MARKETING

30 giugno 2012

Turismo culturale e marketing. È Il territorio il vero brand

di Mauro Loy

Niente cultura, niente sviluppo” è quanto da tempo si legge sulle pagine dei giornali come simbolo di una protesta che movimenta l’intera industria culturale in difesa di quei “beni che testimoniano un glorioso passato, ma che sono diventati troppo ingombranti ed improduttivi da mantenere”. Se lo sviluppo della cultura è annoverato tra i principi fondamentali della carta costituzionale, non si può prescindere dal perorare azioni di sostegno ad un fenomeno che prima di essere un sistema economico è una sfida sociale e d’identità nazionale. La cultura italiana vista con gli occhi di un cittadino del mondo è arte, gastronomia, moda e design, storia e tradizioni; è essere ingegneri della creatività all’italiana. Questo è motivo di turismo, ma anche di fare impresa, di attrarre investimenti esteri e di localizzazioni straniere, il tutto con un unico comune denominatore: l’italian lifestyle. È la cultura che attiva il turismo, che a sua volta diventa impresa e si trasforma in marketing, per soddisfare una domanda di mercato che nel tempo è diventata sempre più esigente e alla continua ricerca di innovazione. La miopia culturale ed economica in una politica di tagli e burocrazia rallenta la corsa dell’Italia nello scacchiere internazionale del turismo culturale. Le difficoltà nel gestire l’offerta turistica a livello centrale con le esperienze di portali, manifestazioni fieristiche e di istituti preposti alla promozione del bel Paese evidenziano la fallacia di un sistema che non è riuscito a concretizzare una politica di attrattori e di comunicazione comune. Un sistema quindi, in cui poter far confluire le diverse esperienze regionali e in grado di presentare l’Italia come un contenitore eterogeneo di esperienze da vivere. Superando l’insidiosa diatriba sul portale di promozione turistica dell’Italia, che nonostante i numerosi tentativi non sembra aver trovato ragion d’essere, le strategie di promozione turistica adottate dai francesi e dagli spagnoli insegnano come le logiche di integrazione tra le diverse realtà locali siano vincenti a livello globale poiché in grado di trasformare il territorio in un vero e proprio brand, grazie ad una comunicazione integrata. Nonostante il Country Brand Index (indice che prende in esame 113 Paesi del mondo, valutandoli in base a 26 attributi di immagine e 6 diversi pesi di forza della marca) vede l’Italia al X posto, confermandola leader solo nella classifica dei parametri “tradizione, cultura e cibo”, sono tangibili i segnali di un’Italia arroccata su posizioni anacronistiche e priva di slancio verso i nuovi modelli di valorizzazione delle risorse del territorio. La grande debolezza del sistema paese è dovuta soprattutto, al forte arbitraggio nella sfera della comunicazione promozionale, che spinge gli enti locali a muoversi individualmente per la propria competitività. Ciò determina l’emergere di singole esperienze regionali vincenti a livello locale, ma non globale. Un dispendio di risorse e di energia che ha impedito ai territori e alle imprese di svilupparsi come un sistema di comunicazione prima, ed economico dopo, in grado di determinare un’offerta turistica competitiva perché integrata. All’individualismo dei giocatori in campo si aggiunge una platea fatta di spettatori che, nel tempo, ha modificato le motivazioni che inducono ad intraprendere il viaggio, nonché le prospettive di replicarlo. Cambia il mercato – sempre più saturo di concorrenti – cambiano i consumatori, cambia il modo di intendere e di vivere la cultura. Se l’Italia con gli oltre 4.000 musei (i meno visitati al mondo) compare solo alla XIX posizione con gli Uffizi di Firenze, con 1.766.000 visitatori, nella classifica europea dei siti maggiormente frequentati (senza comprendere i Musei Vaticani con 5.000.000 di visitatori) e che premia il Louvre (8.900.000 di visitatori), il Metropolitan di New York e il British Museum di Londra, quale strategia per ripensare l’offerta turistica culturale nazionale? Più logiche di mercato, più collaborazione pubblico-privato, più estero, più sinergie tra operatori della filiera dai tour operator, ai vettori aerei, al settore dell’accoglienza. Il ritorno in patria della Venere di Morgantina (trafugata 30 anni fa ed esposta al Getty Museum di Malibù fino allo scorso maggio) vista da una sola decina di visitatori nel primo mese di esposizione in Italia, è da monito per favorire la circolazione delle opere d’arte nel mondo, come piccoli semi per sostenere lo sviluppo e la promozione del territorio d’origine. La circolazione dei beni culturali tuttavia in Italia, è ancora una materia fortemente gravata da una legislazione restrittiva che invece di favorire accordi internazionali, presta il fianco