MARKETING

30 giugno 2013

Innovazione & Marketing 2.0

di Mauro Loy

“Insegnando s’impara” scriveva Seneca nelle  Lettere a Lucilio. È ciò che vedo avverarsi ogni  giorno in quella che amo definire “osmosi tra  generazioni”; uno scambio di “saperi” tra me  e i miei giovani collaboratori, in cui, mentre  trasferisco loro le mie conoscenze sul mondo  del marketing, vengo coinvolto nell’economia  digitale.  Non sono un millennials. Tutt’altro. Ma sono  un attento osservatore dei fenomeni sociali e  di consumo, nei quali oggi si rintraccia una  rivoluzione che ha trasformato il modo di vivere, lavorare e soprattutto, di pensare.  1 Quintilione. Mille miliardi di miliardi. 10  alla trentesima. Avete mai sentito una tale cifra? Sono i dati creati ogni giorno nel mondo,  che testimoniano la frenesia degli utenti nel  confidare, all’indefinito universo digitale,  gusti, valutazioni e sentimenti. In breve,  una condivisione della vita privata. Il 90% dei dati del mondo è stato creato  negli ultimi due anni. Un monito questo,  per riflettere su come l’utilizzo di internet stia avendo importanti ripercussioni  non solo sulla vita sociale, ma anche nel  mondo delle filiere produttive, dove sono  cambiate le modalità di conoscenza e di  ingaggio dei consumatori.  Con i  big data siamo di fronte ad una  rivoluzione culturale fondata sulla “conoscenza” di un interlocutore che si apre  nella rete. I Big Data, infatti, nascono dall’ingente mole di informazioni immagazzinabili  e, velocemente, elaborabili.  Walmart , colosso americano della distribuzione alimentare, che realizza vendite per 450 miliardi di dollari, dispone di un “cervellone” che raccoglie  tutti gli acquisti mettendoli, poi, in relazione  al tempo, al luogo, alla loro combinazione  nel carrello della spesa e alla frequenza di  acquisto. Una vera e propria piattaforma dei  bisogni di consumatori che porta a formulare  l’offerta in tempo reale. Ne sono esempio i  dispenser posti davanti alle casse allestiti con  degli speciali snack che vengono scelti dagli  americani nei periodi in cui si prevede l’arrivo  di un uragano.  Amazon , invece, la più grande libreria online  del mondo, realizza un terzo delle sue vendite  sulle raccomandazioni one-to-one che invia  ai propri clienti. Il Big Data di Amazon, difatti,  traccia qualsiasi tipo di informazione: accessi  al sito, pagine visitate, tempo di permanenza, tipologia di acquisti effettuati, commenti  rilasciati. Con internet e la partecipazione attiva e  “senza veli” dei consumatori le aziende riescono a conoscere singolarmente i propri  interlocutori, modificando in tempo “reale”  l’offerta da proporre al mercato. Un’innovazione? Sicuramente sì, ma da guardare con  attenzione e scrupolo. Tralasciando le grandi aziende che, per capacità d’investimento, attivano processi di innovazione legati al web marketing tali da avere un importante ritorno sia economico, sia d’immagine, le PMI - motore dell’economia italiana - arrancano nel mondo 2.0. A causa dei limiti strutturali ed economici, le PMI abbracciano con difficoltà i nuovi strumenti di comunicazione e sviluppo commerciale. Le singole iniziative private a volte sembrano essere “deboli” rispetto al dinamismo evolutivo dei mercati e gli interventi delle istituzioni a loro favore, non sempre sono in linea con i trend della domanda. Una “dispersione delle risorse” quindi, è ciò che sta avvenendo nei territori del Bel Paese, dove “made in” è sinonimo di buono e ben fatto, e, ancora prima, di ben pensato. L’Italia ha un patrimonio genetico fatto di eccellenze, generato da quella moltitudine di PMI che ogni giorno faticano per creare un prodotto che, troppo spesso, non viene promosso verso i cittadini del mondo, dove è molto forte la richiesta di italianità. Se in Italia i cinesi spendono nei negozi locali 600/700 euro per avere la qualità del prodotto e del servizio, perché non cavalcare l’onda della vendibilità del made in Italy con strumenti differenti dalle modalità consolidate? Spesso bussa alla porta del mio studio un corriere pronto a consegnare l’ultimo acquisto effettuato da quelle “millenials” che mi hanno fatto ragionare sul fenomeno “e-commerce” come canale di vendita consolidato. In preda ad un raptus di curiosità ho iniziato ad approfondire le attività di acquisto online del settore alimentare, il più difficile e soprattutto il più arretrato rispetto ad altri, per le difficoltà strutturali del prodotto (1% del fatturato e-commerce complessivo). Ho visionato molte iniziative ed ho rilevato una debacle generale, dovuta alla staticità dell’offerta, alle deboli azioni di coinvolgimento del consumatore e, soprattutto, all’uso smodato del vocabolo “qualità”. Concetto quest’ultimo che, nel tempo, è stato declinato, in termini di produzione, verso nicchie di specializzazione sempre più strette al fine di esaltare l’idea di “made in Italy”, senza comprendere, invece, che la qualità è un attributo insito nell’evocativo di ciò che è “italiano”. Dopo aver navigato tra le delizie della Sicilia, le prelibatezze della Toscana, la genuinità del Trentino, le leccornie dell’Umbria, credo nella necessità delle PMI di disporre di un sistema di aggregazione capace di promuovere e commercializzare il prodotto italiano nel mondo. Le imprese nostrane necessitano di condividere delle strategie di marketing per abbattere i costi delle azioni individuali, che spesso non vengono affrontate proprio per l’ingente impegno economico richiesto, come dimostrato da una recente indagine svolta sulle PMI umbre (vedi approfondimento “Interconnessioni q.b. Cosa bolle in rete?). Oltre a questo è importante vedere come un territorio non sia composto da una sola lanterna, ma da più insiemi che illuminano l’economica locale e, poi, quella nazionale. Credo che l’innovazione viaggi per tentavi capaci di portare ad un modello di sviluppo in cui a emergere non sia solo il singolo, ma il “sistema di imprese”. Credo nella forza dell’innovazione tecnologica, ma al tempo stesso, credo nella forza della mente umana nel generare strategie funzionali ad un corretto sistema di sviluppo. Le PMI, per la stagnazione del mercato interno interno e il crescente peso dei paesi extra EU sono chiamate ad una modernizzazione che deve passare per un sistema di comunicazione e di vendita digitale altamente concorrenziale. Le difficoltà ordinarie dovrebbero essere, tuttavia, superate con investimenti mirati in promozione e commercializzazione capaci di creare nuove opportunità di business. In questo senso è importante la definizione di “piastre digitali” che sappia coniugare strumenti professionali di comunicazione e di vendita, con modalità di promozione incrociate ed improntate alla “socialità”, capace di creare massa critica e continuo interesse nel consumatore. Non basta solo la volontà di innovazione, servono strategie, strumenti e metodi per garantire l’efficienza e l’economicità dell’investimento. Una realtà lontana? Non credo. D’altronde se un tradizionalista come me, legato al sapore e al valore dei manufatti dei nostri grandi artigiani, oggi con Twitter e il mondo delle App ha aggiornato la metodologia di conoscenza del “mondo”, credo che l’eccellenza italiana possa rinvigorirsi se accompagnata verso nuovi processi di innovazione.