L’innovazione digitale nella PA: nuove forme di comunicazione e di servizio al cittadino

A cura di Federico Fioravanti

Partiamo dalla concretezza dei numeri. Anche perché gli imprenditori hanno bisogno soprattutto di chiarezza, nelle analisi, nelle regole e nelle risposte che ogni giorno danno e ricevono.
L'Ocse è una organizzazione internazionale di studi economici che ha sede a Parigi, in un bellissimo castello: le Chateau de la Muette.
I paesi che ne fanno parte sono 34. Sono quelli che noi chiamiamo paesi sviluppati: hanno in comune un sistema di governo di tipo democratico ed una economia di mercato.
Secondo l'Ocse, l'uso dei servizi online è uno degli indicatori più sensibili, forse il più importante, per misurare la qualità del rapporto tra cittadini, imprese ed amministrazioni pubbliche.
Per l'Italia, i dati dell'ultimo rapporto Ocse 2013 sono impietosi, quasi da allarme rosso.
Siamo al penultimo posto in classifica tra i paesi sviluppati: solo il 19% dei cittadini italiani dialoga via web con la burocrazia degli enti locali e governo centrale. Meno della metà della media di tutti gli altri paesi membri, che al nostro 19% contrappongono una percentuale del 50%. Solo il Cile, con il 7% ha valori peggiori dell'Italia.
In tutti i grandi paesi europei i cittadini che interagiscono con le istituzioni pubbliche grazie al web sono al di sopra del 40%. In particolare, la Francia è al 61%, la Germania al 51%, la Spagna al 45% e la Gran Bretagna al 43%.
Questi sono i numeri. Cifre che fanno riflettere e che sono al centro del confronto pubblico sullo sviluppo di quella che chiamiamo Agenda digitale per la quale sono stati previsti, attraverso il piano 2014-2020, quasi 70 miliardi di euro di fondi europei.
Soldi da utilizzare anche e soprattutto per una più veloce alfabetizzazione informatica. Su cui, a parole, sono tutti d'accordo, a partire da Gianpiero D'Alia, ministro della Pubblica Amministrazione, che, di recente, ha lanciato un altro allarme, sostenendo l'urgenza di sviluppare, a tappe forzate,  la formazione di  "dirigenti, quadri e di tutto il personale pubblico".
L'ostacolo è anche anagrafico: nella pubblica amministrazione meno del 10% del personale ha una età inferiore ai 35 anni e secondo D'Alia è un successo se il personale pubblico che dipende dal suo ministero "sa usare il fax".
Forse il ministro è troppo pessimista. Ma con ogni probabilità si è guardato in casa ed ha fatto due conti.
E i numeri, hanno la loro importanza. Ci dicono, per esempio, che la spesa complessiva della pubblica amministrazione nel settore digitale, ha subito una frenata, difficile da capire, proprio negli anni della grave crisi economica dalla quale non siamo ancora usciti: tra il 2007 e il 2013 il calo medio annuo degli investimenti è stato del 2,8%.
Addirittura, nel 2012, questo rallentamento negli investimenti nella innovazione della macchina pubblica ha raggiunto il 4,3%. Fa eccezione la Sanità dove le risorse per il digitale negli ultimi anni sono cresciute.
Ma cè un altro fatto, sottolineato dal secondo Osservatorio Assinform sulla Ict nella Pubblica Amministrazione, che è stato presentato meno di due settimane fa, lo scorso 2 dicembre: gli investimenti perdono di efficacia perché i denari a disposizione vengono spesi in modo troppo frammentato. Per Elio Catania, presidente Assinform, è  proprio la dispersione degli investimenti, che "non consente di fare sistema".
Perché? Eppure c'è una buona diffusione di strumenti base. La dotazione tecnologica è adeguata per il numero di pc, di accessi internet e anche per quanto riguarda la sicurezza informatica. E' assicurata, soprattutto ai livelli centrali, la copertura applicativa per quanto riguarda la contabilità e la gestione del personale.
Ma è carente, secondo l'indagine commissionata da Assinform, l'aggiornamento e quindi la modernizzazione stessa del sistema. Soprattutto a livello comunale, dove le amministrazioni non aggiornano quanto dovrebbero le applicazioni e dove le infrastrutture hardware sono ormai obsolete.
