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31 dicembre 2011

Criminalità in Umbria. Addio isola felice

di Fausto Cardella

Le recenti operazioni di contrasto al crimine organizzato, condotte dalla magistratura e dalle forze dell’ordine nelle province di Perugia e Terni, se da un lato rassicurano sul buon livello di vigilanza degli apparati pubblici, dall’altro inducono a riflettere sul dato della infiltrazione in Umbria di attività illecite non autoctone, per così dire. Vien da chiedersi, cioè, se i fatti che hanno avuto ampia eco sui mezzi d’informazione siano episodi isolati, ovvero il sintomo di una più massiccia penetrazione delle organizzazioni criminali nel territorio umbro. Le cronache non registrano episodi tra i più tipici delle attività mafiose, quali estorsioni, “pizzo” ai negozianti, attentati dinamitardi ad esercizi commerciali, omicidi, nonostante la presenza in territorio umbro di soggetti in qualche modo, per parentela o precedenti penali, riconducibili alla criminalità organizzata, di tipo mafioso, camorristico o legata alle ’ndrine. Un tessuto sociale sano, gente lontana per cultura dal modello omertoso, tipico di altre meno fortunate zone d’Italia, ha contribuito, con il buon livello di attenzione delle forze investigative, a preservare da questo pericolo. Negli anni ’70 e ’80, l’Umbria fu considerata una “base fredda” del terrorismo perché si scoprì che i terroristi avevano sì dei covi in Umbria, dove si organizzavano e custodivano il loro materiale, ma non li usavano come basi operative per azioni illecite da compiere nella regione. Il timore è che la criminalità organizzata possa fare qualcosa di analogo, utilizzando la tranquilla Umbria come zona di investimento dei capitali provento di delitto. È questo il rischio principale, l’arrivo di capitali facili quanto “sporchi” che, immessi nel tessuto economico della regione, ne alterino gli equilibri, giovino ai pochi spregiudicati senza scrupoli, danneggino i molti onesti e laboriosi. Rischio riciclaggio, dunque, col conseguente arrivo di investimenti di denaro di illecita provenienza nei settori dell’edilizia e del commercio, obiettivamente i più esposti. La crisi economica generale, che in parte tocca anche l’Umbria, fa da comburente perché abbassa le resistenze all’utilizzo di denaro di dubbia provenienza. Pur potendosi dare un giudizio complessivamente positivo della situazione delle aziende in Umbria, fondato anche sulla percepita disponibilità della generalità a collaborare con gli organi inquirenti, sarebbe chiudere gli occhi, se non si pensasse che certo tipo di attività possano essere più appetibili da parte delle organizzazioni criminose, rispetto ad altre. Ci si riferisce ai settori dell’edilizia, dello smaltimento dei rifiuti, degli appalti, tutte attività per le quali è opportuno e doveroso un livello di vigilanza particolarmente attento. Anche l’usura è un potenziale veicolo di capitali mafiosi, in senso lato, e di inquinamento della vita economica. È un reato sommerso, difficile da snidare. L’usurato è una vittima che, come il tossicomane, “protegge” il suo aguzzino, che gli dà la linfa di cui ha disperato bisogno. È necessario, perciò, che la vittima del reato abbia fiducia nello Stato, si senta aiutata da questo, ottenendo anche quel sostegno economico che gli consenta di liberarsi dell’usuraio. Molto si può fare per affiancare le forze di polizia nel loro compito. E molto, per la verità, si fa in Umbria. Dalla Banca d’Italia alle istituzioni ecclesiastiche, dagli enti territoriali, che sostengono la importante Fondazione antiusura, alle Camere di commercio, tutti contribuiscono ad affiancare l’attività repressiva delle forze dell’ordine la quale, da sola, sarebbe sicuramente insufficiente a contenere un fenomeno vasto, sotterraneo e, non dimentichiamolo, antico come l’uomo. La mafia, le “mafie” non hanno confini territoriali e tendono ad espandersi. E dietro il denaro, arriva il sangue. Diceva Giovanni Falcone (1): “Non facciamoci illusioni, il mafioso che si è arricchito illegalmente e si è inserito nel mondo economico legale, ed ancor più di lui i suoi discendenti, non costituisce segno del riassorbimento e del dissolvimento della mafia nell’alveo della società civile, né oggi, né domani, perché il mafioso non perderà mai la sua identità, continuerà sempre a ricorrere alle leggi ed alla violenza di Cosa Nostra, non si libererà della mentalità di casta, del sentimento di appartenenza ad un ceto privilegiato. Quando si è membri di Cosa Nostra e si ricorre alla violenza ed all’intimidazione è molto più facile imporsi sul mercato; i mafiosi lo fanno e continueranno a farlo fino a quando esisterà la mafia”.