Prospettive per lo sviluppo della città di Perugia

A cura di Federico Fioravanti

Intervento di Roberto Segatori

Professore universitario

Introduciamo la discussione con la collaborazione di Roberto Segatori, professore ordinario di Sociologia  all'Università degli Studi di Perugia. Segatori insegna anche "Governance e politiche pubbliche" ed è autore di un saggio, molto interessante, ospitato  all’interno di un libro edito da Franco Angeli, curato anche dal professor Ferrucci, con un titolo alla Hitchcock: "I tre volti del centro storico di Perugia".


In quel libro parlavo di Perugia come di una "città fondale" per via dei turisti che arrivano e rimangono al massimo per due giorni e mezzo. Vanno sull' "ottovolante" del minimetro. Dicono: "Quanto è bello il Collegio del Cambio!", "Quanto è bella la Galleria!". Però poi se ne vanno. Una Perugia quindi come Venezia, una città fondale. Ma c'è anche un centro storico con i problemi di ordine pubblico, con le risse e la droga. Nessuno dimentica la notte tra l’8 e il 9 maggio dell’anno scorso, con il far west in pieno centro. C'è l'indotto del "nero". Però poi c'è una città che resiste, fatta soprattutto di borghi, di numerose associazioni, con le tante iniziative che anche l’amministrazione comunale comincia a intraprendere.

In realtà io studio Perugia da diverso tempo: sto arrivando alla quinta pubblicazione. Qualche anno fa ho pubblicato un saggio dal titolo Studentesse straniere a Perugia, poi ho scritto I tre volti del centro storico. Esce adesso per le edizioni Laterza un mio saggio dedicato alle città italiane  intitolato Perugia intorno alla Fontana Maggiore, uno studio su come sia cambiato quello spazio pubblico dagli anni Settanta fino ad oggi ed è in corso di pubblicazione con Franco Angeli un volume coordinato con dei colleghi sociologi e antropologi su Perugia in trasformazione.

Qual è la diagnosi intanto?

Perugia vive uno sviluppo straordinario fino agli anni Settanta. Ci sono almeno tre elementi che in quelle stagioni concorrono a dare un grande splendore a Perugia e a darle l'immagine di città aristocratica e stabile. Prima di tutto la nascita della Regione Umbria. Si completa l’identità di Perugia come capitale politico-amministrativa, con tutto quello che ruota intorno a questo ruolo storico. Essere capoluogo di regione, oltre che capoluogo di provincia, comporta tante competenze, dall’amministrazione della giustizia alle sezioni decentrate dei ministeri. E poi tutte le teste delle associazioni di categoria, partiti politici, sindacati...

Quindi Perugia come capitale...

Il secondo aspetto è quello economico. Quelli sono gli anni di massima espansione di molte industrie cittadine. Due in particolare assurgono a un livello internazionale: l’Ellesse e la Perugina. Servadio parte dalla fabbrica di pantaloni ma presto sviluppa una straordinaria capacità di creare marketing. La sua azienda diventa quasi un laboratorio di promozione e di innovazione. Ricorderete che mette la giacca a vento al Papa che stava sulle nevi. L'Ellesse va alla Domenica Sportiva e innova fortemente anche nel mondo dello sport. Per quanto riguarda la Perugina, peraltro la tradizione di marketing veniva da molto tempo prima.

Terzo elemento: l’Università. Considerate che nel ‘69 arriva una legge che liberalizza gli accessi all’Università. Prima del ‘69 gli iscritti all’Università si contavano in poche migliaia. Nel giro di dieci anni arrivano a ventimila. L’ondata degli universitari continua a crescere fino al 2004-2005, quando il primo ateneo ne conta 35.000, tra fissi e mobili. E la Stranieri ha altri quattro-cinquemila iscritti. Intorno a Perugia ruotano quindi quarantamila universitari, che rappresentano indubbiamente una grande ricchezza, ma che portano a conseguenze ambivalenti.

