OPINIONI

30 dicembre 2014

Intervista a Cristiano Nicoletti, direttore generale dell’Università per Stranieri di Perugia

di Chiara Ceccarelli

Migliorare il modello di reclutamento dei ricercatori. Ridistribuire i finanziamenti in modo più equo ed incentivante. Semplificare le regole. Recuperare autonomia. Sviluppare relazioni accademiche internazionali. Questo il mantra di Cristiano Nicoletti, ex direttore amministrativo della Libera Università degli Studi San Pio V, dal 2012 direttore generale dell’Università per Stranieri di Perugia e presidente del CoDAU, Convegno dei direttori generali delle amministrazioni universitarie, per il triennio 2014-2017.

Direttore Nicoletti, a dicembre 2010 entrò in vigore la riforma universitaria. Quale bilancio si può trarre?

“La ‘riforma’ dell’università, la cosiddetta Legge Gelmini, ha introdotto cambiamenti epocali nel sistema universitario italiano. Ad oggi è possibile riscontrarne gli effetti su vari fronti, a cominciare dalla governance. L’idea della riforma era quella di risolvere il problema dell’autoreferenzialità del sistema. E’ stato introdotto un modello di reclutamento di tipo ‘Tenure track’, il percorso di accesso alla carriera accademica mutuato dal sistema accademico statunitense, per il quale a cinque anni dall’assunzione l’assistant professor è sottoposto a una valutazione del proprio operato e in caso positivo è assunto come associate professor. Il risultato non è stato positivo in questo specifico ambito. Le prospettive di chi aspira a fare ricerca oggi in Italia sono sostanzialmente peggiorate, il reclutamento dei ricercatori ha subito un forte arresto, per mancanza di fondi e per l’impossibilità per le Università di organizzare, sulla base di scelte responsabili, la programmazione e il reclutamento delle carriere dei docenti, ma anche del personale non docente. Senza un’immissione costante e produttiva di nuove forze, l’università inevitabilmente peggiora. Il CodAU, l’Associazione nazionale che riunisce i direttori generali delle amministrazioni universitarie, della quale sono presidente, sta lavorando affinché le disposizioni possano cambiare. Circa un paio di mesi fa il CodAU ha chiesto l’apertura di tavolo di lavoro al ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini che preveda il coinvolgimento di tutti i vertici del sistema universitario proprio per affrontare concretamente questa problematica, ma non solo”.

Direttore, funziona il sistema di finanziamento delle università italiane?

“E’ necessario rivedere il funzionamento del sistema di finanziamento delle università italiane, andando oltre l’FFO, fondo di finanziamento ordinario delle università, e l’attuale programmazione triennale. Il sistema ha messo tutti contro tutti senza individuare soluzioni per gli atenei migliori e senza dare sostegno a quelli che versano in oggettiva situazione di difficoltà. Nell’ultimo triennio le università statali hanno subìto una riduzione delle risorse del 18%, quelle non statali del 48%. Siamo impegnati a fare sempre meglio con minor risorse. Il sistema di finanziamento andrebbe rivisto attraverso un meccanismo distributivo più equo e incentivante. Meccanismo realizzabile. Anche di questo ci stiamo occupando come CodAU. L’interruzione dei versamenti allo Stato derivanti dai risparmi sui tagli lineari alla spesa, ad esempio, i quali costituiscono una forma indiretta di ulteriore riduzione del fondo di finanziamento ordinario delle Università, rappresenterebbe un primo passo in tal senso”.

Dal 2010 i centri di alta formazione hanno intrapreso un percorso di profonda trasformazione che avvicinano l’Università più al sistema delle imprese di servizi che a quello della P.A. Come semplificare la normativa per rendere più competitivi gli Atenei?

“Il tema della semplificazione è stato uno dei temi caldi dell’ultimo convegno annuale del CoDAU  dello scorso settembre. La ridefinizione del peso di alcune regole dell’articolato quadro normativo di riferimento delle università e, più in generale, una minore produzione normativa, come sta avvenendo nei paesi anglosassoni, non corrispondono necessariamente ad un vuoto regolatorio. Di questo sono convinto. Maggiore libertà, quindi, per arrivare ad un set di regole che possano ottimizzare il funzionamento del sistema universitario. I direttori generali sono uniti nel sostenere che questa è la direzione da prendere. Nel sistema universitario la ‘semplificazione’ è diventata un’esigenza improcrastinabile”.

Quali sono le sfide che il sistema universitario dovrà affrontare nel 2015 in termini di management?

“Oltre alle sfide ricordate, in cima all’agenda del management universitario italiano c’è il recupero di autonomia, nel rispetto delle condizioni poste dallo Stato, per poter declinare con responsabilità l’anticorruzione, la trasparenza e la performance degli atenei. Il recupero dell’autonomia potrebbe introdurre nuove prospettive, per gli atenei in equilibrio di bilancio, anche a livello di gestione del personale dirigente e tecnico amministrativo e una maggiore efficienza della ‘macchina’ universitaria che faccia leva su logiche premiali. Nel comparto universitario la retribuzione media è all’ultimo posto fra tutti i comparti pubblici, più alta solo dei beni culturali. Ogni dirigente universitario gestisce mediamente oltre 160 unità di personale contro le 50 dei dirigenti degli altri settori pubblici. Altre sfide rilevanti sono la revisione del meccanismo dei punti organico senza perdere il controllo del bilancio, lo snellimento delle procedure di accreditamento dell’Anvur e lo sviluppo di competenze amministrative e manageriali che sappiano supportare e stimolare l’accademia nell’ambito delle relazioni internazionali, a cominciare dall’Europa”. 



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