Il risultato è che solo un italiano su 4 usufruisce dei servizi online messi a disposizione dalla propria regione di appartenenza. Via web si saldano anche le multe ma i pagamenti elettronici sono ancora troppo poco utilizzati dai cittadini.
Un dato spiega bene questo ritardo: il 69% delle Asl italiane ancora non offre la possibilità di pagare online i ticket sanitari. Conta molto, ancora troppo, la scarsa diffusione della banda larga.
Nella classifica europea l’Italia figura come fanalino di coda, davanti solo a Grecia e Cipro, con un punteggio pari a circa la metà rispetto a quello della  Svezia che guida la classifica insieme a Finlandia e Danimarca.  
La percentuale degli italiani che accede in modo regolare ad internet è poco più della metà della popolazione. Poco contro la media degli altri paesi dell'Unione Europea che è del 70%.
Per quanto riguarda la velocità delle connessioni, l’Italia si colloca in ultima posizione con solo lo 0,1% delle connessioni a 30 megabit al secondo contro una media UE del 14%.
Solo il 2% delle connessioni in Italia utilizza la fibra ottica, che arriva in 2,6 milioni di edifici, contro i 6,8 milioni della Francia.
Occorre prendere atto che negli ultimi tre anni l’Italia è stata ampiamente distanziata dalla quasi totalità dei Paesi dell’Est Europa e si appresta ad essere superata nell’accesso ad internet veloce perfino da Bulgaria e Romania.
Ma c'è un altro numero, un dato clamoroso che attira la nostra attenzione e che ci spiega quanta strada ci sia ancora da fare: il 62% degli italiani non ha mai utilizzato un sito web della Pubblica Amministrazione.
Lo sostiene la ricerca Formez-Istituto Piepoli, presentata lo scorso 13 marzo a Roma. L'indagine, effettuata attraverso 1439 interviste a campione, è stata commissionata per comprendere la percezione generale da parte dei cittadini del grado di digitalizzazione e informatizzazione delle Pubbliche Amministrazioni.
Solo il 38% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare internet per informarsi o per accedere ai servizi della PA. L'83% di questo 38% è formato da cittadini in possesso di una laurea.
I servizi web più conosciuti sono quelli riguardanti i tributi locali (ICI/IMU), i certificati anagrafici e catastali, le iscrizioni scolastiche, i concorsi pubblici e le prenotazioni delle visite mediche.
Il principale vantaggio riconosciuto da coloro che utilizzano internet è il risparmio di tempo. Ma è ancora elevato è il numero di cittadini che non utilizzano i servizi internet della PA e che preferisce recarsi di persona agli uffici pubblici. Il 66% degli intervistati dichiara di usare la rete per motivi personali. E solo il 7% utilizza i servizi come impresa.
Un rapporto Nomisma del 3 dicembre 2013 ci ricorda che solo 14% delle imprese italiane usa software di ultima generazione. Le aziende utilizzano l'informatica solo per scopi gestionali (61%), mentre solo il 14% usa i più evoluti software applicativi di business intelligence, come il geomarketing e la location intelligence.
Ma cosa vuol dire allora innovare? Per le aziende italiane significa principalmente tagliare i costi di produzione e distribuzione (per il 21,7% delle aziende nel 2010, e per il 47,8% nel 2012), mentre l'innovazione digitale viene ritenuta troppo costosa e portatrice di benefici ancora irrilevanti.
Non è così. In particolare, è stato valutato che l’impatto di Internet negli ultimi 5 anni valga fino al 6 per cento del PIL in Paesi avanzati come Svezia e Gran Bretagna.
Dove Internet è ancora “in fasce”, ci sono quindi ampi spazi di sviluppo. L'Italia è uno di questi paesi. In sintesi, uno studio presentato nel mese di febbraio di quest'anno dall'Osservatorio Agenda digitale della School of Management del Politecnico di Milano ci ricorda che l'attuazione di un'agenda digitale per il Paese può liberare risorse per oltre 70 miliardi di euro: 35 miliardi di euro dal contrasto all'evasione fiscale e dal miglioramento dell'efficienza della PA, 25 miliardi dalla semplificazione della relazione tra PA, imprese e cittadini, più ulteriori risorse per le imprese dall'aumento della produttività, dalla riduzione dei costi e dalla nascita di nuove Start-Up.  
