VISIONI D'IMPRESA

L'immagine dell'impresa, elemento fondamentale della contemporaneità

di Renato Covino

Introduzione al catalogo della Mostra Visioni d'Impresa

É appena il caso di ricordare come oggi l’immagine dell’impresa rappresenti uno degli elementi fondamentali della contemporaneità. Il concetto di marketing, ossia la pubblicità come strumento di penetrazione nel mercati, come modo per incentivare la vendita del prodotto e, in tal modo, di garantire la prosperità dell’azienda, rappresenta uno dei caratteri del costume e della vita quotidiana. In realtà la questione è più complessa e riguarda non solo l’immagine che l’impresa vuol dare di se al consumatore e/o comunque al mercato, ma anche quella che ha di sé stessa, del modo in cui essa si racconta e si pone in rapporto con lo strumento comunicativo sia esso il cartellone, l’evento espositivo, la presenza sui giornali, la televisione e, oggi, il web.

É noto come la pubblicità e le agenzie nascano nei primi anni quaranta dell’Ottocento negli Stati Uniti, che solo più tardi si diffondano nell’Europa e solo agli inizi del Novecento, comincino ad affermarsi in Italia. Inizialmente l’informazione su aziende e prodotti era limitata all’inserzione nei periodici e non pretendeva di avere una sua specificità. Appare, tuttavia, indubbio che fin dai primi sviluppi della produzione di massa si cerchi di creare un rapporto con la moltitudine dei consumatori e di definirne l’orientamento. É il frutto dell’ampliarsi del mercato, della pluralità di prodotti analoghi che si diffondono, della necessità di fidelizzare il cliente e, attraverso esso, la rete distributiva. Nasce così la marca, il logo che […] crea un rapporto proprietario con una serie di beni immateriali - idee, solidarietà ed esperienze - legati al prodotto. In questo modo, la marca commerciale era già dall’inizio qualcosa di più di un semplice segno che permetteva di distinguersi: era un modo di appropriarsi dell’immagine che si era creata nell’opinione pubblica intorno al prodotto.

La marca, peraltro, consentiva una responsabilizzazione del produttore che garantiva, spesso con il suo nome, il prodotto, ma spesso anche l’identificazione di quest’ultimo con un consumo di lusso precedentemente riservato solo alle classi alte della società. Il passaggio successivo è la réclame e, poi, il cartellone pubblicitario che, al contrario delle prime inserzioni pubblicitarie sui periodici, utilizza il colore e comincia ad essere affisso sui muri delle città, nei mezzi di trasporto pubblico e diffuso attraverso gli uomini sandwich, ma chesoprattutto comincia ad utilizzare disegnatori e artisti specializzati. E fin troppo noto il caso di Toulouse Lautrec, di Bonnard e di altri numerosi artisti in Francia per soffermarsi specificamente sul tema, fatto sta che con l’affiche la pubblicità passa dall’informazione sul prodotto ed il produttore al tentativo di colpire l’immaginario collettivo, con l’ambizione di suscitare emozioni. In Italia il passaggio dalla réclame al cartellone è, come si è detto, più tardo e si colloca tra gli ultimi anni dell’Ottocento ed il primo decennio del Novecento.

É in questo periodo che, grazie ad artisti stranieri come Metlicovitz, il maestro di Marcello Dudovich e Giovanni Mataloni, il manifesto si diffonde dapprima per pubblicizzare spettacoli teatrali, poi, per promuovere le imprese. A Dudovich e Mataloni si aggiungeranno Leonetto Cappiello e Fortunato Depero. Il liberty sarà il linguaggio utilizzato dai primi cartellonisti. Il rapporto tra le affiches e il liberty in Italia è meno immediato di quanto si pretenda, esso si diffonde solo con il nuovo secolo, quando all’estero cominciava a declinare. E, tuttavia, nel primo ventennio del Novecento il cartellone pubblicitario diviene terreno di sperimentazione delle avanguardie artistiche. Emblematica è da questo punto di vista la pubblicità della Fiat di Giacomo Balla, uno più più rilevanti artisti futuristi. In molti casi i cartellonisti vengono assunti dalle stesse aziende di cui pubblicizzano i prodotti. Indipendentemente, tuttavia, dal rapporto tra correnti artistiche e pubblicità resta da definire la tardiva diffusione delle tecniche di comunicazione relative al prodotto in Italia.

