PRIMO PIANO

31 marzo 2011

Friburgo, un modello europeo

di Andrea Burzacchini

Tutto cominciò quasi quarant’anni fa, nel 1973, quando il Governo della Repubblica Federale Tedesca comunicò il luogo in cui sarebbe sorta una delle nuove centrali nucleari. Si trattava di Wyhl, piccolo paese di circa 3000 abitanti situato sul confine franco-tedesco, ad una trentina di chilometri da Friburgo. La protesta, iniziata da soli 27 cittadini del paese, divampò: se poteva essere facile prevedere l’adesione di studenti ed intellettuali della vicina Friburgo, sede di una delle più importanti università tedesche, nessuno poteva immaginare la partecipazione ed il coinvolgimento di agricoltori, allevatori, semplici cittadini dei paesi circostanti, anziani sindaci conservatori. I diversi soggetti, che in breve tempo divennero “massa critica”, seguivano le ragioni più diverse: il timore per la formazione di nebbie dagli impianti di raffreddamento, tali da poter ingrigire il cielo della cosiddetta “Toscana tedesca”; il riscaldamento delle acque del Reno, che avrebbe danneggiato la biodiversità della zona; le conseguenze sulla filiera industriale, che avrebbero fatto della zona un secondo “bacino della Ruhr” minandone così il carattere agricolo e turistico; la diffidenza, che già incominciava a farsi strada, sulla sicurezza delle centrali nucleari. Il movimento si ingrandì, acquisì forza e competenza, continuò ad organizzare proteste e coordinare ricorsi legali, fino a che, nel 1983, il Presidente del Baden-Württenberg Lothar Späth dichiarò che la centrale non sarebbe stata necessaria prima del 1990. Nel 1987 dichiarò che i lavori non sarebbero incominciati prima del 1997. Il movimento di protesta aveva vinto. Ma da quella che oggi viene riconosciuta come l’origine del movimento antinuclearista tedesco (e, di fatto, del più grande partito verde d’Europa), nacque qualcosa d’altro. Il fatto che la protesta fosse eccezionalmente trasversale creò le basi per una nascita di una cultura della sostenibilità, che volle andare molto oltre alla protesta. Dal NO ci si chiese “Ed allora cosa?” e ci si rispose “Ma invece”. Nel 1986 (l’anno della catastrofe di Chernobil) il consiglio comunale di Friburgo approvò il Piano Energetico Sostenibile, teso a liberare la città dalla necessità dell’energia nucleare, che allora rappresentava oltre la metà del fabbisogno energetico comunale. Nel 1996 (un anno prima del Protocollo di Kyoto) i consiglieri comunali approvarono il Piano per la Stabilità del Clima, che imponeva alla città di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 25% entro il 2007. In pratica negli ultimi tre decenni, la situazione politica e sociale di Friburgo e la zona circostante vennero attraversate da una sorta di new deal economico, in cui l’economia “verde” fa la parte del leone. Nella città, che conta poco più di 200.000 abitanti, l’economia ambientale è rappresentata da ben 10.000 posti di lavoro, suddivisi in 1500 ditte; il settore contribuisce per circa 500 milioni di euro di fatturato annuale. Tali valori sono quasi cinque volte superiori alla media nazionale tedesca. Elencare tutti i sotto-settori che caratterizzano questo successo sarebbe impossibile. Tra di questi è senz’altro importante citare la ricerca e la produzione di prodotti per l’energia solare (pannelli fotovoltaici, termici, microchip, plasma, strati sottili, etc...). In questo campo spicca senz’altro il Fraunhofer Institut ISE per i sistemi ad energia solare, che con i suoi 900 dipendenti, è il secondo centro europeo del settore. Nel campo della ricerca, poi, l’università cittadina ha ottenuto nel 2007 lo stato di università d’elite, grazie anche alla creazione di un Centro Interdisciplinare per le Energie Rinnovabili. La presenza di tale strutture di eccellenza ha ovviamente generato alcuni effetti a catena soprattutto nel campo della bio-edilizia. La progettazione del quartiere a basso impianto energetico di Vauban durante gli anni ‘90 rende difficile stabilire quali siano le cause e quali le conseguenze. Fatto sta che decine di studi di architetti ed ingegneri si sono trasferiti nella città, dove la collaborazione e la concorrenza favorivano una crescita comune. Un terzo settore che ha concorso alla crescita collettiva è quello dell’educazione ambientale e della consulenza nei vari settori della sostenibilità. Friburgo è ora la sede di grandi organizzazioni ambientali tedesche ed internazionali, così come di diverse ditte impegnate nel campo della progettazione ambientale internazionale. Tutte queste sfruttano ovviamente la favorevole situazione della città, che richiama ogni anno migliaia di “turisti ambientali”, tra studenti, ricercatori, amministratori ed imprenditori. Naturalmente l’agricoltura e la filiera del cibo non possono essere escluse da questa realtà. Sono infatti decine gli agricoltori e i viticoltori che abbandonano un approccio convenzionale, per dedicarsi ad un’agricoltura con standard organici estremamente elevati, il cui approccio ha ricadute puntuali sull’intera filiera, dal campo alla tavola, includendo infatti supermercati e catering biologici. Esperienza di spicco in questo campo è senza dubbio la Regionalwert AG, società ad azionariato popolare, che mobilita capitali all’interno della regione, per sostenere un’agricoltura con standard ecologici, sociali ed economico-locali. Continuare questo elenco diventerebbe noioso, ma una prima conclusione può essere tracciata. Il successo di Friburgo non sarebbe stato possibile se la classe imprenditoriale avesse guardato solo al successo economico immediato del singolo, invece di credere in una crescita comune a lungo termine. L’esempio migliore in questo senso è rappresentato dal Solar Info Center, struttura unica all’interno della quale quasi 50 imprese indipendenti, per un totale di oltre 400 impiegati, convivono scambiandosi informazioni, lavorando a progetti comuni, e suddividendosi spazi collettivi. Competizione sì, ma non solo. Una seconda conclusione riguarda il rapporto con le istituzioni e la politica. La classe imprenditoriale non si è mai lamentata delle “intrusioni” della politica, dei “lacci e lacciuoli” rappresentati dagli standard sempre più elevati e dalle regole sempre più stringenti. Non si vuole l’energia nucleare? Sviluppiamo nuove forme di energia. Si vuole ridurre il numero di automobili? Costruiamo biciclette, anche in leasing. Un consumo più responsabile riduce l’utilizzo di materie prime. Impegniamoci nel campo della consulenza! E via di questo passo... Il successo più grande è proprio questo. Crescita economica non significa affatto distruggere il territorio, abolire le regole, puntare su forme di lavoro precarie e mal pagate, privilegiare la quantità alla qualità. E significa anche credere in alcuni principi, come la qualità della vita, il rispetto della natura, la crescita sociale e culturale. Quando, negli anni ‘80 il governo federale rinunciò alla centrale nucleare, i responsabili della lobby nuclearista pronosticarono sdegnosamente che presto non si sarebbe più potuto accendere la luce di sera. A Friburgo la luce si accende ancora. Nelle case e nelle teste dei suoi abitanti.