MARCHI & BREVETTI

La tutela giuridica del Made in Italy contro il Mad in Italy. Un caso emblematico

di Giuseppe Caforio

La tutela del Made in Italy è argomento attualissimo che spinge le istituzioni italiane a rafforzarne la tutela, in primis sul piano normativo e poi su quello commerciale, convinti della forza penetrante sul mercato mondiale di questo segno che costituisce un valore aggiunto.

Di ciò ne sono consapevoli anche imprenditori creativi che cercano soluzioni  giuridiche  border-line per appropriarsi  del vantaggio di tale segno e nel contempo abbattere i costi, producendo  all’estero. Proprio su questo tema la giurisprudenza di merito si è occupata recentemente di un singolare caso, molto emblematico, avente ad oggetto l’uso del  marchio Mad (in inglese: pazzo) in Italy  per prodotti realizzati in Cina. Sulla scorta di questo singolare caso, il  Tribunale di merito di Torino, ha elaborato alcune interessanti conclusioni,  riassunte nella seguente massima giurisprudenziale: Costituisce concorrenza sleale per violazione dei principî di correttezza professionale l’utilizzo, come marchio  di fatto per occhiali, dell’espressione  «Mad in Italy» (pazzo in Italia), riprodotta al centro del tricolore italiano,  accompagnata sì da ulteriori scritte  esplicative, ma pressoché illeggibili per  le dimensioni ridotte, e senza l’indicazione che si tratta della denominazione  sociale dell’impresa titolare, versandosi in un’ipotesi di segno decettivo, in  quanto evocante la diversa indicazione «Made in Italy» (prodotto in Italia),  per prodotti in realtà provenienti dalla  Cina, con conseguente pregiudizio per  l’attività dei concorrenti. Il caso presenta aspetti così interessanti  che rendono opportuno pubblicare di  seguito integralmente la sentenza: Osserva.

 1. - È documentato in atti che i ricorrenti sono, rispettivamente, titolare e  licenziataria del marchio italiano VEDO  BENE registrato in data 23 novembre  2010 a seguito di domanda depositata  il 29 maggio 2009 per contrassegnare  «apparecchi e strumenti ottici; lenti  a contatto, di correzione oftalmiche e  per occhiale; occhiali e montature di  occhiali; occhiali da vista, da sole, per  lo sport; astucci e custodie e lenti a  contatto», marchio che viene concretamente usato anche per contrassegnare  occhiali premontati da lettura. È inoltre  documentato che anche la società resistente commercializza e pubblicizza su  riviste e siti Internet, oltre che mediante materiale pubblicitario distribuito  ai dettaglianti e nelle fiere di settore,  occhiali premontati a marchio VEDOBENE, registrato in epoca successiva, e che  ha inoltre predisposto il sito <www. vedobene.it> per promuovere la sua  collezione di occhiali premontati con il  suddetto marchio. Il segno della resistente presenta alcune differenze grafiche rispetto a quello  di parte ricorrente che comunque, ad  avviso del giudice designato, non potrebbero essere ritenute sufficienti ad  escludere l’operatività dell’art. 20, lett.  b), cod. proprietà industriale attesa  l’indiscussa identità fonetica dei marchi a confronto. Sennonché, anche in questa sede sommaria, occorre porsi il problema della  validità del segno (non ai fini di dichiararne la nullità perché non c’è e non  ci può essere qui una domanda riconvenzionale in tal senso, ma) ai fini di  valutare la sussistenza della lamentata  contraffazione (e, conseguentemente,  se possano essere emesse le misure  cautelari richieste) che, per definizione,  richiede di essere in presenza di un titolo valido. Nel caso di specie, sembra al giudice  designato che il marchio dei ricorrenti  – utilizzato, come si è detto, per contraddistinguere occhiali premontati da  vista – sia meramente descrittivo delle  caratteristiche e della funzione essenziale dei prodotti (che è appunto quella  di vedere bene) e quindi privo dei requisiti di cui agli art. 7 e 13 cod. proprietà industriale. È peraltro del tutto irrilevante, ai fini  che qui interessano, se il concorrente  può in concreto differenziarsi ed utilizzare altre parole, diverse ma ugualmente adatte a descrivere le caratteristiche del prodotto. Infatti, come ha recentemente osservato la Corte di giustizia nella sentenza 10  marzo 2011, causa C-51/10 P (Foro it.,  2011, IV, 238, relativa alla registrazione del segno «1000» come marchio per  opuscoli, periodici e giornali, ritenuto  descrittivo ed in contrasto con l’art.  7, n. 1, lett. c del regolamento (Cee)  40/94) – posto che l’interesse generale  sotteso all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento Ce 40/94 consiste nell’assicurare «che segni descrittivi di una o più  caratteristiche dei prodotti o dei servizi  per i quali è richiesta una registrazione come marchio possano essere liberamente utilizzati da tutti gli operatori  economici che offrono simili prodotti o  servizi» e che l’elenco di cui all’art. 7  cit. non è esaustivo, perché può essere presa in considerazione qualunque  caratteristica dei prodotti o dei servizi  – «è sufficiente che detto segno possa essere utilizzato a tal fine» ed «è  ininfluente che esistano altri segni più  usuali di quello di causa per designare  le stesse caratteristiche dei prodotti o  dei servizi».

