STUDI E RICERCHE

31 marzo 2011

Indis, rapporto sulle tariffe

di Andrea Sammarco

Prezzi e tariffe dei servizi pubblici locali: impatto strategico per la competitività dei territori, impegno alla trasparenza verso consumatori ed imprese.

Negli ultimi anni, ed in particolar modo dopo l’introduzione dell’euro, si è rafforzata la percezione da parte delle famiglie e delle imprese di una dinamica dei prezzi più accentuata di quanto registrato dalle statistiche ufficiali. Percezione aggravata dalle condizioni di generale sofferenza dei redditi, che ha determinato una risposta di restrizione dei consumi. Percezione che si è più focalizzata sui corrispettivi dei servizi pubblici locali che più di altri sono legati al territorio, lo caratterizzano, ne determinano l’attrattività e la competitività. Le Camere di Commercio, unitamente alle loro Unioni regionali, sono soggetti vicini al territorio che svolgono le proprie funzioni nella veste di organi pubblici neutrali e a cui sono demandate funzioni connesse all’interesse oggettivo dell’economia nel suo complesso: non solo interesse a garantire rapporti corretti tra le imprese, favorendo la libera e leale concorrenza, ma anche un altrettanto pregnante interesse diretto a tutela dei consumatori e degli utenti. Si tratta di importanti compiti di osservazione per favorire la realizzazione di un mercato sempre più equilibrato e trasparente. Sono quelle caratteristiche di fondo che concorrono a spiegare perché un certo ambiente economico è più o meno favorevole alla crescita. Caratteristiche “intangibili” ma non per questo poco rilevanti. Un ruolo strategico anche in prospettiva, giacché il percorso di riduzione dei trasferimenti a favore degli enti locali e la crescente autonomia finanziaria e impositiva che sono alla base del federalismo fiscale porranno queste questioni sempre più al centro del dibattito e dell’attenzione delle categorie del mondo associativo. È l’inizio di un percorso che parte dalla consapevolezza che le condizioni di costo che gravano sui bilanci delle imprese influenzano la competitività e la capacità di attrarre dei territori e sono un elemento determinante anche delle differenze nei prezzi dei beni e dei servizi acquistati dalle famiglie. In questa prospettiva, l’Indis (Istituto Nazionale Distribuzione e Servizi), organismo specializzato di Unioncamere, ha promosso la realizzazione di un’indagine sulle tariffe di alcuni servizi pubblici locali con il supporto scientifico del centro Ricerche per l’Economia e la Finanza (REF). L’insieme delle tariffe locali oggetto di monitoraggio è composto di alcune voci: le tariffe del servizio idrico integrato, dei rifiuti solidi urbani, del trasporto pubblico locale, del parcheggio comunale, del gas naturale ed ha riguardato una ampia porzione del territorio. Si tratta di servizi ad elevato valore segnaletico e con forte incidenza sui bilanci familiari e delle imprese. I primi tre sono erogati secondo una pluralità di forme gestionali, sottoposti a meccanismi di regolazione di complessità variabile, spesso con diverse declinazioni territoriali nel tentativo di giungere ad assetti di mercato che garantiscano l’equilibrio economico dei gestori e percorsi di efficientamento e di tutela ambientale. Il settore del gas naturale, invece, dopo un lungo periodo di monopolio, ha vissuto un processo di graduale liberalizzazione ed è oggi aperto alla concorrenza, ma con alcune fasi della filiera regolate da una Autorità indipendente (Autorità per l’energia elettrica e il gas - AEEG). Oltre a questi servizi, un focus di analisi è stato riservato al gasolio da riscaldamento che, per quanto non rappresenti una voce tariffaria in senso tecnico, è rilevante alla luce del fatto che i prezzi del gasolio da