Industria culturale, leva del turismo in Umbria

Interventi del pubblico

Spunti polemici su cui è il caso di riflettere. Intanto, c’è la presenza in sala di alcune persone, che vorrei invitare a dire la loro: Stefania Giannini, rettore dell’Università per Stranieri di Perugia e Eugenio Guarducci, patron di Eurochocolate.


STEFANIA GIANNINI, Rettore Università per Stranieri di Perugia. Mi congratulo per questa iniziativa e credo che gli spunti che avete offerto, dalle lenticchie di Norcia al Pinturicchio, ma non lo dico come battuta, siano uno spettro semantico che in fondo racchiude le identità del nostro Paese, e soprattutto il modo in cui esso è percepito all’estero. È stato detto: ho l’onore di governare forse una delle prime industre culturali consapevolmente generate e costruite in Italia, che è l’Università per Stranieri di Perugia, che quasi ormai novant’anni fa fu pensata come un modo, il più semplice, allora veramente innovativo, di presentare l’Italia al mondo, attraverso il suo prodotto, diremmo oggi, culturale, linguistico e culturale.
Mi limito a due considerazioni, perché davvero gli spunti sono tantissimi: una locale e l’altra più di carattere generale. Quella locale: permettetemi di dire, io credo che quel contatto con il nostro Paese, che soprattutto gli stranieri cercano e ribadiscono come un’esperienza veramente straordinaria, tra le molte che viaggiando oggi, anche con mezzi low-cost, anche in modo molto più semplice rispetto anche a pochi anni fa si può fare, è un’esperienza che copre tutto quello che voi avete detto. E che deve continuare a coprire tutto quello che avete detto. Cioè l’esperienza intellettuale, la conoscenza di un patrimonio tangibile e intangibile e poi lo stile di vita e poi il modo in cui si mangia, quindi la quotidianità.
Ora, l’Umbria, è stato detto, non è una scoperta, ha un concentrato direi sia per ragioni di spazialità e di dimensioni che sono controllabili anche rispetto ad altre regioni italiane, ha questa centralità. Sono perfettamente d’accordo che l’assenza del mare in questo caso è un elemento protettivo rispetto a tentazioni sireniche che in altre regioni hanno portato a risultati devastanti. Tutto questo deve essere utilizzato al meglio.
Anche la stessa presenza dell’Università per Stranieri, che sta rinnovando il proprio approccio al resto del mondo – potrei citare mille esempi, ma non è questa la sede – deve essere meglio utilizzata da questa terra, perché, permettetemi di dire, sono passati circa 400 mila persone dal 1921 ad oggi da questa città, hanno riportato un’idea della città, della regione e del Paese, che è fondata su questo spettro semantico che va dal Pinturicchio alle lenticchie di Norcia. Allora, tutto questo deve diventare un capitale che può produrre sviluppo nel presente e nel futuro.
Chiudo con una considerazione invece di carattere più generale. Io non sono molto d’accordo, assessore Bracco, ahimè, con la nota ottimistica che vede questo momento della politica italiana come la svolta in cui la cultura ritorna, no, no, mi spiego, viene messa al centro dell’agenda politica. Sintetizzando, io credo che sia sconcertante come nel nostro Paese nessuna forza di governo abbia mai messo la cultura, nel senso molto differenziato e corretto che avete proposto oggi, al centro della propria agenda politica. Quindi la vera rivoluzione politica deve ripartire da questo tema.
Vi do un esempio concreto, perché le cose vanno viste, ognuno le vede nel proprio settore di riferimento e il mio è quello dell’industria culturale. Questo governo ha tagliato totalmente le borse di studio per gli studenti stranieri, le mensilità di lingua e cultura italiana per l’anno 2012. Nel  2011 erano state 2.288, toccando 53 Paesi nel mondo e coinvolgendo 354 studenti, per un ammontare di circa 1 milione e qualche spicciolo di euro; una delle prime azioni del ministero degli Esteri, di questa gestione, di questo governo, è stato quello di dire: signori, il bilancio è sofferente (come per tutte le istituzioni pubbliche italiane del momento, non è una sorpresa), quindi cominciamo da lì, e congeliamo – così è stato detto, poi sono congelatori che di solito producono alla fine, dopo il decongelamento, prodotti deteriorati non più utilizzabili.
Questo per dire che io credo che dopo l’estate, quando indubbiamente esploderanno le campagne elettorali, questo deve essere il punto. Perché la politica italiana ha fallito completamente soprattutto in questo: cioè nel divorzio tra politica e cultura, nel non capire che il nostro Paese ha una responsabilità culturale molto più forte di quella dei paesi più importanti che avete citato.
Ricordiamoci che il Grand Tour, nel corso della storia europea, si è sempre fatto dal nord Europa verso l’Italia, non verso un altro paese. Quindi, al di là della dimensione statica del patrimonio tangibile, del numero dei siti Unesco, che è un elemento che solitamente, giustamente, si evoca per ribadire l’importanza dell’Italia, il suo gigantismo culturale percepito all’estero, questa è la verità: l’insieme delle competenze e la forza culturale del Paese è noto almeno dal 1700 come meta fondamentale della formazione dell’intellighenzia europea. Questo va recuperato, dagli chef, fino agli artisti, fino a diremmo oggi alla creazione dei cluster creativi.


