DALL'EUROPA

31 marzo 2012

La liberalizzazione dei servizi

di Lorenzo Robustelli

 Per la Commissione europea la liberalizzazione dei servizi è una questione centrale per lo sviluppo economico. Lo è sia dal punto di vista “storico”, la prima Comunicazione in materia è del settembre 1996, sia da quello delle misure da mettere in atto, nei Paesi dove questo non sia stato fatto negli anni scorsi, per affrontare e superare la crisi economica. La materia “liberalizzazioni” è uno degli esami da superare nel controllo annuale delle politiche di concorrenza introdotto nel dicembre del 2011. “Meritano altrettanta considerazione che i servizi nazionali i servizi pubblici locali, innanzitutto perché forniscono la distribuzione ‘al dettaglio’ di alcuni servizi pubblici in corso di liberalizzazione a livello comunitario e nazionale, e quindi, migliorando efficienza e qualità, accrescono e rendono più visibili i vantaggi che i cittadini si attendono dal processo di liberalizzazione”. Diceva il commissario Ue alla Concorrenza in un convegno del 2000, che poi continuava: “Molti dei servizi pubblici locali hanno notevole rilevanza industriale e presentano tassi di crescita molto forti, sia per la dinamica della domanda, sia per l’evoluzione tecnologica. Essi hanno un’influenza sul benessere della collettività che non è certo sminuita dall’essere tali servizi prestati in ambito locale. Al contrario, tutti usufruiscono di tali servizi in prima persona, ed essi rivestono un peso considerevole sia nei bilanci familiari che in quelli degli enti locali”. Questo commissario si chiama Mario Monti, ed oggi, a dodici anni di distanza, la Commissione europea ripete le stesse parole, quelle indicazioni sono il fondamento delle politiche dell’Unione in questo settore. Continuiamo dunque con Monti, il quale sosteneva che “l’assetto attuale di tali servizi prevede ampio ricorso all’affidamento diretto nonché la preponderanza delle aziende speciali – le ex municipalizzate – i cui azionisti sono gli stessi enti locali che commissionano il servizio. Ne derivano conflitti d’interesse, ampie aree d’inefficienza, strutture tariffarie non basate sui costi, rendite di monopolio, scarsi incentivi all’investimento e all’innovazione”. Invece, sottolineava l’attuale presidente del Consiglio, “ritengo estremamente importante l’aver sancito il principio secondo cui il regime di concorrenza è sempre da prevedersi qualora esso consenta il conseguimento degli obiettivi d’interesse generale”. Le questioni, oggi, sono le stesse. L’Unione europea non entra nel dettaglio di come le liberalizzazioni vadano fatte, o dell’organizzazione dei servizi. Gli stati hanno “piena autonomia decisionale”, ma l’indicazione è precisa. Tanto che, lo scorso 4 novembre, nell’oramai famosa lettera con un questionario in 39 punti rivolta al governo Berlusconi, il vicepresidente della Commissione europea Olli Rehn chiedeva come l’Italia intendesse intervenire “per rafforzare l’apertura degli ordini professionali e dei servizi pubblici locali”.