riscaldamento costituiscono uno degli ambiti nei quali la tradizionale attività di rilevazione ad opera delle Camere di Commercio ha conosciuto la maggiore diffusione: basti pensare che i Mercuriali delle Camere sono spesso il riferimento per i contratti di approvvigionamento di enti pubblici e soggetti privati. Inoltre, il gasolio è il più importante sostituto del gas naturale per il riscaldamento di locali abitati e un focus sui prezzi al dettaglio di questi combustibili individua un benchmark naturale con cui confortare i costi del gas naturale. Il Rapporto si inserisce in un disegno più ampio che mira ad accreditare le Camere di Commercio come interlocutore sulle tematiche relative alle tariffe locali. Si tratta di offrire strumenti di benchmarking delle tariffe locali sia come oneri che contribuiscono ad erodere il potere di acquisto delle famiglie, sia come costi che gravano sui bilanci delle PMI, con riflessi sulla competitività del tessuto produttivo. Il significativo abbassamento dell’inflazione (0.8% in media per tutto il 2009) che si è prodotto nell’ambito di un contesto congiunturale che ha visto il dispiegarsi degli effetti della crisi economica, è stato uno degli elementi che durante la recessione ha contribuito a sostenere il potere il potere d’acquisto delle famiglie in uno dei momenti di maggiore incertezza circa le prospettive del mercato del lavoro. Nel corso del 2010, l’inflazione italiana ha mostrato un moderato recupero, portandosi sopra il punto e mezzo percentuale a partire dal periodo estivo. La leggera accelerazione origina in un quadro nel quale l’inflazione alimentare, uscita dalla fase di rallentamento, mostra qualche lieve incremento dei listini, mentre l’inflazione non alimentare, dopo molti mesi di stabilità intorno al punto percentuale, vede qualche segnale di innalzamento. Il quadro dal punto di vista della crescita non è destinato a mutare nel corso del 2011, dal momento che buona parte della ripresa domestica dipende tuttora dalla domanda estera e che su questo versante si stanno manifestando segnali di indebolimento della congiuntura internazionale. Una ripresa più consistente dell’inflazione di beni non alimentari e servizi potrà delinearsi solamente quando il ciclo dei consumi si sarà rafforzato, ma tale circostanza non pare però potersi materializzare in tempi brevi. L’unica nota realmente divergente rispetto a queste tendenze è quella relativa al comparto tariffario, che nel corso del 2010 ha mostrato un’accelerazione non secondaria e che riflette rincari di un gran numero di voci. Inoltre anche in prospettiva l’inflazione tariffaria è destinata a risentire di ulteriori sollecitazione nel 2011, dal momento che inizieranno a prodursi gli effetti della manovra di finanza pubblica che ha previsto un taglio ai trasferimenti correnti alle amministrazioni locali, a partire dalle regioni per scendere fino ai comuni. I tagli andranno ad incidere su funzioni come la viabilità e il trasporto pubblico locale e il trasporto ferroviario, per cui sarà agli utenti che verranno chiesti maggiori contributi per la gestione di questi servizi pubblici. Infine anche le tariffe dei rifiuti solidi urbani e quelle dell’acqua potabile, pur essendo escluse dall’ambito di competenza del Patto di Stabilità Interno e quindi fuori dal campo dei tagli della manovra, sono destinate a veder proseguire l’innalzamento della dinamica tariffaria in atto da qualche anno. In questi due casi gli incrementi tariffari risultano connessi al percorso di adeguamento dei corrispettivi tariffari che ha seguito l’introduzione di criteri di efficienza nella gestione dei servizi pubblici locali avviata delle riforme della regolamentazione del comparto dell’idrico e dei rifiuti degli ultimi decenni.

