ARTE, MUSICA & CULTURA

30 settembre 2010

Vino e arte

di Massimo Duranti

L’ebbrezza stimola la creatività artistica, fa vedere le cose ammantate di un’altra luce e di altri colori, operando una sorta di trasfigurazione, dunque una menzogna. In effetti, qualche artista ha amato ed ama il vino per dopare un po’ la mente. Il vino che toglie affanni e dolori, che raffinata­mente fin dall’antichità si coniuga all’arte come ricorda Al­ceo nelle Odi quando invita a prendere “tazze variopinte”, non semplici contenitori, per berne: “O amato fanciullo, prendi le tazze variopinte, / perché il figlio di Zeus e di Se­mele / diede agli uomini il vino / per dimenticare i dolori”.

Certo, l’accostamento del vino all’evasione, all’ubriachez­za e al placebo, in funzione solo “maieutica” e terapeu­tica del vino non può distoglierci dal rapporto fecondo fra vino ed arte che ha fatto versare fiumi d’inchiostro a storici dell’arte, filosofi e scrittori, ma soprattutto, appunto, ha ispirato artisti dai prodromi della civiltà in poi. Vuoi legati all’iconografia di mitiche divinità come Dioniso, vuoi come situazione di aggregazione, di festosa convivialità. Tant’è che le immagini di Dionysos/Bacco comprende sempre Pan, menadi e satiri.

Su questo archetipo mitologico e sui suoi rapporti con l’arte e la religione, ha scritto nel 1991 la sua interessante tesi di laurea in Filosofia all’Università di Perugia Marina Bon di Valsassina e Madrisio. La quale ci ricorda che “Nel panthèon greco Dioniso entra in sordina, ma ben presto la vitalità del suo culto lo accredita fra le divinità principali: basti pensare che gli viene riservata ogni potestà sul vino, un alimento fondamentale, fonte di ricchezza e motivo di contatto con altri popoli e civiltà”. Ancora, ne descrive bene l’iconografia tradizionale del vaso Francois (VII Se­colo a.c.) del Museo Archeologico di Firenze – definito da H. Janmaire “una specie di Bibbia mitologica illustrata” – spiegando il corteo per le nozze di Teti e Peleo dove “i visitatori …portano agli sposi l’omaggio delle campagne il recipiente – un’anfora – che Dioniso regge sulle spalle”.

Simbolo dunque prevalentemente di festa e spesso di tra­sgressione, in realtà è anche soggetto fondamentale della storia della redenzione, fondamento della religione catto­lica. Il primo miracolo di Gesù, affettuosamente sollecita­to da Maria sua madre, è la trasformazione dell’acqua in vino – un buon vino dice il Vangelo – alle Nozze di Cana. Soprattutto, nell’Ultima Cena il figlio di Dio, prima di es­sere immolato, consacra il vino, insieme al pane, e lo fa diventare per l’eternità – rinnovandosi nella consacrazione del rito della Messa – il suo sangue, versato per la salvezza dell’uomo. L’uva di Bacco è simbolo eucaristico fin dalle prime immagini d’arte cristiana, dai mosaici del IV secolo. Nella Bibbia il vino continua ad essere causa di dissolutez­za, come nell’ebbrezza di Noè, Lot e le sue figlie, ma le cose cambiano col Nuovo Testamento, come poco sopra accen­nato. Da allora gli artisti hanno copiosamente raffigurato calici che contengono vino o gocce che lo simboleggiano, basti, per tutti, ricordare Leonardo dell’Ultima Cena.

La vite è vecchia di due milioni d’anni essendosene ritro­vati reperti fossili in Toscana che l’esame del Carbonio ha così datato, tuttavia solo con gli Egizi l’uva diventa vino.

Su questa lunga storia, va segnalata la mostra Vinum No­strum. Arte, scienza e miti del vino nelle civiltà del Mediter­raneo antico, in corso a Firenze, Palazzo Pitti, ricca di reperti anche artistici: sculture e affreschi e ricostruzioni scenogra­fiche che raccontano la storia della diffusione della vite e della produzione del vino attraverso soprattutto l’iconogra­fia, dalle origini medio orientali, al mondo ellenico e poi la produzione dei Romani (vigneti di Pompei), ma anche l’uso che ne fecero gli etruschi.