La spiegazione più convincente è la arretratezza relativa del paese. É noto che lo sviluppo industriale italiano avviene solo a partire dagli anni novanta dell’Ottocento. Le prime forme di produzione di massa si diffondono solo con il Novecento, dopo la conclusione della grande depressione che aveva attraversato l’ultimo quarto del secolo precedente. Collegato a ciò è il regime di bassi consumi che caratterizza l’Italia e che frena la produzione industriale. Più semplicemente, la domanda di beni di consumo è troppo ristretta per incentivare lo svilupo delle imprese e della rete distributiva e ciò penalizza anche il comparto dei beni d’investimento. I mercati hanno una dimensione locale, nel migliore dei casi regionale o interregionale. Ciò incide sulle tipologie d’impresa che solo in rari casi hanno dimensioni medio-grandi. La crescita del primo decennio del Novecento va, quindi, attribuita ai mutamenti realizzati nell’insieme dell’economia e della società italiana. Il quarantennio post unitario determina una accelerata crescita urbana e il diffondersi di una piccola borghesia degli impieghi e delle professioni che provoca un allargamento sia pur relativo della domanda di beni industriali. In secondo luogo le politiche protezioniste consentono il decollo dell’industria nazionale; infine il sistema bancario, dopo le fibrillazioni e le crisi dell’ultimi decennio dell’Ottocento, si stabilizza grazie alla presenza di banche miste di origine germanica, ossia istituti bancari che fanno raccolta di risparmio e contemporaneamente operano nel settore del credito industriale e dei prestiti a lungo termine.

A ciò si aggiungono i mutamenti della congiuntura internazionale che conosce una fase di prosperità che archivia il periodo di crisi che aveva caratterizzato l’ultimo quarto del secolo precedente. Si assiste cioè, sia pure in modo embrionale, allo strutturarsi della società di massa che si afferma anche nel campo dei consumi. La Grande Guerra accentuerà tale aspetto e trasferirà nel contesto europeo ed italiano fenomeni già affermatisi negli Stati Uniti. Il clima di euforia che segue il conflitto consente un allargamento relativo dei consumi anche in Italia e la pubblicità conosce un momento di diffusione inaspettato. La crescita della domanda e l’ innalzamento dei prezzi sono determinati dall’innalzamento di stipendi e salari. É soprattutto la piccola borghesia giovane e moderna che, in molti casi, ha partecipato da protagonista agli eventi bellici, in gran parte residente nelle città, la protagonista della nuova fase di evoluzione dei consumi e che determina anche i mutamenti del linguaggio pubblicitario. É dagli anni venti che la questione dell’immagine dell’azienda e del prodotto acquisisce una centralità destinata a durare nei decenni successivi fino a proiettarsi nella contemporaneità.

Come tali processi si affermano in una realtà territoriale come la provincia di Perugia, nella quale per lungo tempo gli equilibri economici vengono determinati da un retroterra rurale dove è prevalente il peso di un’agricoltura relativamente arretrata, dove ha il contratto mezzadrile e le produzioni cerealicole assumono un ruolo determinante? Un ruolo centrale per la diffusione delle produzioni è assunta dalle esposizioni regionali che per lo più vengono organizzate dalle istituzioni impegnate nello sviluppo dell’agricoltura. Le esposizioni internazionali, nazionali e locali hanno un ruolo fondamentale, soprattutto per tutta la seconda metà dell’Ottocento. Il loro ruolo è quello di ratificare le eccellenze produttive, di certificare da parte di un’autorità terza con attestati, medaglie, diplomi la qualità del prodotto.

Le fiere e le esposizioni, che ancor oggi hanno - sia pure in una realtà profondamente mutata - una loro importanza e vitalità, si affermano in Italia dopo l’Unità e immediatamente si diffondono nei contesti locali. In Umbria esse nel secondo Ottocento vedono ovviamente prevalere la presenza di produttori agricoli, soprattutto quelli dei settori dell’olio e del vino. La prima, ancora in età pontificia, è l’Esposizione provinciale di Perugia del 1855, ad essa segue quella del 1858, anch’essa tenutasi nel capoluogo della Legazione. Bisognerà attendere il 1879 prima che si tenga una nuova Esposizione Umbra che anch’essa si svolgerà a Perugia. Nel 1891 una nuova Mostra agraria e Concorsi agricoli-industriali si terrà ad Orvieto, seguita nel 1892 dall’Esposizione agricola-industriale- artistica tenutasi a Foligno e infine dall’Esposizione generale umbra del 1899 svoltasi a Perugia. Anche quando vengono presi in considerazione i diversi settori produttivi e non solo quello agricolo, c’è da osservare che gli organizzatori sono i Comizi agrari e le Cattedre ambulanti di agricoltura, quasi a certificare la centralità del comparto rurale nell’economia umbra. Emblematica da questo punto di vista è la Esposizione tenutasi a Foligno nel 1892. Su 1.200 espositori ben 745 operano in agricoltura. Delle 455 imprese che vengono censite nel comparto industriale-manifatturiero la stragrande maggioranza è costituita da attività minute di artigianato artistico.

