Percorsi per l'internazionalizzazione del sistema Umbria

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Luigi Rossetti

dirigente Regione Umbria - CDA Centro Estero Umbria

Pettinato ha messo il coltello nella piaga. Ed ha evocato una parola, “parcellizzazione”, che ricorre con frequenza quando si affrontano i grandi temi economici, sia italiani sia umbri. Ma ha anche toccato il tema cruciale della qualificazione dell’impresa, della necessaria formazione,  preliminare a qualunque attività di internazionalizzazione.


Le aziende esportatrici in Umbria sono poche ma trainano il valore aggiunto e rappresentano dei campioni importanti per il sistema economico regionale. Nella nostra regione nonostante la parcellizzazione del sistema produttivo, si registra una consistente presenza degli esportatori già in una dimensione di impresa che è quella tra i 20 e i 50 addetti, a testimonianza di una traiettoria di sviluppo che è possibile ed è doveroso sostenere.
Questi soggetti devono essere accompagnati e messi in condizione di avere un supporto. Oggettivamente, finanziare un’impresa che ha dei progetti sull’export è un tema assai delicato. In questo senso in Umbria stiamo lavorando per un disegno che coglie molti di questi aspetti.
Ma proviamo a scomporre i dati. A parte il caso della metallurgia, che rappresenta un terzo del valore delle esportazioni, e che quindi, comunque,  rappresenta la strategicità di quell’insediamento produttivo, abbiamo una fortissima presenza di settori portanti del Made in Italy. Un valore aggiunto che testimonia che non è importante che cosa si fa ma che i migliori lo facciano e che i migliori possano essere quelli che noi accompagniamo sui mercati internazionali.
Basta pensare al dato sulle macchine: in Umbria  abbiamo un export complessivo per quanto riguarda macchinari e apparecchiature che vale 600 milioni di euro. Una cifra  rilevante, così come quella che riguarda, ad esempio, il tessile abbigliamento. Sono dei settori tradizionali. Dobbiamo puntare su questi settori, dobbiamo pensare che è possibile internazionalizzare non soltanto coloro che lavorano, come dire, un prodotto finito, rompendo anche uno schema, ma dobbiamo pensare che esiste la possibilità di riaggregare quelle imprese in reti, in filiere. Per supportare anche quel tipo di soggetti subfornitori che rappresentano la punta, in alcuni casi più avanzata, delle competenze tecnologiche e imprenditoriali di questa regione. Se facciamo lo screening dei settori e pensiamo ad esempio all’aerospazio, troviamo imprese che non fabbricano aerei ma che sono dei piccoli “champions” su questo tema.
C'è quindi un lavoro delicato da portare avanti e mettere in campo competenze tecnologiche, organizzative e gestionali che devono essere il primo tratto caratterizzante delle politiche sulla internazionalizzazione.


L'importanza della formazione...


Abbiamo fatto delle scelte anche sul Fondo sociale finalizzate nello specifico a lavorare su progetti di formazione che in qualche maniera mettessero in condizione soggetti – come diceva il dottor Pettinato – che possono essere di supporto alle piccole e medie imprese. Non soltanto in termini astrattamente scolastici, ma accompagnando dei percorsi anche di presenza in azienda, di esperienza sul campo che poi possiamo valorizzare con incentivi all’assunzione. Quindi, riconnettere il tema della formazione, la riqualificazione professionale, con gli interessi specifici delle imprese. Per quanto riguarda l'altro tema cruciale, quello del credito, lavoriamo sul Fondo centrale, sul quale abbiamo molte perplessità rispetto alla funzione che in questo momento assolve.
E a proposito della necessità di vincere la frammentazione degli interventi, voglio sottolineare il lavoro importante che si sta cercando di realizzare unitamente alle Camere di Commercio: il Centro estero dell’Umbria è l’espressione di un tentativo di superare quella frammentazione grazie alla sensibilità di attori istituzionali che aiuta a rompere anche un cliché, perché diciamocela tutta – scusatemi la brutale franchezza – noi siamo vittime di un pregiudizio: il pregiudizio è che fino a dieci anni fa l’internazionalizzazione era uno sport, diciamo così, per fare giretti all’estero. Non è così. Oggi viviamo un momento strategico di politica industriale. E se vogliamo credere allo sviluppo di questo Paese, se diciamo che le politiche industriali hanno un senso, dobbiamo dire che le politiche industriali in Italia finalizzate alla promozione dell’internazionalizzazione e dell’export sono fondamentali. Quindi non si tratta di fare le gite turistiche...

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Le riforme di cui parliamo spesso e che occupano i politici in tanti dibattiti televisivi, alla fine sono proprio questo: il saltino di qualità. Non il grande, impossibile salto. Ma un piccolo, realistico passo in avanti.
Ma torniamo alla programmazione. E anche al prezioso lavoro da fare dopo la missione all'estero. L'Umbria, lo confermano le dichiarazioni e gli atti della presidente Marini, punta su Brasile e Cina, due grandi paesi molto diversi da loro. Mercati giganteschi nei quali c'è molto da lavorare e c'è spazio anche per noi. Basta considerare un dato: la minuscola Umbria, secondo gli ultimi dati disponibili, oggi esporta tre volte più in Francia che in Cina.