Il "decreto del fare" varato dal governo nell'agosto scorso, può far risparmiare alle imprese mezzo miliardo l'anno.
Grazie alla semplificazione, in un anno c'è stata una riduzione del 55% dei certificati camerali: ne sono stati tagliati circa 900.000. Si è passati da 1.600.000 certificati a circa 700.000. Il risparmio che deriva dal taglio di questi certificati è stimato in circa 50 milioni di euro all’anno.
Diciamo tutti i giorni che l'export ci farà uscire più in fretta dalla crisi.
La fortissima difficoltà del mercato interno induce le aziende a cercare mercati esteri (38%). Ma sorge spontanea una domanda: la necessità di questa l'espansione all'estero può prescindere dall'investimento in tecnologia?
Un altro dato su questo aspetto: l'e-Commerce, nonostante il suo sviluppo, non supera in Italia il 17%, contro una media UE che è del 44%.
E l'Umbria? Qual è il livello della regione rispetto ai capitoli citati nella  Agenda Digitale Europea?
Il Riir, Rapporto sull'Innovazione nell'Italia delle Regioni, che risale al 2012 ed è stato pubblicato nel gennaio 2013 (quello relativo al 2013 non è ancora disponibile) ci dice che abbiamo preparato bene il terreno ma siamo ancora molto indietro. Bene la teoria male la pratica. Benissimo sul fronte della legislazione, ancora molto male per l'applicazione.
Per esempio, l'Umbria è una delle sole 4 regioni italiane dotate sia di leggi generali che specifiche riguardo la Società dell'Informazione. La banda larga è presente sul 92,4% del territorio. E sono stati sbloccati 10 milioni di euro per finanziarne lo sviluppo.
Per quanto riguarda la cooperazione degli enti che agiscono sul territorio l'Umbria vanta un record italiano: ha definito 49 accordi di servizio. E' il numero più alto nel nostro Paese. Dal punto di vista dell'egovernment, della regolamentazione necessaria siamo avanti.
Siamo molto indietro sulla sicurezza (copia dati, backup, piattaforme sicure per i pagamenti online). Andiamo ancora troppo piano nella applicazione del risparmio energetico. La carta regionale dei Servizi che rende digitale la carta sanitaria è stata distribuita in prova solo agli operatori sanitari.
In una regione con molti anziani l'alfabetizzazione informatica è uno snodo cruciale. I soldi possono arrivare dall'Europa.
La Regione vuole utilizzarli per insegnare internet agli ultra 65enni, che potranno ricevere diagnosi sanitarie via e-mail con grandi risparmi per la sanità che utilizza l'80% del bilancio regionale.
L'Istat (dati del 2012 elaborati da Cisis) ci ricorda che per quanto riguarda l'Agenda Digitale tutte le regioni e le province autonome del Nord-Est e del Nord-Ovest del Paese, manifestano livelli di progresso maggiori dell'Umbria.
Il confronto con Toscana, Marche e Lazio, ci dice che abbiamo il risultato peggiore per quanto riguarda il ricorso all'e-governement e che  l'analfabetizzazione informatica deve diminuire in modo deciso per essere al passo con le altre regioni. Utilizziamo internet in modo regolare più delle Marche ma meno di Toscana e Lazio.
E per quanto riguarda l'innovazione nelle imprese la fotografia scattata dall'Istat ci fa vedere una immagine abbastanza chiara: dal 2004 al 2010 le imprese umbre che hanno introdotto innovazioni di prodotto e/o di processo sono in calo:32,3% nel 2004; 26,9% nel 2008; 24,1% nel 2010.
L'andamento è negativo anche nelle altre regioni del centro Italia. Ma la media umbra è più bassa sia della media nazionale (31,5% al 2010) che di quella delle regioni del centro (25,7% ).
Sul tavolo dell'Umbria digitale ci sono la bellezza di 55 progetti e interventi per 6 milioni e mezzo di euro. Molta carne al fuoco ma anche molta strada da fare per recuperare terreno rispetto ad altre regioni italiane e europee.

 


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