EUGENIO GUARDUCCI, Architetto - Presidente Eurochocolate. Parto dalle considerazioni di Giorgio Mencaroni: gli assenti hanno sempre torto. Forse però dobbiamo anche dirci che ognuno ha gli amministratori della cosa pubblica che si merita. Alla fine siamo noi che li scegliamo. E maturano le scelte che maturano. Questa è una constatazione che va fatta. L’amministrazione pubblica, per quanto riguarda la cultura ed il turismo, oggi è rappresentata, al massimo livello, dall'assessore Bracco.  Però la carenza di presenze dal lato privato mi fa abbastanza impressione.
Anche perché questo appuntamento è stato organizzato dalla Camera di Commercio di Perugia, che è la “casa delle imprese”, quindi anche per un rispetto di tipo istituzionale le associazioni di categoria, che dicono di avere a cuore questi temi, dovrebbero perlomeno essere rappresentate in maniera importante.
L’altra cosa che mi preoccupa, però, devo dire, questo dobbiamo forse riconoscercelo, è anche la presenza di tipo generazionale: non mi sembra di scorgere volti giovanissimi in un appuntamento nel quale parliamo di marketing de territorio. Mi ci metto anch’io: ho 48 anni, e secondo me, chi fa marketing deve avere un’età diversa dalla nostra. La politica deve dare degli indirizzi, ma il marketing dei prodotti, quindi di un territorio, secondo me, lo devono fare i giovani. E mi domando come mai non si scommetta mai su questi giovani. E perché non sia possibile che fra i 900mila abitanti della nostra regione  non vi sia qualcuno capace di fare questo mestiere.
Noi apparteniamo tutti alla generazione analogica e invece dovremmo affidare certi compiti a chi è nato in quella digitale, perché oggi il confronto avviene su questa piattaforma, prevalentemente sul turismo.
Quindi ben vengano le teste canute come la mia, che hanno evidentemente l’esperienza da dare e da mettere in campo, ma è assolutamente necessario invece una linfa importante dal punto di vista della gioventù in questi sforzi di marketing. Io, quando vado a parlare con gli sponsor o  a presentare il piano marketing di un prodotto, mi trovo di fronte a ragazzi o ragazze che hanno al massimo 28-30 anni, a cui un imprenditore, sia Barilla, sia Ferrero, sia Nestlè, dà fiducia per gestire somme anche di 30-40 milioni l'anno. Una somma che noi ci sogniamo per il turismo umbro. Mi chiedo: perché tutto ciò avviene nel sistema privato e non può avvenire anche nel sistema pubblico? Caspita! Troviamo qualche giovane da far parlare la prossima volta da quel tavolo e non solo ad ascoltare, e questo secondo me è importante.
Un'ultima cosa a proposito del tema del “food”. Il presidente Mencaroni diceva che c'è qualche progetto in corso. Io devo dire che di idee ce ne sono. Secondo me, un’idea importante appunto è quella di mettere in rete queste eccellenze agroalimentari del territorio umbro.  Perché noi, a differenza di regioni importanti sul piano della loro presenza nel food e nel wine, come il Piemonte, dove imperano tartufo e vino e la Toscana, dove i punti di forza sono vino ed olio, noi abbiamo un ottimo olio, un ottimo vino e un ottimo tartufo. Tre prodotti che all’estero funzionano come attrattori. E questo livello, in maniera così omogenea e distribuita, in Italia lo abbiamo solo noi. Solo che succede? A un certo punto, vediamo che per il filone del tartufo si spende su sette, otto iniziative, su quello dell’olio in altrettante e su quello del vino non diciamo quante. Manca invece un appuntamento forte che faccia massa critica, per cui un grande ristoratore di Parigi può decidere di prendere l’aereo per veire qui, perché in quei quattro giorni, in Umbria, trova questi prodotti tutti insieme esposti in maniera anche gradevole.