al contrabbando o relega nell’oscurità degli archivi opere di inestimabile valore. Il museo del Louvre di Parigi (8.900.000 visitatori) al contrario, ha scelto di perseguire una strada di liberalizzazione e di condivisione: nel 2013 inaugurerà un complesso culturale di 24.000 mq ad Abu Dhabi, in cui trasferirà alcune centinaia di opere d’arte selezionate dalle più importanti gallerie francesi nei primi due anni e ad organizzare quattro mostre temporanee all’anno per dieci anni, con un introito per le casse francesi di circa 700 milioni di euro, da reinvestire nel museo parigino. Allo stesso modo, il Guggenheim Museum aprirà una sede nella stessa città araba, la cui proprietà sarà della Compagnia di Abu Dhabi per lo sviluppo turistico e l’investimento, mentre la fondazione Guggenheim si occuperà del programma del museo e delle collezioni. Il settore pubblico si lega così al privato, per far vivere una cultura che troppo spesso paga lo scotto della staticità. La circolazione del patrimonio tuttavia, consente non solo un ritorno in termini economici per il territorio, ma soprattutto l’ingresso in nuovi mercati in cui la diffusione della cultura nazionale può essere un volano per il tessuto produttivo, inteso come espressione di un lifestyle da esportare. Se si pensa a come la lungimiranza in materia di comunicazione e promozione dell’industriale Felice Bisleri, portò – e ancora oggi rimane nell’evocativo – la popolazione indiana ad identificare l’acqua oligominerale imbottigliata con il brand “Nocera Umbra”, è facile comprendere come l’utilizzo di strategie sistemiche concorrano a valorizzare il legame prodotto-territorio. Contaminare i mercati e le culture. Innescare la domanda di “italianità” per aprire un valico al commercio estero e portare sul territorio nazionale i consumatori del mondo. Determinare un’offerta fatta di un nuovo modo di vivere la cultura e soprattutto di servizi. Un’offerta che travalichi la staticità dei musei e che si spinga verso la dinamicità dei territori, scoprendo un’identità celata sì nella storia e nelle tradizioni locali ma anche nelle realtà produttive del “buono e ben fatto”. Nonostante le esperienze per ritrovare la vitalità persa nel tempo in cui ai percorsi museali sono state accostate attività commerciali – dai bookshop, alla ristorazione – l’offerta turistica culturale necessita di un rinnovamento teso a ristabilire nuove condizioni di “vivibilità e fruibilità”. La grande dispersione sul territorio del patrimonio culturale impedisce la costituzione di grandi poli d’eccellenza, in grado di attrarre i turisti in circuiti tematici definiti, capaci di coinvolgere l’intero bacino regionale. L’allestimento di mostre di rinomati artisti del panorama internazionale in grandi contesti urbani, testimoniano il successo di iniziative di forte appeal che dovrebbero essere sfruttate come volano per valorizzare le aree territoriali circostanti. In questo senso, l’esperienza umbra della mostra di Luca Signorelli è ben riuscita a cogliere un percorso di “cultura diffusa nel territorio”, riuscendo a far vivere contemporaneamente sia aree più conosciute che non. Altre opportunità per recuperare in termini di fruibilità il patrimonio culturale è il prestito a privati che, a fronte di un canone locativo, potranno godere temporaneamente delle bellezze artistiche facendosi carico delle opere di restauro (ove necessario) e della sicurezza. L’iniziativa assicurerebbe un importante introito da opere che giacciono copiose nei magazzini. In un periodo politico-economico in cui l’Italia è chiamata a disegnare il proprio futuro ripartendo dall’inestimabile patrimonio storico-artistico e paesaggistico, parlare di cultura di marketing in un’ottica di interconnessione dei fenomeni – come insegna il genio di Leonardo – è un’importante opportunità per l’industria del turismo (68 miliardi di euro, 5% del PIL nazionale) e più in generale per l’intero Paese. Marketing della cultura o cultura del marketing? È un gioco di parole per sottolineare l’importanza di ripensare in chiave moderna, economica e di maggiore fruibilità i beni storico-artistici, un’occasione per la Regione Umbria che ha candidato Perugia-Assisi come capitale della cultura 2019. L’utilizzo delle leve di marketing in un ambito da sempre seguito dalla sfera istituzionale e inteso in modo conservativo e non con logiche di interconnessione, è un percorso da sostenere per preservare e, allo stesso tempo, imparare dalla nostra storia. La cultura è una realtà che sdogana le differenze di genere e appartiene ad una molteplicità di mondi, in grado di costruire e rappresentare un universo di significati che deve appartenere a tutti. È espressione di un modo di fare e di essere, che contraddistingue l’essenza di una civiltà e che mi piace riassumere in una parola: ITALIANING.