Le tariffe dei servizi pubblici locali

I servizi pubblici locali costituiscono una componente di rilievo del sistema sociale ed industriale italiano. La loro qualità e il loro costo traccia le caratteristiche di efficienza e di attrazione del territorio e possono influenzare le possibilità di crescita del tessuto produttivo locale. Oltre ad influire sulla qualità di vita delle collettività locali, i servizi pubblici rappresentano un input che incide in maniera non marginale sui costi delle imprese. La rendita nel settore dei servizi pubblici locali costituisce di fatto un costo per le famiglie e per l’industria e dunque un elemento cardine delle condizioni di competitività del territorio. Negli ultimi venti anni si è assistito ad una stratificazione di numerosi interventi legislativi che ha creato una sovrapposizione tra norme generali e settoriali nonché difficoltà nel delimitare i limiti di competenza normativa e regolatoria tra i diversi livelli istituzionali coinvolti (Stato, Regioni, enti locali). Il miglioramento dell’efficienza nella fornitura dei servizi pubblici locali richiede necessariamente un quadro regolatorio certo e stabile nel tempo, orientato a promuovere la concorrenza e a liberare da condizionamenti la gestione strategica delle imprese che forniscono questi servizi. Una delle funzioni di maggior rilievo e difficoltà nell’attività di regolamentazione dei servizi pubblici locali è quella di determinazione delle tariffe, fase che spesso ha dovuto compenetrare la promozione di una gestione efficiente del servizio offerto con il perseguimento di finalità redistributive per favorire l’accesso a condizioni agevolate a particolari categorie di utenti meritevoli di tutela. Le riforme avviate nel corso degli anni Novanta hanno assegnato alla tariffa il compito di finanziare sia la gestione che il programma degli investimenti necessario ad adeguare i livelli dei servizi, ponendosi lo scopo di interrompere le forme di sussidio pubblico alle imprese di gestione. Se la tariffa finanzia interamente il costo del servizio, è allora essenziale stabilire regole chiare e univoche nelle modalità di formazione dei costi. Un corretto sistema tariffario teso a promuovere su base industriale la fornitura di servizi “essenziali” deve infatti basarsi sulla capacità del sistema di sostenere il costo economico, gli investimenti e la remunerazione degli investimenti, in condizioni tecniche, ambientali e di servizio ben definite.

Aumenti consistenti negli ultimi quindici anni

Dal 1995 al 2009 la dinamica temporale della spesa delle famiglie per i diversi servizi pubblici locali non è stata omogenea né riconducibile a letture interpretative univoche. Il fermento delle tariffe a controllo locale è evidente e stride se posto a confronto dell’andamento delle tariffe a controllo centrale. Secondo i dati Istat, se queste ultime si collocano su livelli prossimi a quelli della fine degli anni Novanta, le tariffe a forte valenza locale hanno registrato aumenti medi del 57%, con punte massime per il servizio idrico (+105%) e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani (+80%). A rincarare in modo sostenuto (+56%) è anche la spesa per la fornitura del gas naturale, mentre inferiore alla crescita cumulata delle tariffe a carattere locale restano il trasporto urbano (+50%) e l’energia elettrica (+30%). Nel settore idrico e in quello dei rifiuti, la dinamica della spesa riflette la logica sottostante il sistema tariffario. Le riforme di settore di metà anni Novanta hanno incentivato un processo di ristrutturazione e convergenza delle tariffe verso livelli ritenuti necessari alla copertura non solo dei costi di fornitura del servizio, ma anche alla remunerazione degli investimenti (con il cosiddetto Metodo Normalizzato indicato dalla Legge Galli del 1994 per il settore idrico e dal Decreto Ronchi del 1997 per il settore rifiuti). Ad oggi però tale convergenza non si è ancora conclusa tanto nell’idrico, con situazioni in cui è il Ministero dello Sviluppo Economico, attraverso il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, a stabilire l’entità degli aggiornamenti tariffari, quanto nei rifiuti ove ancora vige in molte realtà locali un regime di prelievo fiscale (TARSU - tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), senza obbligo di copertura integrale dei costi, rispetto ad un sistema a tariffa (TIA - tariffa di igiene ambientale). La spesa per la fornitura del gas naturale risente invece dell’evoluzione delle quotazioni internazionali del petrolio, alla luce della significativa incidenza (oltre 40% nel gas naturale) della componente di prezzo, legata alla “materia prima energia”, sul costo del servizio per le famiglie. Il settore dei trasporti pubblici locali presenta invece delle peculiarità rispetto agli altri, in particolare per gli elevati trasferimenti di risorse pubbliche necessari a ripianare i deficit di gestione. Quello che emerge con evidenza è che i servizi pubblici locali rappresentano una significativa voce di costo incomprimibile che grava sui bilanci delle famiglie italiane, con un peso che ad oggi rappresenta oltre il 6% circa della spesa per consumi di una famiglia media italiana. Si manifestano dunque le condizioni per una attenta riflessione sulle modalità di aggiornamento delle tariffe in un momento in cui gli enti locali sono chiamati a ricercare le risorse necessarie a svolgere i propri compiti a fronte dei cospicui tagli ai trasferimenti da parte dello Stato centrale.

