ARTE, MUSICA & CULTURA

30 settembre 2011

L’Umbria, l’acqua e le sue bellezze

di Giovanni Zavarella

L’Acqua è al primo posto fra le cose necessarie alla vita

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Così dice Francesco nel suo Cantico delle Creature. E così è stato ripetuto nel marzo 2003 a Kyoto, al Forum per l’acqua nel mondo, confermando non solo la preziosità e l’essenzialità dell’acqua,ma anche il diritto all’acqua per tutte le genti del globo terracqueo. Quindi oggi, come ieri, l’acqua è il donum gratuito concesso agli uomini dal Creatore. Ma il ‘fatto’ della gratuità che oggi qualcuno vorrebbe mettere in dubbio non ci deve indurre a ritenerla meno preziosa. Era una straordinaria risorsa per gli Egiziani, per i Giudei, per i Greci, i Romani e per tutti i popoli dell’antichità. Di sicuro la cultura dell’acqua presso gli Etruschi e i Romani fu molto diffusa. Scrive lo storico Mario Tabarrini che ‘Uno specchio d’acqua occupava, già dal tempo del quaternario,grosso modo tutta la valle da Spoleto a Torgiano. Attraverso i secoli si era via via degradato, ma si rinnovava ad ogni piena di fiumi defluenti nella pianura. Pare che gli Etruschi, avanzanti da ovest, avessero tagliato il groppone di Torgiano e l’acqua paludosa scese nel Tevere,abbassando il livello e restringendo la superficie del lago. Restò quasi una mezza luna, con i corni a Torchiagina e a Borgo Trevi e la gobba sotto Bettona – per Bevagna – sotto Montefalco. Al tempo dei Romani il grande lago si era scisso in due: uno tra Assisi – Spello – Bettona, detto Umber, o Vetus, o Persius, o Plestinus, che occupava tutto il territorio dell’attuale comune di Bastia, Santa Maria degli Angeli, la bassa Bettona e di Spello:era alimentato dal Chiascio, dal Tescio, da un ramo del Topino e dal Chiona. Il secondo a forma di spicchio di luna, andava da Borgo Trevi a Bevagna, alimentato dal Clitunno, un ramo del Topino e dai torrenti spoletini. Di essi parlano Plinio il Vecchio, il giovane Properzio (che dice che la sua città natale si specchia nel lacus Umber), Strabone e Silio Italico. I due laghi erano uniti da una fascia sulla direttrice Bevagna – Cannara – Bettona. Ecco perché dal Clitunno si poteva navigare. I romani edificarono acquedotti sopraelevati, terme dalle sette meraviglie, le fontane e pozzi. Dominarono con la loro straordinaria flotta il Mediterraneo, che chiamarono Mare Nostrum. Disciplinarono le acque dei fiumi e dei laghi. L’Umbria ne aveva tanti, ma ne citiamo solo alcuni: il biondo Tevere, il Chiascio, il Nera, il Velino, il Clitunno, ecc. Almeno una notazione la meritano il Parco di Colfiorito, il Parco del Trasimeno, il Parco fluviale del Tevere, il Parco fluviale del Nera, tanto ammirati dai viaggiatori dei ‘grand tour’ o ‘petit tour’. Da non sottovalutare che queste acque erano e sono luoghi privilegiati per il turismo, lo sport, la pesca, la caccia, il tempo libero, artigianato, ecc. Si legge in una pubblicazione della Regione ‘Umbria’ che ‘è l’unica regione peninsulare che non ha sbocchi sul mare; ma l’acqua non le manca, come dimostrano i suoi due laghi (il Trasimeno e il Piediluco) e l’invaso di Corbara, creato con la diga sul fiume Tevere,e come dimostrano i suoi fiumi e i suoi torrenti, e la ricchezza delle sorgenti di ottima acqua minerale e delle terme’. Precisa Mino Valeri sul volume ‘Umbria’ (pagg. 61) che ‘è una delle regioni più ricche di acque minerali e termali; famose sono le fonti di Sangemini, Amerino, San Faustino, Furapane nel comprensorio ternano, di Nocera Umbra, la Rocchetta, Fontecchio, Molino delle Ogne, Fonte Tullia, Sassovivo, nella parte orientale della regione (e Santo Raggio ad Assisi); altre decine di sorgenti di acque minerali utilizzabili a scopo terapeutico un po’ ovunque...’. E le fonti e fontane? Tanto ‘care’ alla civiltà romana, ebbero un grande sviluppo nel medioevo. Citiamo solo, per rispetto della brevità: la fontana dei matti a Gubbio, la fontana maggiore a Perugia e quella di Fontebella di Assisi. Ma l’acqua era ed è indispensabile alla coltivazione dei campi, all’allevamento del bestiame e agli uomini per la loro vita. Certamente l’acqua per la gente dei campi ha rappresentato sempre gioia e dolori. La gioia quando la sorgente era vicina, dolori quando era lontana. Buona quando placida irrigava i campi, drammatica quando diluviava e tracimava i fiumi. Narra in ‘Per Ville e Castelli di Assisi’ (pag. 159) don Vittorio Falcinelli che ‘il non aver potuto o saputo sfruttare le sorgenti ha costretto, per secoli, le donne ad attingere acqua con brocche e caldarelli recati sulla testa molto spesso. (Come fanno oggi le donne africane). In estate, gli uomini soprattutto, erano costretti a prelevare acqua ...con botticelli trasportati sulla treggia (specie di notevole slitta, trainata da vaccine). “Le trosce” specie di larga buca che raccoglievano quasi sempre acqua piovana) erano di frequente usate