chiedendo una tregua, una apertura di trattative ed infine ha predisposto una lista di merci Usa che potrebbero essere colpite per ritorsione per un valore di circa 6,4 miliardi di euro (dati Il Sole 24 Ore del 23 marzo 2018). Per il momento vige una sospensione nell’adozione dei dazi per l'acciaio e l'alluminio di origine europea, in attesa della conclusione dei negoziati bilaterali, tanto più che questa decisione appare irragionevole: se le motivazioni sono legate alla sicurezza nazionale, perché colpire gli alleati della Nato?

Nel voler "punire" l'Unione Europea emerge la vecchia concezione Usa che preferisce una Europa divisa e debole, senza considerare che gli spazi lasciati vuoti dal declinante impero americano sarebbero occupati dalla Cina: facili vittorie ottenute dal Celeste Impero. 

In un mondo globalizzato, governato fino ad oggi dal libero scambio, è riemerso lo strisciante protezionismo americano, da sempre latente e che sta minando la regolamentazione del commercio globale con esiti potenzialmente pericolosi per l'economia di tutti gli Stati.

Non a caso Paul Krugman, Premio Nobel per l'economia del 2008, ha definito Trump "bellicosamente ignorante", perché la disoccupazione Usa è a livelli molto bassi, circa il 4%, e non  si vede la necessità di iniziare una guerra commerciale che gli Stati Uniti non possono vincere. Le contromisure adottate dalle altre nazioni potrebbero essere molto pesanti, sempre secondo Krugman, influendo negativamente sull'economia mondiale, rendendo il mondo più povero e quindi più instabile, America inclusa.

Dello stesso tenore Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l'economia del 2001, "Gli Stati Uniti  sono una nazione pirata e con i dazi Trump infrange le regole invece di farle rispettare" riferendosi al fatto che il presidente ignora l'esistenza del WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, fondata nel 1995, a cui aderiscono 164 stati, che ha il compito di  far osservare le norme che disciplinano il commercio internazionale.

Ma il vero obiettivo del governo di Washington è la Cina, a cui imputa il grande deficit commerciale federale e la deindustrializzazione del  proprio paese. Pechino ha un surplus commerciale con gli Usa di circa 375 miliardi di dollari, solo nel 2017, e il presidente americano vuole che scenda a 100 miliardi. E' il caso di ricordare che il disavanzo è iniziato quando è cominciata la finanziarizzazione dell'economia nel contesto dello sviluppo della globalizzazione. Nel 1994 la creazione del Nafta non fu un'azione filantropica, ma incoraggiata dalle grandi banche d'affari e da importanti industrie statunitensi che decisero di spostare l'attività manifatturiera in Messico, con una manodopera poco costosa ed una scelta simile fu fatta per la Cina.

Trump ha innalzato la tensione con Pechino ed ha minacciato dazi del 25% su prodotti "made in China", di 1.333 beni per un valore di circa 50 miliardi di dollari; ci saranno anche restrizioni agli investimenti del Celeste Impero in Usa (dati Il Sole 24 Ore del 5 aprile 2018). La risposta del Dragone non si è fatta attendere: controdazi del 25% su 106 prodotti americani importati, quali soia, aerei, automobili e prodotti chimici per un valore di circa 50 miliardi di dollari (dati Il Sole 24 Ore del 5 aprile 2018). "Non abbiamo paura " ha detto il ministro degli esteri della Repubblica Popolare di Cina. La rappresaglia prende di mira l'export di zone agricole degli Usa come il Kentucky, il Texas, Iowa, un boomerang per gli agricoltori, nonchè elettori di Trump, delle grandi pianure coltivate.

Attualmente sono in corso colloqui per arrivare ad una "pax commerciale" ed evitare che il 1 marzo 2019 entrino in vigore i dazi del 25%  per le merci cinesi.

L'imprenditore cinese Jack Ma, fondatore di Ali Baba, l'omologo asiatico di Amazon, che ha creato dal 2003 circa 30 milioni di posti di lavoro, ha detto "è facile iniziare una guerra, difficile è finirla. Il commercio porta ad uno scambio di valori e di comunicazione. Come possono gli Usa immaginare uno scontro con la seconda economia mondiale?"