Aumenti a velocità variabile per idrico e rifiuti

Tra il 2008 e il 2009, l’Istat ha certificato un aumento delle tariffe locali del 2.8%, con un + 4.5 % per i rifiuti solidi urbani e un + 5.9% per l’acqua potabile. Tuttavia il dato nazionale non riesce a dar conto di dinamiche differenziate delle tariffe a livello locale. L’indagine ha permesso di colmare questa carenza informativa: sia nel servizio idrico quanto in quello dei rifiuti solidi urbani le tariffe si sono mosse con velocità variabili. Nei rifiuti solidi urbani si registrano rialzi che in alcuni casi arrivano a sfiorare il 60% contro riduzioni che si collocano tra il 3 e il 7%; nella grande maggioranza dei casi si assiste a variazioni uniformi su tutte le categorie di utenze anche se non infrequente è l’evidenza di andamenti tariffari differenziati tra categorie di utenza, tra famiglie e imprese e, nell’ambito di queste ultime, tra le diverse tipologie di attività produttiva, commerciale, artigianale. Nel servizio idrico integrato la situazione è non dissimile con variazioni a livello locale che vedono convivere incrementi superiori al 30% in alcune realtà con riduzioni di oltre il 10% in altre. In questo caso le variazioni delle tariffe tendono ad esser distribuite in maniera uniforme su tutte le categorie di consumatori. Gli aumenti registrati in alcuni Comuni riflettono anche l’ultima manovra del CIPE con cui è stato concesso alle gestioni che non hanno ancora adottato il metodo normalizzato di incrementare le tariffe dopo una pausa che durava da sei anni.

La dispersione della spesa sul territorio nazionale

Anche a causa della mancata uniformità normativa del “terreno di gioco”, il Rapporto INDIS –Unioncamere documenta una estrema variabilità della spesa di famiglie e imprese per lo stesso servizio da un comune all’altro. La variabilità dei livelli tariffari è un aspetto particolarmente critico per i settori privi di una autorità nazionale di regolazione, in particolare in quello idrico e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Anche il trasporto urbano si caratterizza per un discreta differenziazione delle tariffe, mentre nel gas naturale la variabilità, pur permanendo, si è ridotta in maniera significativa a seguito di alcuni interventi regolatori nel corso del 2009 da parte dell’Autorità di settore. Infine, i prezzi per forniture di gasolio da riscaldamento mostrano una dispersione sul territorio nazionale inaspettata, segnale di possibili ostacoli al buon funzionamento dei mercati locali.

Idrico e rifiuti

Per un nucleo familiare di 3 componenti con consumo pari a 160 metri cubi di acqua all’anno, la spesa media nel 2009 per il servizio idrico integrato nel panel di comuni indagato è pari a circa 214 euro, ma con una varianza piuttosto pronunciata: si va da un minimo di 48 euro ad un massimo di 480 euro. Per lo stesso nucleo familiare che risiede in 108 metri quadri la spesa media annua per lo smaltimento dei rifiuti urbani è di 244 euro, con un massimo di 489 euro e un minimo di 131 euro. Significativamente più ampia la dispersione della spesa spostando il perimetro di indagine sulle utenze non domestiche. Per un ristorante di 180 metri quadri che preleva 1 800 metri cubi di acqua all’anno:

§ la spesa media per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani si colloca intorno ai 2 800 euro, con un minimo di 530 e un massimo di oltre 7 000 euro all’anno;

§ la spesa media per il servizio idrico integrato è pari a circa 3 800 euro, con un minimo di quasi 900 euro e un massimo di oltre 8 000 euro. Tale dispersione è confermata anche per altre tipologie di attività produttive (hotel, bar, parrucchiere e impresa agricola nell’idrico; hotel, bar, supermercato e negozio di ortofrutta nei rifiuti) per le quali il rapporto tra i valori massimi e quelli minimi della spesa può spingersi oltre le 15 volte nel’ambito del campione di oltre 200 comunità locali analizzate dallo studio. Nel caso dell’idrico la variabilità della spesa è da ascrivere a diversi fattori:

§ alle caratteristiche idro-geografiche del bacino servito;

§ alla dimensione provinciale di regolazione del servizio con l’istituzione da parte delle Regioni dei cosiddetti Ambiti Territori Ottimali (che coincidono in gran parte con i confini amministrativi delle Province) e la delega nella determinazione delle tariffe alle Autorità d’Ambito che però non sempre applicano in maniera uniforme il Metodo Normalizzato, indicato dalla Legge Galli, per il calcolo della tariffa;

§ alla disponibilità e qualità dell’acqua nonché alla dotazione infrastrutturale (stato della rete fognaria, presenza o meno di impianti di depurazione e della relativa tecnologia utilizzata per i trattamento dei reflui, etc..)

§ al diverso grado delle gestioni che si traduce, ceteris paribus, in un costo del servizio più o meno elevato.

Il lavoro di monitoraggio sulle tariffe del servizio idrico integrato ha permesso di focalizzare l’attenzione anche su un tema poco indagato: le formule con cui vengono definite le tariffe di fognatura e depurazione per i reflui industriali. Da una prima ricognizione effettuata in diverse Regioni italiane emerge una situazione a “macchia di leopardo” esito di interventi normativi a carattere regionale di riforma dei criteri nazionali di determinazione della tariffa o di iniziative spontanee intraprese dalle Autorità D’Ambito Territoriali Ottimali. Una situazione che crea i presupposti per un trattamento differenziato dei reflui industriali sul territorio nazionale e ha un impatto non secondario sulla competitività dei sistemi locali. Per una stessa tipologia di scarico industriale il rapporto tra la spesa massima e quella minima per fognatura e depurazione può oscillare da un minimo di tre ad un massimo di otto volte. Nei rifiuti la variabilità può riflettere, in primis, le diverse regole di copertura del costo del servizio che caratterizzano i due regimi di finanziamento: laddove vige il regime TIA esiste un obbligo di copertura integrale dei costi attraverso il gettito della tariffa; nel regime TARSU, invece, esiste solo un limite minimo di copertura al di sotto del quale il gettito della tassa non può scendere. In secondo luogo, la dispersione delle aliquote rispecchia una forte variabilità dei costi del servizio sul territorio. Di varia natura sono infatti i fattori che possono incidere sui costi del servizio:

§ diverso mix di utenze domestiche e non domestiche, e nell’ambito di queste ultime tra le diverse tipologie di attività insediate nel territorio;

§ differenti logiche di assimilazione quanti-qualitativa dei rifiuti speciali a quelli urbani;

§ una diversa dimensione del bacino di utenze servite; diversi studi hanno dimostrato che esiste una correlazione positiva tra numero delle utenze servite e costi unitari del servizio. Una evidenza che può essere collegata, ad esempio, alla maggiore produzione di rifiuti pro-capite che caratterizza territori a elevato tasso di urbanizzazione;

§ le soluzioni organizzative adottate, in termini di modalità di raccolta, di spazzamento e lavaggio strade, e loro periodicità, incidenza della raccolta differenziata/ indifferenziata, modalità di smaltimento, ecc;

§ un diverso grado di efficienza delle gestioni che si traduce, a parità di altre condizioni, in un costo più o meno elevato del servizio.