2. - Sotto il profilo dell’art. 2598, n.  1, c.c., parte ricorrente lamenta che gli  occhiali premontati di Mad in Italy s.r.l.  risultino del tutto identici (o assai simili) agli occhiali premontati da lettura  a marchio ESPRESSOOCCHIALI di IOI per  quanto concerne il disegno e le misure  dell’occhiale, i colori, l’astuccio (anche  come forma e come materiale in plastica trasparente), il bottone automatico  per la chiusura e la cordicella interna. Ora, è pacifico che l’art. 2598, n. 1,  c.c. tutela esclusivamente le forme  che hanno efficacia individualizzante  e differenziatrice del prodotto rispetto  a prodotti dello stesso genere. Da ciò  consegue che non possono essere tutelati, ai sensi della norma in discorso, quegli aspetti formali del prodotto  imitato che, ancorché privi di carattere  funzionale e necessario, siano comunemente adottati per un certo prodotto e non abbiano invece la funzione di  diversificarlo dai prodotti dello stesso  genere presenti sul mercato e quindi,  al tempo stesso, di identificarlo come  proveniente da una determinata impresa. Nel caso di specie, a ben vedere, parte ricorrente neppure sostiene che le  forme, i colori, il materiale e gli altri  aspetti sopra delineati dei suoi occhiali  e dei relativi astucci abbiano la predetta efficacia individualizzante, limitandosi a sostenere che poiché si tratta di  elementi privi di carattere funzionale e  necessario sono perciò solo tutelabili ex art. 2598, n. 1, c.c. in quanto la  controparte avrebbe potuto facilmente  introdurre significative differenziazioni, idonee ad eliminare ogni rischio  di confusione. Il che non è, per quanto sopra delineato, dovendosi inoltre  escludere che i concorrenti abbiano un  onere di differenziazione in relazione  ad elementi di pubblico dominio, privi  di carattere distintivo (Cass. 5437/08,  id., 2008, I, 1880). In ogni caso, dalle produzioni di parte  resistente risulta che vi sono da anni  sul mercato prodotti di varie case, anche molto note, del tutto analoghi a  quelli di IOI e di Mad in Italy, e quindi,  quanto meno in questa sede sommaria,  si deve escludere che le caratteristiche  degli occhiali e degli astucci di IOI abbiano in concreto un qualche significato evocativo o rappresentativo idoneo a  ricollegarli al suo produttore e quindi  che siano tutelabili ai sensi dell’art.  2598, n. 1, c.c. Analoghe considerazioni devono essere fatte per l’imballaggio esterno del  kit (scatola di cartone bianco, del tutto  usuale nel commercio) e per gli espositori «ad un piano» e «a due piani».  Gli espositori a uno o due piani non  sono certo una novità nel commercio di  piccoli oggetti presso tabaccherie, cartolerie e simili e comunque, quelli «a  due piani» – che IOI rivendica di aver  ideato per esporre i propri occhiali ai  fini di meglio sfruttare il ridotto spazio  esistente sui banchi delle tabaccherie –  sono in concreto molto diversi da quelli  di Mad in Italy, come riconosce anche  parte ricorrente a pag. 20 del ricorso  introduttivo. In particolare, sono totalmente diversi i  colori (giallo l’uno e grigio rosso l’altro)  e i segni distintivi che li contraddistinguono e li caratterizzano (ESPRESSOOCCHIALI quello della ricorrente e LOOKKIALE quello della resistente), mentre  del tutto secondari e certamente non  distintivi sono gli altri elementi evidenziati dai ricorrenti, quali la posizione del prezzo, dello specchio rettangolare, il grafico sulle aste flessibili ed il  riferimento alla garanzia.

