DALL'EUROPA

4 maggio 2016

Ttip, cresce il malcontento in Europa fra consumatori e Pmi

di Lorenzo Robustelli

Bruxelles – Per come stanno le cose adesso scommettere sul Ttip, sulla sigla dell'accordo tra Unione europea e Stati Uniti sul libero scambio di merci e investimenti è un po' come era scommettere sul Leicester di Ranieri campione d'Inghilterra all'inizio del campionato. Le trattative vanno avanti dal 2013, si è arrivati al tredicesimo round negoziale, ma sembra che ogni passo avanti fatto dalle due (folte) delegazioni faccia segnare almeno un passo indietro nel consenso dell'opinione pubblica e un po' più di incertezza da parte di chi, governi e deputati europei, dovrà approvare l'intesa.

Secondo la Commissione europea, grande sostenitrice dell'accordo, se si arriverà a una firma ci saranno “apertura degli Usa alle imprese dell'Ue; riduzione degli oneri amministrativi per le imprese esportatrici; definizione di nuove norme per rendere più agevole ed equo esportare, importare e investire oltreoceano”. Sembra un'ottima cosa, ed infatti il mondo delle imprese europee è molto favorevole, in generale, a questa intesa. Almeno quello delle grandi imprese, quelle che si sentono le spalle più forti nella concorrenza con le aziende della più grande potenza economica mondiale, che sono, quasi tutte, dei mastodonti.

Sempre dalla Commissione si spiega che  “attualmente l’Europa si trova a far fronte a grandi sfide: rilanciare la nostra economia; rispondere alle situazioni di conflitto in prossimità delle nostre frontiere; adattarsi ad altre economie emergenti; mantenere la nostra influenza nel mondo”. A tutto questo un accordo con gli Usa, che metterebbe in collaborazioni due economie comunque molto forti, troverebbe soluzione. Sempre secondo Bruxelles il Ttip porterebbe alla “creazione di posti di lavoro e  al rilancio della crescita in tutta l'Ue, nonché una riduzione dei prezzi per i consumatori e una scelta più ampia”. Inoltre darebbe all'Ue più forza per “influenzare le regole del commercio mondiale e diffondere i suoi valori in tutto il mondo”.

Tutto questo avrebbe un prezzo, ma non qualunque, assicura la Commissione: “Il Ttip non può  essere un accordo da accettare a qualunque prezzo. I cittadini hanno ovviamente un serie di domande e preoccupazioni riguardo ai negoziati, e sta a noi comprenderle e dare una risposta – spiegano a Bruxelles -. Ad esempio, dobbiamo garantire: che i prodotti importati nell’UE rispettino i nostri standard elevati; che proteggono la salute e la sicurezza dei cittadini e l'ambiente; che apportino altri benefici alla società”, garantendo nel contempo che “i governi dell’Ue mantengano pienamente il loro diritto di adottare norme o leggi per proteggono le persone e l’ambiente e di gestire i servizi pubblici a loro piacimento”.

I dubbi nei cittadini però sono tanti; in sostanza in Europa non ci si fida della capacità dei nostri negoziatori di tutelare gli interessi dei cittadini e delle piccole imprese, mentre negli Usa si teme che le troppe regole che abbiamo in Europa aprano il loro mercato a noi ma non in nostro al loro.

Domenica scorsa un gruppo di giornali europei ha avuto da Greenpeace i documenti segreti sui quali sta lavorando la Commissione europea, e ne viene fuori che le preoccupazioni non sono proprio campate per aria. Leggendo quelle carte emerge che le preoccupazioni principali espresse dalla società civile e dalle Ong ambientaliste sul negoziato transatlantico sono confermate. Il negoziato sembra soprattutto orientato ad abbassare, quando non a smantellare, gli standard attuali e futuri di protezione dell’ambiente e della salute applicati in Europa, e a dare alle lobby industriali e commerciali il diritto di accedere, influenzandoli pesantemente, ai meccanismi di decisione delle norme Ue fin dalle sue fasi preliminari, con un rischio evidente di stravolgimento delle regole democratiche cui siamo abituati in Europa. “Una porta aperta per le lobby delle ‘corporation’” secondo Greenpeace, che accusa gli Stati Uniti di un “deliberato tentativo di cambiare il processo decisionale democratico dell’Ue”.

Dai “Ttip papers” appare evidente che gli americani sono particolarmente determinati nel loro tentativo di costringere l’Ue a rinunciare al “principio di precauzione” come base per la gestione del rischio nell’approccio normativo riguardo alle politiche di protezione dell’ambiente e della salute, e in particolare per la regolamentazione delle sostanze chimiche, dei pesticidi, degli Organismi geneticamente modificati (che vengono citati nei documenti con il termine “moderne tecnologie in agricoltura” e mai con la loro sigla Ogm). La Commissaria europea al Commercio, la svedese Cecilia Malmstrom, parla di “una tempesta in un bicchier d'acqua”, e spiega che “nessun accordo commerciale dell’Ue abbasserà mai i nostri livelli di protezione dei consumatori, la sicurezza del cibo o dell’ambiente. Gli accordi commerciali non cambieranno le nostre leggi sugli Ogm o su come produrre carne sana o su come proteggere l’ambiente”.

Malmstrom però non ha convinto e la Francia, dopo aver letto le carte segrete, dice ‘no’ all’accordo. Lo spiega lo stesso presidente francese, François Hollande: “La Francia a questo stadio dei negoziati dice 'no'. Non siamo per il libero scambio senza regole, non accetteremo mai la messa in discussione di principi essenziali per la nostra agricoltura, la nostra cultura, per la reciprocità dell’accesso ai mercati pubblici”.

Forti dubbi ci sono anche tra i parlamentari europei (che dovranno approvare l'accordo se sarà mai firmato) anche se la maggioranza, per ora, è a favore dell'intesa. Ma tra i cittadini invece cresce il malcontento, e questo, spiegano  gli analisti a Bruxelles, può fortemente influenzare gli eurodeputati. Ad esempio solo il 17% del popolo tedesco, secondo un sondaggio della scorsa settimana, crede che l’accordo commerciale transatlantico sia positivo, calando dal ben più solido 55% di due anni fa. Quasi la metà di tutti i tedeschi, il 48%, si dichiara preoccupata per le conseguenze svantaggiose per la tutela dei consumatori, Anche negli Usa le cose vanno male per il Ttip. Secondo lo stesso sondaggio, prodotto dalla fondazine tedesca Bertelsman, il 18% dei residenti degli Stati Uniti si oppone all’accordo Ttip, mentre solo il 15% lo sostiene. L’approvazione nei confronti di questo accordo era  più diffusa nel 2014, quando i sostenitori arrivavano al 53%, rispetto al 20% dei contrari. Insomma, più passa il tempo e peggio è.

Poi, con l'amministrazione Obama agli sgoccioli e delicate elezioni in Francia e Germania il prossimo anni, come spiega l'eurodeputato ligure Brando Benifei se l'accordo sarà mai firmato “è molto difficile che faccia in tempo ad arrivare all'esame del Parlamento in questa legislatura”, che scade nel 2019. Una strada, decisamente, ancora in salita.