É solo con il nuovo secolo che si sviluppano nuove imprese manifatturiere. La questione è, però, più complessa e diversa rispetto a quanto succede in altre aree del paese. Se nel primo decennio del secolo i capitali locali si orientano in direzione dell’industria, pure ciò avviene con una mentalità da rentiers che non favorisce la costituzione di un capitale di rischio capace di assicurare lo sviluppo del nascente tessuto industriale. Rapidamente capitali esterni all’Umbria subentrano a quelli indigeni e acquisiscono le aziende nate nel primo decennio del secolo. Si avvalora così l’idea espressa nel 1921 da Carlo Faina secondo cui la regione ospita le imprese ma non le possiede. Dal punto di vista della immagine che di sé danno le imprese, del messaggio pubblicitario, le aziende delle regione rientrano nel quadro delle strategie delle imprese “madre”, introducendo modalità di comunicazione moderne. É, tuttavia, solo nel secondo dopoguerra che le aziende di punta della provincia di Perugia acquisiscono definitivamente nelle loro politiche aziendali le strategie di comunicazione.

All’avanguardia in tale settore sono le imprese di consumo ed in particolare quelle orientate nei confronti di mercati di lusso. L’esempio tipico è la Perugina che nel momento in cui si dota di una strategia aziendale che privilegia il prodotto di qualità rispetto al cioccolato di massa, attiva una Direzione artistica affidata ad un esperto e geniale disegnatore come Federico Seneca. Seneca è l’ideatore della scatola dei Baci e del cartiglio che si trova nel più prestigioso prodotto dell’impresa, dei principali incarti delle caramelle e dei cioccolatini della Perugina, dei suoi cartelloni pubblicitari, dei manifesti degli eventi organizzati dall’azienda. É una pubblicità moderna, aggressiva e dissacrante, indirizzata verso un pubblico giovane, ad una piccola borghesia istruita capace di recepirne le allusioni e il messaggio. Non a caso agli inizi degli anni venti l’impresa promuoverà corse di automobili e motociclette, quanto di più moderno ci fosse all’epoca, oggetti di desiderio dell’immaginario dei piccoli borghesi del tempo. Seneca resterà per oltre dieci anni nell’azienda. Ne uscirà proprio quando l’impresa comincerà ad avviare quella che è stata definita la principale campagna multimediale italiana degli anni trenta del Novecento in cui si mobiliteranno tutti mezzi di comunicazione disponibili dalla radio, ai libri, alla stampa periodica e quotidiana, al concorso delle figurine, al cinema fino ad arrivare all’arrivo dei Quattro moschettieri in pallone areostatico presso il padiglione della Buitoni alla Fiera di Milano il 22 aprile 1935. Lo sforzo di ampliare il mercato da parte della Buitoni naufragherà di fronte alla chiusura economica del paese rappresentata dalla fase autarchica e di guerra che provocherà un ulteriore rafforzamento del regime dei bassi consumi. D’altro canto questo dato va posto in relazione con l’esilità della rete distributiva che imporrà all’impresa di aprire negozi diretti.

L’autarchia e l’economia di guerra, tuttavia, non impediscono che processi volti alla definizione di forme di comunicazione d’impresa tendano a diffondersi. É il caso delle politiche agricole che trovano ad esempio rappresentazione nelle Feste dell’uva, oppure prodotti industriali per l’agricoltura come plasticamente rappresentati in foto o cinegiornali: dagli aratri Nardi, allineati in schiera e pronti a partire per le colonie o per le aree di bonifica, alle pubblicità dei mulini a cilindri, appendice e complemento della battaglia del grano, per giungere infine delle produzioni direttamente legate allo sforzo bellico, come gli aeroplani della Sai e dell’Ausa o le razioni militari come lo Scatolettificio di Scanzano. Non si tratta solo di imprese legate alle politiche militari del fascismo o alle campagne intraprese dal regime, ma anche di aziende che nascono come riflesso dell’autarchia e che tuttavia saranno destinate a vivere e a èrosperare anche negli anni del dopoguerra. É il caso dell’Angora Spagnoli che, forte dell’esperienza maturata nel management della Perugina dai suoi fondatori, ne applicherà le tecniche e le strategie nel settore dell’abbigliamento: dalle caratteristiche del prodotto destinato a mercati di lusso alle tecniche commerciali (i negozi diretti).