3. - Parte ricorrente sottolinea anche  che la resistente, abusando dell’espositore ideato ed utilizzato prima da IOI,  si comporta scorrettamente sul mercato  in quanto storna l’investimento di IOI  sul proprio prodotto e impedisce illegittimamente di ricavarne i giusti benefici nell’immediato. Anche tale doglianza non risulta però  fondata in quanto la ricorrente – che  come per il marchio VEDO BENE, ha  scelto di investire su elementi poco o  nulla caratterizzanti – non può recuperare attraverso il ricorso al n. 3 dell’art.  2598 c.c. ciò che non può ottenere mediante il n. 1 della stessa norma. La concorrenza sleale infatti, nell’area  di atipicità di cui all’art. 2598, n. 3,  c.c., è integrata non solo dal compimento consapevole di un atto dannoso  per il concorrente e vantaggioso per il  soggetto agente, ma dall’utilizzazione  di mezzi, diretti o indiretti, non conformi ai principi della correttezza professionale – che qui, per quanto esposto,  non risultano sussistenti – e non è sufficiente che l’azione sia oggettivamente  e soggettivamente tale da arrecare un  vantaggio all’agente e un pregiudizio al  concorrente. Diversamente opinando,  infatti, ogni atto di concorrenza intenzionale ed efficace sarebbe sempre illecito e impedirebbe la libera iniziativa  economica (diritto presidiato dall’art.  41 Cost.). Per gli stessi motivi e per le considerazioni già fatte, non risultano fondati  neppure i richiami di parte ricorrente  agli art. 21, 2° comma, cod. consumo  e 13 del codice di autodisciplina della  comunicazione commerciale, basati – il  primo – sull’asserita imitazione servile  dell’«intera formula ideata ed attuata  da IOI presso le tabaccherie e, in particolare modo, il marchio VEDO BENE,  gli occhiali, gli astucci e la forma degli  espositori» e – il secondo – sulla circostanza che Mad in Italy pubblicizza,  come IOI, gli occhiali premontati da lettura tramite il medesimo canale distributivo, cioè le tabaccherie, trattandosi,  oltretutto, di una formula commerciale  «inventata», almeno dal 2006, non da  IOI ma da altra azienda (doc. n. 16 di  parte resistente).

