Industria culturale, leva del turismo in Umbria

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Luigi Cremona

giornalista enogastronomico

Slow ma anche low: turismo della lentezza a prezzi contenuti. Un'altra ricerca del portale Trivago, ci ricorda che i prezzi degli alberghi in Umbria sono tra i più bassi in Italia. Secondo quella ricerca un po’ “nasometrica” della Borsa italiana del Turismo, l'Umbria viene scelta come destinazione d'arte. Altri sondaggi, dell'Istat, ci dicono che, insieme ad altre motivazioni, il turismo enogastronomico pesa per il 50 per cento: un turista su due si muove anche e soprattutto per il cibo e per tutto quello che ci gira intorno: colture e cultura.

Nel panorama italiano l'Umbria ha una posizione piccola ma di riguardo. Penso ai miei ricordi da ragazzo. Allora l'’Umbria nel mio immaginario era Spoleto. Quel Festival di Spoleto che ha segnato grandemente gli Anni Cinquanta e Sessanta della cultura italiana: una piccola città umbra assurta a fama internazionale. Dopo sono venute tante altre cose che magari non erano nemmeno insite nel territorio, come  Umbria Jazz che è stata una magnifica invenzione. L'Umbria ha quindi grandi patrimoni culturali ma anche una società in grado di creare, di agire e di interagire.
La prima osservazione che faccio è che quindi bisogna guardare all’Umbria con rispetto. Credo che la regione sia stata anche fortunata: il suo “pseudoisolamento” l'ha favorita. E il fatto di non essere bagnata dal mare l’ha salvata dal “mattone selvaggio” degli Anni Sessanta e Settanta che ha distrutto tante bellezze d'Italia ed ha assorbito, fino ad un'epoca recente, il grande flusso del turismo, ma quello più infimo e più banale. Diciamo pure che l'Umbria è stata trascurata ma si è anche in larga parte salvata. Non essere attraversata da autostrade e non avere un grandissimo aeroporto dentro i propri confini non sempre è un male. Certo, c'è sempre il rovescio della medaglia, ma io credo che l’Umbria abbia, in un certo senso, in parte per fortuna e in parte per sua capacità, salvaguardato molto della sua immagine e quindi della sua personalità. Tuttora, andando in giro, se si parla di Umbria, se ne parla in un certo modo e con un certo valore.
Per quanto riguarda il turismo enogastronomico, chiaramente si potrebbe fare di più. Io collaboro con il Touring Club: sono il responsabile delle guide di alberghi, ristoranti e vini da tantissimi anni. Nei primi Anni Ottanta  il turismo enogastronomico non era considerato. Per le statistiche, allora, valeva l'1 o il 2 per cento del turismo italiano. Man mano c'è stato un enorme cambiamento. Il turismo enogastronomico è completamente differente per una sola ragione: perché c’è chi gira per l’arte, o per l’architettura, o per la natura, o per lo sport e così via. Comunque, tutti hanno in comune una cosa: dormono, mangiano e bevono. Per cui con il turismo enogastronomico si è scoperta veramente l’acqua calda. L'enogastronomia è la fonte primaria di tutti gli spostamenti. Nessuno può quindi trascurare questa chiave di lettura che si può giudicare più o meno importante, però assolutamente non si può ignorare. Una rivoluzione. Che ha coinciso con un altro fatto: l'Italia è sempre stata la meta di destinazione in testa a tutte le classifiche dell'arte e dei siti Unesco ma non si era mai resa conto che era la prima al mondo anche in un'altra classifica: quella dei prodotti di qualità. Anzi, nella produzione di ricette di qualità. Non solo quindi nel prodotto ma nel massimo assemblaggio del prodotto che è rappresentato dalla ricetta. Da qui, nel mondo, il mito della cucina italiana: dall'India alla Cina, da Hong Kong agli Stati Uniti, senza parlare dell’Europa. E parole come “pizza” o “cappuccino” o decine di altre sono ormai parte del linguaggio comune di intere popolazioni del globo.

L'enogastronomia ha una incredibile capacità di attrazione. E' un richiamo per il territorio...

Certo. E per l'Umbria il fatto di non avere il mare, paradossalmente è un valore in più. Il pesce azzurro, che senza dubbio è una “ricchezza egualitaria” italiana, rappresenta tutti ma non caratterizza un territorio. C'è un festival del brodetto nelle Marche e manifestazioni dello stesso tipo in altre regioni bagnate dall'Adriatico. E la zuppa di mare del Tirreno ha connotazioni simili, dal sud al nord, fino a Marsiglia. Questo per dire che quello che caratterizza veramente l'enogastronomia, il cuore del buon bere e del buon mangiare, più che la pianura è la collina, che è la vera terra della qualità. Il mondo della “terra di mezzo”, è stato rivalutato negli anni da Slow Food e da tanti appassionati perché è il mondo dove si nasconde l'eccellenza del mangiare e del bere. L'enogastronomia a livello del mare è spesso comune, in pianura è soprattutto quantità. E' in collina che diventa qualità vera. Ecco, l’Umbria è la collina, è la terra di mezzo d’Italia: ha un patrimonio da valorizzare. E allora dovrebbe avere l'ambizione di contare di più.

Una opinione comune: l'Umbria ha una buona ristorazione media ma manca un numero di locali di eccellenza assoluta, in grado di fare da richiamo per il turista, di spostare gli appassionati da regioni vicine e lontane.

Una carenza che va sottolineata. In Umbria si è puntato molto al miglioramento dei prodotti. E i prodotti, dall'olio in primis, fino al vino, sono cresciuti molto. Così come è migliorato il livello di conoscenza di tante eccellenze, dai fagioli, alle lenticchie, allo zafferano. Ma se molto si è fatto sul prodotto, si è lavorato poco su un altro elemento “chiave”: lo chef, il cuoco, la ristorazione, il ristorante che certo non è solo il cuoco, l'uomo che sta ai fornelli, ma anche la sala, l'accoglienza, il servizio. Insomma, un po' tutto un insieme di cose. Ecco, puntare sulla tavola è sicuramente un altro elemento molto importante, come credere nella  comunicazione, che è strategica per lo sviluppo del territorio. Su un paio di punti bisogna fare delle riflessioni. A partire dall'importanza di avere un certo numero di ristoranti di alta qualità. In Umbria si mangia benissimo in tante buone trattorie o agriturismo. Ma a livello nazionale, manca la percezione della qualità che la regione può offrire. In questo campo, quello che fa la differenza sono le eccellenze in grado di esercitare una capacità attrattiva per tutto il territorio. In Umbria ci sono grandi chef, come Vissani o Marco Bistarelli in seconda battuta. Ma dietro poche eccellenze c'è un vuoto da colmare. Anche perché alcuni ristoranti di grande qualità hanno chiuso i battenti. Allora i giovani cuochi andrebbero incentivati a migliorarsi con tutta una serie di iniziative che servano a promuovere la ristorazione, che aiutino gli chef di talento a investire nel territorio e a farsi conoscere. Non dimentichiamo che lo chef, nel mondo, alla fin fine, è diventato un punto di riferimento, un ambasciatore della cultura italiana.