Il secondo dopoguerra rappresenta per l’apparato economico della provincia di Perugia una fase di passaggio difficile. I tratti che caratterizzano il quadro economico sono, per un verso, la riconversione dell’industria di guerra ed autarchica in industria di pace, fortemente orientata al mercato, ma soprattutto la crisi agraria che, preannunciatasi all’inizio degli anni cinquanta, assumerà un andamento dilagante verso la fine del decennio. Lo sforzo anche d’immagine che le istituzioni economiche faranno sarà quello di definire un nuovo ruolo delle produzioni della provincia, in primo luogo quelle agricole, ma non solo. La Camera di Commercio organizzerà fiere ed esposizioni agricole ed artigianali, meno evidente è l’attività delle imprese di costruzione della immagine di marchio e di prodotto. Maturano, comunque, nel paese le condizioni nuove che consentiranno lo sviluppo di nuovi strumenti e protagonisti della pubblicità. In primo luogo si rafforzerà il ruolo della radio, accanto ad essa si moltiplicheranno i veicoli rappresentati da nuovi periodici, accanto ai settimanali tradizionali ne nasceranno di nuovi, nasceranno peraltro i rotocalchi destinati al pubblico femminile, potente veicolo del messaggio pubblicitario. Cambieranno anche gli operatori del settore. Accanto ai grafici che si applicheranno a produrre affiches destinate a trasformarsi in cartelloni stradali, nascerà la pubblicità orientata al marketing con campagne mirate e destinate a rispondere a tutte le esigenze aziendali di penetrazione di mercato, protagoniste di questa “rivoluzione” saranno le agenzie strutturate sul modello americano.

Naturalmente le imprese della provincia che recepiranno tali mutamenti saranno soprattutto quelle che già nella fase precedente avevano compreso l’importanza del mezzo pubblicitario. Ancora una volta sarà in prima linea la Perugina, dove dal 1947 era stato ricostituito l’ufficio pubblicità sotto la direzione di Giovanni Angelini, che negli anni trenta aveva sostituito Federico Seneca. Alla pubblicità dell’azienda sia affianca e si rafforza quella di prodotto: dal Cioccolato Luisa, alla Caramella Rossana, al Bacio. Si rafforza la pubblicità stradale attraverso la cartellonistica, infine la struttura interna viene affiancata da agenzie esterne come “la Sigla o la grande struttura internazionale J. Walter Thompson”.

Meno raffinata e/o più artigianale la produzione delle altre imprese. Se su terreni di eccellenza continua a collocarsi la Spagnoli, le altre aziende, piccole e con scarse proiezioni di mercato o orientate verso mercati specifici, curano poco il settore. D’altro canto le strutture di servizio ed il settore commerciale - caratterizzato da negozi medio piccoli - non si discostano dagli stereotipi del periodo precedente. La rèclame, il manifesto o l’inserzione sui periodici locali continuano ad essere i veicoli prevalenti. In definitiva solo le imprese maggiori a partire dalla fine degli anni cinquanta - non fosse altro per questioni di budget - riusciranno a cogliere l’occasione rappresentata dall’esplosione del mezzo televisivo. Il paradosso della televisione degli inizi sarà legato al fatto che la pubblicità non dovesse essere tale. Quando il 3 febbraio 1957 nascerà la rubrica televisiva “Carosello” essa si strutturerà in modo diverso che negli altri paesi industriali. In questi ultimi il messaggio si strutturava in circa 35 secondi, “Carosello” prevedeva un piccolo spettacolo di circa un minuto e mezzo a cui si aggiungeva una promozione pubblicitaria di 30 secondi. Ciò comportò lo sforzo di collegare il prodotto con un testimonial, ossia con un attore o un cantante di successo che collegasse la sua persona al prodotto. Per arrivare allo spot di 30 secondi bisognerà attendere il 1976, poco primo della chiusura della “rubrica” che avverrà l’anno successivo. “Carosello”, tuttavia, avrà un successo rilevante, entrerà nel costume italiano. Le imprese umbre e particolarmente quelle della provincia di Perugia cominceranno, almeno nel comparto del settore di consumo, ad utilizzarlo con successo. Non solo Perugina e Spagnoli, ma anche alcune industrie pastarie e delle acque minerali e, con il tempo, altre imprese di abbigliamento, prima tra tutte la Ellesse, azienda di successo nell’abbigliamento sportivo.

