RACCONTAMI L'UMBRIA

La romantica Spoleto mette insieme Calder e i longobardi

Articolo partecipante a Raccontami l'Umbria 2015 - sezione Stampa Nazionale ed Internazionale

di Piero Soria

TESTATA: La Stampa

DATA DI PUBBLICAZIONE: 27/3/2014

 

Vicina alla Fonti del Clitunno la città umbra è un concentrato di storia e bellezze artistiche

 

Spoleto se ne sta lì, incontaminata, al centro dell’Italia. Languidamente appoggiata ai dolci declivi del colle Sant’Elia, alle falde del Monteluco, contornata dalle piccole vette che delimitano la Valnerina. E’ uno dei luoghi più romantici del Bel Paese. E a primavera scoppia in una sinfonia di colori e di profumi che hanno pochi eguali. Poco lontano il paesaggio si apre nelle Fonti del Clitunno, altro specchio lirico dell’anima che infatuò Carducci, qui venuto come ispettore del Liceo, al punto da cantarle in una delle sue «Odi barbare». Ma chi più ne uscì infatuato furono due grandi tedeschi: Goethe ed Hermann Hesse che, in una cartolina alla moglie, scrisse: «Spoleto è la scoperta più bella che ho fatto in Italia, c’è una tale ricchezza di incanti pressoché sconosciuti, di monti, di valli, foreste di querce, conventi, cascate!...». 

 

Le prime testimonianze del suo insediamento risalgono all’età del bronzo. Sotto i Longobardi fu capitale dell’omonimo ducato, poi toccò ai Franchi. Nel 1155, «munitissima città, difesa da cento torri» fu distrutta dal Barbarossa. Poi contesa tra l’Impero e la Chiesa, fu aggregata al papato da Innocenzo III. Funestata da conflitti tra guelfi e ghibellini, fu riappacificata dal cardinale Egidio Albornoz che le mandò autorevoli governatori, tra cui Lucrezia Borgia .  

 

Dal Rinascimento in poi, si trasformò progressivamente da centro strategico a culturale, con la fondazione dell’Accademia degli ottusi (oggi Accademia spoletina). Seguirono periodi di splendore e di decadenza. I papi, Urbano VIII e Pio IX erano stati vescovi di Spoleto. Durante l’occupazione francese nel periodo napoleonico, fu capoluogo prima del dipartimento del Clitunno e poi di quello del Trasimeno.La Restaurazione la fece sede di una delegazione pontificia sino all’Unità d’Italia. Ora deve la sua fama soprattutto al Festival dei due Mondi, fondato nel 1958 da Gian Carlo Menotti, che con i suoi spettacoli di prosa, danza, concerti, mostre e film rappresenta un must internazionale. 

 

Nell’intrico romano-medioevale delle sue strade, piazze, viuzze e monumenti spiccano la Rocca albornoziana che sorge alla sommità del colle Sant’Elia da dove domina incontrastata. Poi il Ponte sanguinario. Quindi l’arco di Druso. Il palazzo Racani Arroni, il Ponte delle Torri simbolo della città, un acquedotto romano-longobardo unico nella sua altezza di 82 metri.  

 

Infine la Torre dell’olio e la porta Fuga: la prima così chiamata perché da essa, in difesa della città, si soleva gettare olio bollente sui nemici che assediavano la porta sottostante. Si narra che molti nemici, i più illustri Federico Barbarossa e Annibale, subirono ingenti perdite da questa strategia e quindi si dessero alla fuga. Di qui il nome. Rimarchevole infine la Cattedrale di Santa Maria Assunta, con gli affreschi del Pinturicchio nella Cappella del vescovo Eroli e di Filippo Lippi nell’abside della navata centrale.  

 

A conclusione, la frase di Francesco d’Assisi, «Nihil jucundius vidi valle mea spoletana», che è riportata su una lapide posta al Belvedere del Monteluco. Come a dire: anche i santi si innamorano del bello. 

 

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