 4. - Sempre sotto il profilo dell’art. 2598 n. 3, c.c., parte ricorrente porta all’attenzione del tribunale il fatto che la società  resistente utilizza la propria denominazione sociale come marchio di fatto,  senza accompagnarla con la sigla s.r.l.  e giocando con l’assonanza con la frase  inglese «made in Italy» (fatto in Italia);  il tutto aggravato dal fatto che la scritta «mad in Italy» campeggia al centro di  una bandiera italiana, mentre le scritte  «una fabbrica di idee» o «Pissasco (TO)»  o «distribuito da» sono talmente piccole  da essere praticamente illeggibili. Il fatto è incontroverso (e la comunicazione non solo ai grossisti ma anche ai  consumatori è provata dai doc. da n.  61 a n. 64 e n. 68 del fascicolo della  ricorrente) e parte resistente si difende  sostenendo che si tratta di un ironico  gioco di parole che significa «pazzo  in Italia» (peraltro comune in quanto da una semplice ricerca su Google,  inserendo la scritta «mad in Italy» si  ottengono sessantaseimila risultati) e  che queste storpiature sono oramai talmente note e diffuse (v., per esempio,  il segno  Eataly che conta sull’identità  fonetica tra il marchio ed il nome della  nostra nazione giocando sul significato  del verbo to eat che in inglese significa mangiare) che non ingannano alcun  consumatore.  Tali difese non sembrano però alle parole «in Italy» è fortemente decettivo perché può facilmente indurre il  consumatore a ritenere che il prodotto  contrassegnato da tale frase sia fatto conferenti. Infatti, se pure è vero che «mad»  in inglese significa «pazzo», è anche  vero che l’uso di detto termine (che si  legge come la parola «made») insieme in  Italia (il che non è perché gli occhiali  della resistente, come del resto quelli  della ricorrente, sono fatti in Cina), ad  attribuirgli un valore aggiunto che non  ha e, in definitiva, a considerarlo decisivo al momento dell’acquisto. D’altra parte, che tale sia l’intenzione  della resistente è provato – oltre che dal  fatto che non compare la scritta «s.r.l.»  e che le altre parole che accompagnano  la dizione in discorso («una fabbrica di  idee» o «Pissasco (TO)» o «distribuito  da») sono praticamente illeggibili anche per un consumatore che non ha  problemi di vista – anche dall’uso della  bandiera italiana che contribuisce a far  credere che la fabbricazione sia avvenuta in Italia. Ora, l’uso di un marchio ingannevole,  vietato ai sensi dell’art. 14, 1° comma, lett. b), cod. proprietà industriale, costituisce un mezzo contrario alla  correttezza professionale ex art. 2598,  n. 3, c.c. e, attribuendo agli occhiali commercializzati dalla resistente un  importante pregio che non hanno, è  certamente idoneo a danneggiare il  concorrente IOI.

5.- Richiamando gli art. 10 c.c. e 96  l.d.a. i ricorrenti segnalano inoltre l’utilizzo fatto da Mad in Italy s.r.l. nella  propria pubblicità dell’immagine del  conte di Cavour (che indossa un paio di  occhiali rosa smoking, accompagnato  dagli slogan pubblicitari «Camillo Benso conte di Cavour indossa occhiali Mad  in Italy» e «Gli occhiali che vestono l’Italia») e lamentano un abuso, in campo pubblicitario, del nome e dell’immagine del conte. La questione non è meglio specificata e  neppure parte ricorrente sostiene che il  messaggio possa essere potenzialmente  ingannevole e che il consumatore possa credere che effettivamente il conte di  Cavour indossasse tali occhiali. Peraltro, come eccepito dalla resistente,  non essendo stato neppure dedotto che  il sig. Martucci sia erede di Cavour o che  i ricorrenti abbiano acquistato diritti  sull’immagine del personaggio, ogni  approfondimento è ultroneo.