Alla pubblicità legata al marchio si affianca quella di prodotto con l’obiettivo di fidelizzare il cliente non più all’azienda, ma a un singolo capo di abbigliamento o una bevanda o un cibo specifico o un particolare liquore. Il logo diviene solo un elemento marginale dello spot o della pubblicità, non più il suo elemento dominante. Ma lo strumento televisivo non sarà l’unico modo di proporre l’immagine dell’impresa e del prodotto. Il cinema e la radio continueranno a mantenere per tutti gli anni sessanta, settanta e ottanta il loro ruolo, come pure le inserzioni nei rotocalchi e i manifesti. Un ruolo fondamentale in tali forme di pubblicità lo avrà la fotografia che sostituisce in molti casi il disegno. Si mescolano nel periodo tutte le forme già utilizzate nei decenni precedenti, dall’uso dei testimonial all’evento. In una provincia caratterizzata da imprese perlopiù piccole e dove resta ancora forte il ruolo dell’agricoltura, dove la rete commerciale è ancora quella tradizionale, continuano a mantenere il loro ruolo le esposizioni su cui continuano anche negli anni sessant-ottanta del Novecento ad impegnarsi le istituzioni economiche ed in particolare la Camera di Commercio, essa continua soprattutto in alcuni settori (le produzioni agricole e i settori ad esse collegati) a costruire appuntamenti che ancora rappresentano un efficace mediazione tra produttori e consumatori.

Fiere ed esposizioni costituiranno un momento di diffusione dell’immagine non tanto di settori e/o di singole imprese, ma del sistema economico del suo complesso. Si trattava, insomma, di una sorta di marketing territoriale ante litteram, in cui l’ambito territoriale di pertinenza dell’impresa diventava un suo tratto caratterizzante. L’esempio forse più pertinente è quello dello strumento all’epoca più legato alla modernità, la televisione. La Tedas di Todi, che si impegna in tale settore, lo collega al mobile d’arte umbro, inserendolo così nella tradizione locale. Per altro verso le imprese impegnate nella realizzazione d’infrastrutture utilizzano le proprie opere e la loro immagine come strumento di promozione. La pubblicità accompagna, così, in modo differenziato una fase di crescita economica della provincia, la trasformazione di un’area a vocazione agricola in un territorio in accelerata fase di sviluppo industriale, dove si affermeranno imprese capaci di competere a livello nazionale ed internazionale. I decenni successivi saranno segnati da nuovi cambiamenti. Compariranno nella provincia nuovi protagonisti economici di cui i più rilevanti saranno gli operatori del turismo e della grande distribuzione, alcuni degli attori cambieranno, altri usciranno dal gioco.

Muterà anche il modo di proporre l’immagine dell’impresa e del territorio su cui si localizza in un’epoca segnata da processi di omologazione di stili di vita e di consumi e di globalizzazione, in cui cambiano gli stessi strumenti della comunicazione. La visione dell’impresa muta nuovamente ed è ancora in via di trasformazione, utilizzando la tradizione e momenti di innovazione, in un mondo in sempre più rapido cambiamento. I musei d’impresa in tal senso rappresentano un cardine di un modo innovativo e sempre più diffuso di comunicare la conoscenza dell’impresa, una forma diversa di marketing in cui si intrecciano storia, memoria, cultura della produzione, elementi questi che rappresentano un fattore competitivo nel mercato globale. Tale realtà che registra in Italia alcune centinaia di esempi si diffonde sempre più anche nella realtà provinciale, dove presenta numerose eccellenze (il Museo Atelier Giuditta Brozzetti, il Museo virtuale delle Arti tessili Arnaldo Caprai, il Museo della Tipografia Grifani Donati, il Museo del vino - Lungarotti, la Casa Museo Studio Moretti Caselli, il Museo casa del cioccolato Perugina, l’Esposizione Luisa Spagnoli, il Museo Tela Umbra, l’Esposizione Stabilimento tipografico Pliniana).

Tali realtà costituiscono un punto di forza non solo delle singole imprese, ma anche di un potenziale marchio Umbria e testimoniano come la visione dell’impresa tenda sempre più ad articolarsi, restando al tempo stesso una spia di processi economici, culturali e di costume il cui tratto distintivo è sempre più la complessità.