Lei vuole colmare questa lacuna?


GUARDUCCI Magari vi fosse qualcuno che facesse propria una mia idea: così almeno potrei partecipare come spettatore. Io però tiro fuori questa idea di “Hollyfood”. Mi spiego meglio. La Regione Marche ha scelto Dustin Hoffman come testimonial per le proprie campagne di promozione integrata. E l'immagine dell'attore non è usata solo a favore del turismo ma anche per l'agroalimentare. In questi giorni, per esempio, stiamo facendo un lavoro per la Provincia di Ascoli e utilizziamo l'immagine di Dustin Hoffman per reclamizzare il vino di quei territori.
Noi abbiamo la possibilità, in quattro giorni, in un quadrilatero, compreso tra Norcia, Montefalco, Trevi e Spoleto, sull'esempio dell’esperienza di Umbria Water Festival, quindi di un evento diffuso sul territorio, di far rendere attori protagonisti i nostri prodotti, le varie eccellenze. E far diventare i cuochi registi, raccontare le ricette attraverso dei film. E i sindaci e le città possono diventare gli scenografi di questo racconto.
La ricetta, è il caso di dire, è quella di applicare il format del cinema al cibo. Pensate alla sola scritta, Hollyfood, “impaginata”, temporaneamente, in una bella collina. Io, se fossi un amministratore pubblico, o un sindaco di un Comune che ha una eccellenza agroalimentare, ce la metterei sempre quella scritta perché sono sicuro che quell’immagine evocherebbe una forza importante dal piano della comunicazione e della notiziabilità. Questa iniziativa riuscirebbe, secondo me, nell'impresa di mostrare insieme questi prodotti in un unico momento dell'anno e non li vedrebbe dispersi, spesso con grande spreco di energie, nell'arco dei 365 giorni.
Questo quadrilatero può diventare un polo di attrazione importante. Ma questa manifestazione può far vivere anche Orvieto, deve far vivere tutta l’Umbria. Un evento “esplosivo” che duri poco tempo: quattro giorni. Non possiamo infatti pensare che un importatore di prodotti, o un turista gourmet, venga in Umbria trenta volte all’anno: una volta per l’olio, una volta per il vino, una volta per il tartufo. Scegliamo un periodo solo, il mese di novembre oppure quello di marzo, per costruire un evento importante.
Un'ultima considerazione su Gluten Free Fest. Citando i dati che ci ha fornito UmbriaSì, che è il consorzio che abbiamo ingaggiato per le prenotazioni di questo evento dedicato al tema del “senza glutine”.
In Italia abbiamo una popolazione di 60 milioni di persone sono potenzialmente esposte alla celiachia, di queste 3 milioni già sono celiaci, e di queste 1 milione e mezzo sanno di esserlo. Ogni persona trascina con sé i consumi di tre persone: una famiglia media italiana. E' un target turistico importante. Purtroppo per tutte queste persone è una malattia, quindi è una cosa negativa, però tra tutte le malattie devo dire che non è la peggiore.
Con questo evento, l’Umbria si è connotata come prima regione sensibile al tema Gluten Free, grazie alla formazione degli operatori e attraverso un processo di certificazione dei suoi prodotti agroalimentari. E’ la prima edizione e siamo molto soddisfatti.
Queste due iniziative sono nate entrambi nell’ambito del “think tank” di Todi, un incontro promosso dall’assessore al Turismo: un privato ha lanciato un’idea e un’assise formata da persone che venivano da mondi diversi, l’ha poi sposata. Interlocutori istituzionali e privati l'hanno incoraggiata. E dalle chiacchiere si è passati ai fatti.

 

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