Accanto a questi elementi vi è poi l’esito delle scelte operate dalle amministrazioni locali nel calibrare la quota di questi costi che deve essere allocata alle utenze domestiche e a quelle non domestiche. Un’ampia discrezionalità, presente sia nel sistema di finanziamento a tariffa sia in quello a tassa, che può sfociare in forme di sussidio incrociato tra le diverse categorie di utenze e comunque in una mancata applicazione del principio comunitario secondo cui “chi più inquina più paga”. Ciò può verificarsi quando, a valle di una certa quantificazione del costo totale del servizio, si vogliono tutelare alcune categorie di utenti ritenute più meritevoli, oppure creare le condizioni per favorire la maggiore competitività di un territorio o una certa vocazione produttiva; talvolta, più semplicemente, per la mancanza di misurazioni oggettive circa la effettiva produzione di rifiuto delle diverse tipologie di utenza che possano orientare le scelte delle amministrazioni locali. A questo si aggiunga il potere regolamentare dei Comuni nel disciplinare le logiche di assimilazione, le scontistiche, le agevolazioni, i casi di esclusione dall’ambito di applicazione della tassa/tariffa, il computo delle superfici imponibili e le caratteristiche dei beneficiari.

Trasporto urbano

Una certa variabilità locale della spesa contraddistingue anche il trasporto pubblico urbano. L’indagine mostra che il prezzo di un biglietto orario si colloca su un valore medio di circa 1 euro nelle tre aree geografiche indagate (Nord, Centro, Sud e Isole), con un minimo di 0.70 euro (rilevato nell’area Sud e Isole) ed un massimo di 1.80 euro (rilevato nell’area Nord). Anche per quanto riguarda l’abbonamento mensile il prezzo medio si assesta indistintamente intorno ai 27 euro, ma in questo caso si rileva un aumento della dispersione con un minimo di 13 euro (al Nord) e un massimo di 55 euro (al Sud e Isole). È in questo quadro che si inserisce il dibattito recente sulle ripercussioni che il taglio dei trasferimenti statali a Regioni ed enti locali potrà avrà sul livello delle tariffe o sulla qualità del servizio. La manovra finanziaria messa in atto con il Decreto Legge 78/2010 ha infatti imposto pesanti riduzioni delle entrate a favore alle Regioni, di cui una buona parte destinata a finanziare il servizio di trasporto pubblico.

Gas naturale

Nel settore del gas naturale si è assistito negli ultimi anni ad un processo di progressiva omogeneizzazione dei livelli tariffari sul territorio nazionale. Fino al 30 giugno 2009 la spesa per la fornitura di gas naturale mostrava una discreta variabilità territoriale, comunque inferiore a quella osservata in altri settori. La causa andava ricercata nella struttura tariffaria definita dall’Autorità che presentava solo per alcune voci del costo della fornitura corrispettivi identici su tutto il territorio nazionale, mentre per le altre (in particolare per le fasi della filiera di trasporto e distribuzione) si registravano differenze più o meno accentuate da un Comune all’altro. Dal 1 luglio 2009 l’Autorità ha però portato a termine un processo di revisione dei criteri di determinazione delle tariffe applicate ai clienti finali che ha contribuito a ridurre in maniera considerevole la variabilità della spesa, che tutt’oggi comunque permane tra sei grandi ambiti tariffari nazionali ma si riduce significativamente a livello locale. Un fattore importante che continua a determinare esiti differenziati in termini di spesa è la fiscalità, con un’accisa erariale agevolata per i territori che ricadono nella ex Cassa del Mezzogiorno e un’addizionale regionale che in alcune Regioni è stata azzerata. Se nel gas naturale minori sono i problemi legati alle differenze territoriali dei livelli tariffari sostenuti dalle famiglie a copertura delle fasi regolate della fornitura, più critico è l’aspetto legato al mancato decollo della liberalizzazione della fase a valle della filiera, quella della vendita, nel segmento delle utenze domestiche. A sette anni dalla completa apertura della domanda (1 gennaio 2003) si osserva una scarsa dinamicità del mercato al dettaglio, con tassi di switching, cioè passaggi al mercato libero, particolarmente bassi: solo il 5% delle famiglie è migrata sul mercato libero. Ad oggi dunque la quasi totalità delle famiglie italiane non ha mai cambiato fornitore ed è rimasta agganciata alle condizioni economiche stabilite trimestralmente dall’Autorità.