6. - I ricorrenti lamentano infine una  serie di gravi illeciti che sarebbero stati  posti in essere dalla resistente, illeciti tutti, secondo la prospettazione, da  considerarsi condotte scorrette nei confronti di IOI che, invece, ha immesso in  commercio i propri occhiali solo dopo  averli sottoposti alle opportune verifiche per rispetto dei consumatori. In particolare, parte ricorrente segnala:  a)  presumibile pubblicità illecita degli  occhiali premontati Mad in Italy in  quanto sulla brochure pubblicitaria,  sull’espositore e sul sito web della  resistente non viene menzionata la  preventiva autorizzazione del ministero della sanità di cui al d.leg. n.  46 del 1997, oltre al fatto che vengono utilizzate espressioni «inaccettabili» per dispositivi medici quali  «lenti sferiche ULTRA sottili», CERTIFICATI e «montatura SUPERRESISTENTE»; b)  presumibile non conformità degli  occhiali della resistente alle norme del predetto decreto legislativo  e mancanza della certificazione di  CERTOTTICA, unico istituto italiano  autorizzato ad hoc dal ministero  della salute; c)  Mad in Italy indica sul foglietto delle avvertenze che i propri occhiali  sarebbero conformi Ce e alla norma  «ISO 16034:2002 ed in accordo con  la direttiva 93/42/EEC e successivi  emendamenti con i d.m. 26 gennaio  2004», mentre sulla propria brochure precisa che sarebbero certificati  «Ce prodotto conforme alla norma EN  14139:2033», in sostanza citando  norme diverse per lo stesso prodotto; d)  gli occhiali premontati da lettura  non rispettano i parametri indicati nell’all. XII d.leg. n. 46 del 1997  perché la marcatura Ce non può essere inferiore a 5 mm mentre quella  posta da Mad in Italy lo è. Ora, come è noto, la violazione di norme pubblicistiche può costituire concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598,  n. 3, c.c. solo in quanto si concretizzi in  una condotta che incide direttamente  sul mercato e sull’attività dei concorrenti. Nel caso di specie, però, non sembra al  giudice designato che i rilievi sub a), c)  e d) – quand’anche corrispondessero al  vero – abbiano o possano avere il riverbero concorrenziale che qui rileva. Per  esempio, per quanto riguarda il rilievo  sub d) – e prescindendo dal fatto che il  d.leg. n. 46 del 1997 consente il dimezzamento della marcatura Ce per dispositivi molto piccoli come quelli oggetto di  causa – non si capisce quale sarebbe il  danno concorrenziale che subirebbe IOI  per tale asserita violazione. Analogo discorso può essere fatto per  le norme ISO e EN sub punto c), mentre per quanto riguarda il rilievo sub a),  non solo anche Mad in Italy ha provveduto a registrare i suoi prodotti presso  il ministero della sanità ma, per quanto  risulta dagli atti di causa, anche IOI utilizza nella pubblicità dei propri occhiali  le stesse espressioni che contesta alla  resistente. Il rilievo sub b) sottintende invece che la  resistente, non osservando la normativa vigente, risparmi sui costi necessari  per legge per la tutela della salute dei  consumatori e realizzi così un indebito  vantaggio concorrenziale. Nel corso del procedimento, parte ricorrente ha prodotto dei rapporti di prova  di CERTOTTICA che ha fatto effettuare sugli occhiali di Mad in Italy s.r.l. Da tale  documentazione risulta che dei quattro  modelli sottoposti ad esame, uno solo  non avrebbe superato una singola prova, quella c.d. di «resistenza al sudore», evidenziando un distacco di vernice  dopo una prova che simula circa due  anni di uso dell’occhiale. Sembra davvero troppo poco per ritenere integrate le gravi violazioni normative prospettate da IOI e la conseguente  concorrenza sleale che qui interessa.

 7. - In conclusione, di tutti i fatti lamentati da parte ricorrente, risulta fondato solo ciò che concerne l’uso come  marchio di fatto della frase «Mad in  Italy» che, come si è detto al precedente punto 4, è ingannevole e induce il  consumatore a ritenere che il prodotto  sia stato fatto in Italia mentre in realtà  è stato fatto in Cina. Sussiste anche il periculum in mora  in quanto l’utilizzo di «Mad in Italy»  come marchio di fatto è suscettibile di  indurre il consumatore a preferire per  ciò solo l’occhiale della resistente con  conseguente sviamento di clientela. Di conseguenza, deve essere emesso il  provvedimento inibitorio richiesto da  parte ricorrente al punto 4 delle conclusioni e fissata una penale di euro  250 per ogni violazione constatata suc- cessivamente alla notificazione del  presente provvedimento. Trattandosi di concorrenza sleale ex art.  2598, n. 3, c.c., non sussistono invece  i presupposti per l’emissione delle altre misure cautelari richieste da parte  ricorrente in applicazione di norme del  codice della proprietà industriale, né  sussistono i presupposti per l’applicazione della cauzione richiesta da parte resistente.”( Trib. Torino - Ordinanza  21.06.2011, anche su Foro Italiano ) La sentenza qui riprodotta appare condivisibile, in quanto pone un principio  di tutela sia della concorrenza, che deve  svolgersi lealmente fra imprenditori e  sia dei consumatori, che non possono  essere “adescati” con formule creative,  che se apprezzabili sotto il profilo della  genialità della trovata, vanno censurati in ambito giuridico, quando vanno  a ledere i principi fondamentali della correttezza professionale a cui ogni  operatore imprenditoriale ha l’obbligo  di attenersi.