Percorrendo cronologicamente a volo d’uccello l’iconogra­fia sulla vite e il vino, senza un preciso criterio che non sia quello dei reperti che possono più affascinare, brani di una storia che è antica come l’uomo che l’ha raccontata con il maturare della sua espressività, possiamo partire da mille­quattrocento anni prima di Cristo e dalla Raccolta dell’uva, affresco murale nella tomba di Nakht a Teb, una ricca ven­demmia con leggiadre fanciulle ricca di simbologie.

Di epoca romana sono gli affreschi della Villa dei Misteri a Pompei con un giovane che beve da una coppa accanto alla compagna della quale ha colto la verginità: l’ebbrezza e l’abbandono dionisiaco.

 

Saltiamo a Caravaggio col celeberrimo Bacco degli Uffizi del 1596 circa e del Bacchino malato di qualche anno prima, personaggi delle sue frequentazioni all’osteria, il primo un capolavoro della maturità col trionfo dei grappoli e l’intensità della luce sul volto, il secondo con l’uva bianca e l’uva nera, più ricco di simbologie fra nuove e vecchie concezioni del divino.

Una parentesi va dedicata alle tecniche incisorie e allora attingiamo da un museo umbro che nel settore è un’ec­cellenza. Il Museo del Vino di Torgiano è nato nel 1974, oggi gestito dalla Fondazione Lungarotti creata nel 1987, ed è visitato da decine di migliaia di persone presen­tando una quantità incredibile non solo di reperti legati alla storia della coltivazione della vite e della produzione del vino, ma appunto di opere d’arte, le più varie, aven­ti per tema il vino e la vasta annessa mitologia. Tant’è che sono stati pubblicati ben tre volumi della Collana del Catalogo Regionale dei Beni Culturali dell’Umbria dedicati alle Incisioni, alle Ceramiche e ai Materiali Archeologici di questo museo. Fra le tante, possiamo ammirare il Bac­canale con Sileno, incisione al bulino databile ante 1494 di Andrea Mantegna, elogio o, per alcuni, monito degli effetti devastanti dell’ubriachezza. C’è anche una Vene­re e Cupido di Hendrick Goltzius, incisione al bulino del 1590 circa, dove la dea della bellezza tiene in mano un grande grappolo d’uva. Per saltare all’Ottocento troviamo una bella litografia colorata di Louis Leopold de Boilly che nel 1824 incide Allegoria dell’autunno (un contadino beve mentre una donna dà da mangiare un grappolo d’uva ad un bambino), la bevanda e il cibo insieme. Arriviamo agli Impressionisti e a Eduard Monet che esalta lo Champagne che ritrae alle Folies Berger, così come Toulouse Lautrec copiosamente colloca bottiglie di vino nelle sue tele. Be­vitori sono anche fra i temi di Cézanne con i Giocatori di carte ed anche di Renoir de Le dejeuneur des canotiers del 1881. E all’inizio del Novecento le avanguardie artistiche non potevano dimenticare il vino, tantomeno il Futuri­smo che lo definisce in Cucina Futurista: “bevanda che si rinnova annualmente, bevanda dinamica, che contiene il carburante-uomo e il carburante-motore“. Cubisti e futu­risti avevano giocato sulla bottiglia scomponendola o di­namicizzandola. Il vino ha interessato poi Picasso ed altri grandi artisti del Novecento. Con la sparizione della figura escono di scena anche il vino e i suoi contenitori, ma col citazionismo e la pittura colta torna anche il mito e col mito Bacco e l’immortale vino.

Molto di moda vanno le etichette d’arte per le bottiglie di vino, sulle quali si potrebbe scrivere un trattato avendo cominciato a disegnarne già lo stesso Picasso e poi Ma­tisse, Chagall, Miro. C’è persino un Museo Internazionale dell’Etichetta a Cupramontana e relativa Associazione ita­liana collezionisti etichette da vino.

Anche in Umbria nei primi anni Ottanta il Consorzio vi­nicolo delle Terre del Carpine indisse per un triennio “Ad Vinum cum arte”, rassegna di etichette d’autore per le loro bottiglie che ebbe un certo successo, ma quell’esperienza è finita.

Arte e vino continueranno però nei secoli, inevitabilmen­te, a dialogare.