per abbeverare il bestiame d’inverno. ‘In caso di temporali, la popolazione era attenta a recitare qualche orazione e ci teneva a suonare le campane affinché non fosse caduta la “malacqua” o la “grandine”. E questo spiega anche lo sforzo oggi di creare pozzi nel terzo mondo per dissetare popolazioni assetate da sempre. Ma l’acqua era ed è anche energia idro elettrica. Quella dei fiumi e del mare. I mulini ad acqua non sono completamente scomparsi dalla memoria dei nostri padri. E le dighe. Scrive Don Vittorio Falcinelli nel suo volume già citato (pag. 162) ‘Tutti gli anziani di vent’anni fa, ricordavano, per aver visto ed usato, i mulini del circondario, tutti ad acqua... Ovunque si poteva macinare grano, granoturco e biada’. Chi non ricorda la profumata tradizione dell’acqua odorosa delle cento erbe in occasione della festa di San Giovanni Battista? E il bucato da farsi solo nei giorni feriali, senza spreco d’acqua e avvalendosi della cenere di legna arsa nel focolare? E il vezzo delle nostre nonne di porre foglie di alloro o fiori di lavanda in mezzo alla biancheria lavata? E magari proverbiare: ‘acqua chiara, fa ben sperare;acqua torbida, segno di malaugurio’. Chi ha dimenticato la tradizione della coltivazione della canapa negli specchi d’acqua, la loro utilità per cucire indumenti e lenzuola da ‘curare’ nelle limpide acque dei fiumi per ottenere il bianco nevoso? E magari suggerire alle ragazze fidanzate, mentre sbattevano ‘le stoffe’ di canapa o di lino, di immaginare il giorno delle nozze? E la coltivazione del riso in mezzo all’acqua? E non è un caso che venga valorizzato il patrimonio idrologico con feste dedicate all’acqua, come accade a Nocera Umbra, Acquasparta, Sangemini e Terni. Sacra già nel popolo dei Sumeri. Il loro dio delle acque era Ea-Enki. Per non ricordare le divinità della mitologia egiziana, greca e latina. Le acque dei fiumi, dei laghi, dei mari erano animate da dei e dee. A suggestione si pensi alle Nereidi e le Sirene. E per le acque umbre le divinità di Trasimeno, Agilla, Clitunno, ecc. Ma l’acqua al di là della straordinaria considerazione che ebbe nella filosofia dei primi pensatori naturalistici, assunse un valore ancora più ideale, spirituale e simbolico nel battesimo di Gesù e nella lavanda dei piedi. La forza rigeneratrice e purificatrice dell’acqua diede luogo ad una ricca messe di immagini: la bocca del giusto, la sua saggezza e dottrina vengono dette “sorgente di vita”; Jahvé e Gesù si autodefiniscono “sorgente di acqua viva”. Le benedizioni divine e i beni messianici vengono raffigurati con l’immagine dell’acqua in abbondanza. L’anelito verso Dio è espresso mediante la sete e il morire di sete’. L’uomo senz’acqua non vive. Non vivono le altre creature. E nondimeno la flora. L’acqua è il fattore creazionale del Paesaggio agreste e agrario umbro. Francesco a tale scopo ebbe a dire ‘Nihil vidi iucundius valle mea spoletana. E il divin Poeta, più tardi aggiungerà: ‘Intra Tupino e l’acqua che discende / dal colle eletto dal beato Ubaldo, / fertile costa d’alto monte pende, / onde Perugia sente freddo e caldo/da porta Sole; e di retro le piange per grave giogo Nocera con Gualdo’. Da non trascurare il valore delle ‘Fonti del Clitunno’ che attirò l’attenzione di Plinio il Giovane, Properzio, Silio Italico, Virgilio del pittore Nicolas Poussin e Claude – Gallèe Lorrain e Jean Baptiste – Camille Corot, Claudiano e Lord Byron. E nel XIX secolo Giosuè Carducci. Si legge nel volume ‘La strada europea della Pace Lubecca – Roma, a cura di Maria Vittoria Ambrogi e Giambaldo Belardi che ‘la Cascata delle Marmore, che lady Morgan ritiene siano “oggetto di curiosità in tutta Europa”, altri “una delle meraviglie d’Italia, assieme al Vesuvio e a Pompei” Stendhal “la più bella cascata del mondo”. E rappresentata da tanti pittori come John Warwick Smith e Camille Corot e descritta da molti scrittori e poeti, come Addison che,nel 1701, è stupefatto della sua grandiosità e la trova “Più meravigliosa da sola di quanto lo siano tutti i giochi d’acqua a Versailles”. Le cascate sono state oggetto di attenzione, inoltre, dagli scrittori Meyer, De Brosses, Tobia Smollet, George Byron. Come il Trasimeno ha interessato il pennello del Maestro dell’Aeropittura Gerardo Dottori. Mai come oggi, si è sviluppata la consapevolezza che l’acqua è essenziale. Lo stesso corpo umano ne contiene una percentuale notevole e ne ha bisogno in forma di ricambio. Le creature della terra, del mare e del cielo non possono farne a meno. Il mondo vegetale, senza acqua non vivrebbe. Quindi l’homo sapiens, signore del Creato, non può e non deve distrarsi dall’attenzione all’acqua. Deve ritenere il dono dell’acqua prezioso ed unico. Non solo non deve sprecarla, ma deve, con la mente e il cuore, salvaguardarla. Non tanto per sé, quanto invece per non segnare un punto di non ritorno al divenire del pianeta terra e delle sue creature.