Gasolio da riscaldamento

In questo caso non si tratta di un servizio pubblico locale, ma di un mercato libero i cui prezzi riflettono le quotazioni internazionali della materia prima. Tuttavia, ancora oggi quello del gasolio da riscaldamento si può definire un mercato a forte valenza locale in cui si distingue il ruolo delle Camere di Commercio chiamate a pubblicare prezzi di riferimento. Pur avendo sperimentato una forte contrazione dei consumi negli ultimi vent’anni, esso rappresenta ancora il più importate combustibile sostituto del gas naturale negli utilizzi per il riscaldamento degli edifici. I prezzi del gasolio italiano si collocano su livelli superiori a quelli rilevati nei principali Paesi dell’Unione Europea: se il prezzo al dettaglio è penalizzato da un regime fiscale particolarmente sfavorevole (con un’incidenza media del 50% contro il 25% di altri), la minore convenienza del gasolio da riscaldamento in Italia si registra già nel prezzo industriale con un differenziale medio del 15% nel 2009 rispetto alla media UE. Quello che emerge con evidenza dall’indagine è la discreta variabilità dei prezzi tra una piazza e l’altra. Per un condomino che consuma 13500 litri di gasolio da riscaldamento il prezzo unitario può andare da un minimo di circa 1 euro/litro ad un massimo di oltre 1.30 euro/litro: in termini di spesa annua si tratta di una differenza di oltre 4 800 euro.

Alcuni spunti di riflessione: tra concorrenza e regolazione

Infine, dal Rapporto emergono gli spazi di discrezionalità nella fase di determinazione dei livelli tariffari di alcuni servizi pubblici locali, discrezionalità che si può manifestare lungo due direttrici:

§ sussidi incrociati tra attività regolate e attività non regolate;

§ sussidi incrociati tra le diverse categorie di utenze;

Il primo riguarda in maniera particolare le imprese multiutility (ma anche le imprese possedute interamente dagli enti locali) e consiste nella possibilità che i redditi derivanti dai servizi regolati vengano utilizzati per sostenere altre attività attraverso una non corretta quantificazione ed allocazione dei costi ai servizi regolati, che va conseguentemente a penalizzare gli utenti finali di questi ultimi. Il secondo, a valle della quantificazione del costo totale del servizio, si verifica quando per evitare aggravi di spesa per tipologie di utenze “più sensibili” si accollano i relativi costi ad altre categorie, con criteri sganciati dalla efficiente allocazione dei costi e dal principio “chi inquina paga”, attribuendo alla tariffa una valenza redistributiva. Sono questioni che richiamano la necessità di una regolazione credibile, intesa come attitudine a garantire un’adeguata protezione della collettività da fenomeni opportunistici. Al di là delle questioni semantiche che termini quali liberalizzazione e/o privatizzazione possono richiamare, vi l’esigenza di tenere conto che la ricerca dell’efficientamento e della qualità del servizio in un sistema che prevede una chiara cesura tra regolato e regolatore prescinde da qualsiasi considerazione sugli assetti proprietari, pubblici o privati, delle imprese di gestione. In sintesi, si percepisce da una parte l’urgenza di una regolamentazione credibile, esente da condizionamenti esterni, che produca regole chiare e riduca i margini di discrezionalità e interpretazione; dall’altra sono sempre più necessarie sedi in cui venga promossa una maggior trasparenza circa i corrispettivi dei servizi e la loro formazione, ispirata a logiche di accountability nei confronti delle comunità locali.