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31 marzo 2011

Rifiuti: Umbria virtuosa

di Fabio Mariottini

I rifiuti nelle società moderne rappresentano un problema serio. Lo sono per i paesi industrializzati, che cercano di trasformarli in energia o di restituire loro una nuova vita; lo sono per i paesi poveri, ormai diventati le pattumiere naturali di quei rifiuti “scomodi” che nessuno vuole tenere in casa propria. Il metodo di smaltimento più utilizzato, almeno nell’Unione Europea, è rappresentato dalle discariche, anche se una direttiva della Commissione europea del 2001 stabiliva che, a partire dal 2009, potevano rimanere attive solo quelle che rispettavano le norme comunitarie e, soprattutto, fissava al 2016 la riduzione del 65% – rispetto al 1995 – del quantitativo di rifiuti biodegradabili da conferire in discarica. Alla base di questa scelta la valutazione dell’impatto sulla salute e sull’ambiente delle discariche determinato dalla produzione di percolato – che può inquinare le falde sotterranee – e dalla formazione di metano, che rappresenta un importante gas serra in grado di contribuire in maniera consistente all’alterazione del clima. Nonostante ciò, e con la consapevolezza che il nostro modo di vivere e produrre non è più in sintonia con la vita biologica del pianeta, gli ultimi trenta anni hanno registrato una crescita esponenziale della produzione di rifiuti. Una crescita che, comunque, almeno nel nostro paese si è arrestata nel 2008. L’Italia, infatti, secondo il Rapporto rifiuti 2009 redatto da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), con 32,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti ha segnato, nel 2008, un decremento dello 0,2% rispetto all’anno precedente, corroborato anche dalla diminuzione dell’1,7% di rifiuti provenienti da imballaggi. Questa inversione di tendenza coincide però con l’insorgenza della crisi economica e con la contrazione del Pil dello 0,9% per l’anno in questione rispetto all’anno precedente, con una diminuzione pari all’1% delle spese per le famiglie. L’Umbria, rispetto alla tendenza nazionale, non fa eccezione. Nel 2009, infatti, sono stati prodotte circa 539 mila tonnellate di rifiuti urbani. Di queste, 370 mila sono costituite da rifiuti non differenziati e 169 mila provengono dalla raccolta differenziata. Rispetto all’anno precedente si è avuta una diminuzione della produzione di rifiuti di 16 mila tonnellate, che corrisponde a una riduzione di 22 chilogrammi per abitante. Il dato si mostra congruente con il trend nazionale e prosegue sulla strada della riduzione della produzione di rifiuti urbani iniziata in Umbria già nel 2007, dopo l’impennata del 2004-2006. Un altro elemento positivo è rappresentato dalla produzione pro capite, che nel 2009 è stata di 566 kg/ab e, quindi, al disotto della soglia individuata dal Piano regionale nel valore di 602 kg/ ab come produzione da non superare. Le note dolenti invece provengono dalla raccolta differenziata che nel 2009, pur con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente, si è attestata su un magro 31,34%, una percentuale ancora molto lontana dagli obiettivi individuati sia dalla normativa nazionale (45% entro il 2008) sia dal Piano regionale (50% entro il 2010). L’inizio della raccolta porta a porta nella città di Perugia e il coinvolgimento di parti di territorio di 56 comuni della regione rappresentano sicuramente un passo nella giusta direzione e, probabilmente, per ciò che riguarda il 2010, si dovrebbero registrare dei sensibili miglioramenti sulle percentuali della raccolta differenziata. Al di là delle buone intenzioni e delle congiunture è evidente che il “peso” raggiunto ormai dai rifiuti nella nostra vita quotidiana impone l’esigenza di una revisione del nostro modello di sviluppo. I rifiuti non si possono eliminare dalla nostra esistenza, ma se ne può contenere la produzione e l’impatto attraverso un mutamento del modo di produrre e del nostro stile di vita. Ma per compiere questo passaggio, non facile, è necessario allargare gli orizzonti delle scienze economiche, ancora piuttosto restie ad internalizzare i costi “residuali” del ciclo produttivo. In Italia gli economisti si mostrano allarmati perché non “ripartono i consumi”. Le merci diventano il parametro assoluto per valutare la nostra vita, il nostro benessere e perfino la nostra felicità. Pochi si preoccupano, invece, della riqualificazione dei consumi e della creazione di beni durevoli più in sintonia con il risparmio delle risorse naturali e la minimizzazione degli “scarti”. È evidente, quindi, che è il modello su cui la nostra società è cresciuta e si è sviluppata che deve essere rivisto. Un sistema che contempla solo il “valore d’uso” ed espelle i residui senza curarsi delle conseguenze.