Gli Stati Uniti si reputano una potenza sia dell'Atlantico che del Pacifico e nonostante il presidente cinese Xi Jinping affermi che “l'Oceano Pacifico è abbastanza grande per lo sviluppo di entrambi”,  l'America di Tump si sente insicura e teme come inevitabile la supremazia economica della Cina. La guerra delle valute, in particolare la svalutazione dello yuan, la pirateria informatica, il progressivo potenziamento dell'Esercito di Liberazione del Popolo, le sovvenzioni statali alle industrie locali, il trasferimento del know how industriale dalle società statunitensi a quelle cinesi con le quali entrano in partnership, sono i punti centrali del malumore americano. Washington  avverte il suo declino e non riesce a capire quale siano le vere intenzioni di Pechino che assicura di volere uno sviluppo armonioso e pacifico; “La guerra è l'arte dell'inganno” “se si è capaci bisogna mostrarsi incapaci, se si è attivi bisogna mostrarsi inattivi” (Sun Tzu)

Trump ha un approccio mercantilistico alla politica estera e vuole un'America caratterizzata da un nazionalismo economico e commerciale, esattamente l'opposto dell'America di Roosevelt e del suo “New Deal”; ma fu proprio grazie a questo piano di riforme che dal 1933 al 1939 gli Usa, piegati dalla crisi del 1929, ricostruirono la loro economia, il loro sistema finanziario, ma sopratutto la loro coesione sociale che permise di vincere la guerra e di portare il paese alla guida del mondo. 

Oggi il programma politico di Washington non solo vuole ripristinare l'importanza delle barriere commerciali, i dazi, ma si prefigge di smantellare quello che rimane del New Deal nelle istituzioni statunitensi. Tutto ciò in un momento in cui, invece, la Cina si ispira proprio alla visione di Roosevelt per sostenere la sua economia, che da segni di rallentamento. Il Partito Comunista sceglie la ricetta delle opere pubbliche: ponti, strade, aeroporti, ferrovie per prevenire una potenziale e pericolosa recessione.

In una realtà economicamente interconnessa le scelte di potenze come gli Usa, la Cina e l'Unione Europea possono avere effetti destabilizzanti. Se ci fosse una guerra commerciale in risposta ai dazi americani, il mondo si avviterebbe in una escalation di difficile controllo e Pechino, se messa alle strette, potrebbe decidere di diminuire l'acquisto di treasury bonds statunitensi, bloccare le esportazioni di terre rare paralizzando l'industria tecnologica degli Usa, svalutare lo yuan, stabilire rapporti politico-commerciali sempre più stretti con la Russia.

Parag Kanna nel suo libro “I tre Imperi” ha osservato che ”gli Stati Uniti sono sempre meno amati e più temuti, la Cina è sempre più amata e più temuta”.

Secondo il finanziere George Soros  “una politica efficace nei confronti della Cina non può essere ridotta a uno slogan, deve essere molto più sofisticata”, aggiungendo “purtroppo il presidente Trump sembra seguire un altro corso: fare concessioni alla Cina e dichiarare la vittoria, rinnovando i suoi attacchi contro gli alleati degli Stati Uniti. Tutto questo potrebbe minare l’obiettivo politico degli Stati Uniti di arginare gli abusi e gli eccessi della Cina” (World Economic Forum di Davos  gennaio 2019)

Mao Zedong  ha scritto ”solo gli stupidi sollevano pietre che poi gli ricadono in testa”.

 

* Antonella Jacoboni è ricercatrice presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Perugia | antonella.jacoboni@unipg.it

 

Bibliografia 

Armella S.  2015   " Diritto doganale"   Editore  EGEA

Patel K.K.  2016   “Il New Deal. Una storia globale”  Editore  Einaudi

Spence J.  1999   “ Mao Zedong”  Editore  Gruppo Editoriale L'Espresso

Stiglitz J.  2002   “ La globalizzazione ed i suoi oppositori”   Editore  Einaudi