Io penso che noi dovremmo riflettere su due argomenti. Primo argomento: qual è la cura, una delle traiettorie, una dei tematismi di politica industriale, e come questa cura possa impattare sulle politiche per l’internazionalizzazione di sistema, perché poi quello che ci ha detto Luca Ferrucci è assolutamente condivisibile e rappresenta un frame più complessivo.
Noi in Italia evolviamo, volenti o nolenti, – lo hanno ricordato sia prima sia Esposito che Pettinato – verso un sistema high cost. L’Europa sta andando verso un’economia high cost. Prima noi eravamo i cinesi d’Europa e in qualche modo, del mondo. Ma sono arrivati i cinesi e noi dobbiamo rintracciare quelle ragioni e quei guadagni di produttività che ci possono portare a una dimensione nuova della competizione. E abbiamo anche modelli da seguire:  pensiamo al modello tedesco e a quello che ha significato in termini di non solo export ma di internazionalizzazione del sistema. E di come questo modello abbia combinato quella che una volta, professor Cavazzoni, si definiva la “divisione internazionale del lavoro”. Un modello che continua ad essere competitivo.
E a come questo modello consente a quel sistema di imprese di continuare ad essere competitivo.
Anche in Umbria, per quanto è possibile e con la dimensione che è appropriata a una politica industriale regionale, abbiamo la necessità di rintracciare quelle ragioni che possono supportare il sistema sui tematismi che già conosciamo. Sostanzialmente, la dimensione, la produttività, il contenuto di innovazione delle stesse produzioni, e nello specifico, in termini di programmazione, la sfida che ci lancia anche l’Unione Europea nella prossima stagione è quella di una dimensione di apertura internazionale, prima mai toccata dai programmi dei fondi strutturali, che penso rispecchi le ragioni di una competitività del sistema Europa in uno scenario ovviamente planetario. Questo che cosa significherà poi, in maniera molto pragmatica, come diceva Pettinato? Avere la possibilità di impattare con un sistema di strumenti e di attività che poi abbiano un impatto reale.

Quindi la sfida sarà non solo cosa fare, ma come farlo nei prossimi mesi e come agire  adesso...

Tre idee, la prima delle quali è già applicabile. Diamo la precedenza ad un intervento: quello di concentrare (e lo faremo con i fondi del Fondo per lo sviluppo e la coesione, ex fondi FAS) risorse sul Centro estero per un progetto speciale finalizzato esclusivamente, al supporto di rete cluster di imprese che si vogliono internazionalizzare. Non le abbiamo battezzate in termini tradizionali, abbiamo parlato di sistemi. Parliamo oramai sempre più di sistemi: sistema arredo casa, sistema meccanica, energia e quant’altro, perché pensiamo che rappresenti un incrocio virtuoso tra quelle che sono le sensibilità delle imprese anche del sistema camerale che su questo ha anche sviluppato iniziative proprie, autonome, che in qualche maniera si incastrano anche nella programmazione più complessiva della Regione. Penso che questo sia, in qualche maniera, il progetto pilota su cui poi orientare anche l’utilizzo dei fondi strutturali, ammesso che vi sarà il bilancio comunitario nei prossimi anni. Ma in questa malaugurata ipotesi avremo ben altri problemi... Comunque, pensiamo alle risorse dei fondi strutturali sia in termini di sviluppo regionale sia in termini di Fondo sociale europeo per quanto riguarda quell’aspetto strategico della qualificazione e formazione del capitale umano.
Seconda fase, seconda idea, secondo elemento, è quello di un sistema dei servizi finanziari adeguato.  Perché noi, purtroppo nella mia veste mi ci confronto tutti i giorni, abbiamo un problema pratico: se anche un’impresa avesse un progetto geniale oggi comunque non esiste oggettivamente per un certo target di imprese un percorso semplice di accesso a risorse finanziarie del sistema bancario. Conosciamo il problema e proprio per questo, su questo punto, dobbiamo concentrare gli interessi, le attività e le risorse, sia pubbliche sia private, del sistema delle associazioni, dei confidi e quant’altro sia possibile mettere in campo.
La terza idea è questo sistema di servizi, che veniva ricordato prima anche dal dottor Esposito, cioè il follow-up. Fare esportazioni, fare internazionalizzazione, significa strutturare una presenza che non sia occasionale. Significa organizzare una piattaforma consistente di opportunità per le imprese che devono essere agganciate sia ai progetti di ricerca, sia ai progetti di investimento, sia ai progetti di internazionalizzazione. E poi supportare queste opportunità con attività specifiche non generiche, indirizzando in maniera netta gli strumenti dei fondi strutturali e gli scarsissimi strumenti, che peraltro saranno a disposizione, le risorse che sono a disposizione della Regione in questo settore, per quel tipo di accompagnamento: supporto, selezione, consulenza, manager a tempo.
Tutti elementi che possono qualificare la struttura organizzativa delle imprese per affrontare questo tipo di sfide. È un percorso difficile.
Noi abbiamo cominciato con un milione di euro che affideremo alla programmazione del Centro estero. Pensiamo che questa possa essere una prima cartina di tornasole per valutare come questo progetto pilota, arricchito di questi elementi, possa costituire il necessario presupposto per la fase successiva, dal 2014 al 2020.