Di fronte a queste tre ondate la strozzatura dell’acropoli, comincia a porre dei problemi. Perugia in questo senso presenta elementi di sofferenza comuni a quelli di altre città. Ma soffre la sua situazione storica di città antica, collocata su un’acropoli, sulla sella tra Colle Sole e Colle Landone. Una città complicata. E che succede negli anni Settanta? In conseguenza del "boom" della motorizzazione del decennio precedente, piano piano le automobili soffocano il centro. Fra il ‘71 e il ‘79 Perugia comincia a introdurre la zona a traffico limitato, naturalmente aumentando la rete dei pullman che servono la città e cominciando a fare innovazione sui percorsi meccanizzati, fino ad arrivare, più tardi alla grande scelta urbanistica rappresentata dalle scale mobili che attraversano la Rocca Paolina.

Quindi, fino agli anni Settanta, c’è questa straordinaria conferma di crescita. Dagli anni Ottanta in poi, dall’85, se volete, cominciano i segni, io parlo di “flussi”, flussi ascendenti e flussi discendenti intorno all’abitato degli anni Ottanta. Entra poi in crisi la proprietà autoctona delle due principali imprese cittadine, nel senso che queste grandi aziende in parte fanno degli sforzi molto grossi per misurarsi con il mercato internazionale. Ma la struttura del capitalismo italiano non lo permette se non ti apri a convergenze o a un azionariato che produce più sangue fresco. Qualche membro di famiglia passa a un’ottica da rentier, per cui l’IBP (Industria Buitoni Perugina) passa, con una operazione non intelligente a De Benedetti, che è un imprenditore finanziario che la scorpora e se la rivende. Poi arriva la Nestlé. La stessa cosa accade all’Ellesse che finisce nella Pentland.

A Perugia quindi cominciano a mancare anche i centri direzionali di imprese così importanti che una ricaduta nel salotto buono della città ce l’avevano, perché poi nel centro, sull'acropoli si veniva a vivere, ad assaporare la qualità della vita.

Poi, negli anni dal 95 al 2010 arriva il secondo smottamento a valle, inevitabile ma in una percentuale superiore a quelli di altre città simili: dal ‘95 al ‘97 aprono i grandi centri commerciali Collestrada e Ipercoop, nel 2001 ad Ellera viene inaugurato il Centro commerciale Gherlinda, nel 2007 in via Settevalli apre i battenti il Centro commerciale Emisfero, nel 2008 a Centova entra in funzione il Centro commerciale Borgonovo Entertainment Center. Questo smottamento avviene in percentuali superiori a quello vissuto da città simili. E' un processo che probabilmente non è ancora neppure finito. Ma quello che avviene di grave è che si trascinano giù i principali centri di attrazione culturale che insistevano nel centro storico, a partire dai cinema che si portano dietro anche le librerie. E' vero che Feltrinelli subentra a Simonelli, però poi Betti cede e se uno vuole comprare libri all’intorno o va a Collestrada o va sulla Cortonese, e trova librerie che fanno la stessa offerta...

Lo smottamento di cui parliamo è stato prima di tutto uno smottamento degli interessi e degli affari. Poi c’è l’ascesa e il declino del numero degli studenti universitari.

Ascesa che dura fino al 2004-2005. In questi anni stanno ricalando, in modo progressivo: 30.000, 28.000. 27.000...

Questa situazione comporta anche un effetto amaro: gli abitanti del centro storico di Perugia trovano improvvisamente interessante dedicarsi alla rendita fondiaria. Allora avviene che molti di loro si trasferiscano in case di periferia. Spesso vengono affittati anche fondi e garage. Molti perugini non si preoccupano più della manutenzione del loro abitato civile nel centro storico: in fondo quelle case devono essere affittate agli studenti che, si sa, sono animali distruttivi...

Perché devo investire sulla qualità dell’abitato, quando poi se affitto una camera a quattro studenti, a trecento euro ciascuno, in totale mi arrivano milleduecento euro?

L'ambivalenza sta in questo atteggiamento. Per la città, nel suo complesso, arriva un certo tipo di declino che non è nel numero dei residenti perché se si analizzano i dati, che passano sveltamente da 120.000 abitanti a quasi 160.000, ci si accorge che il saldo naturale, "nati/morti", degli autoctoni è pari a zero.

Perugia quindi cresce perché arrivano immigrati: da altre regioni italiane, dall’Umbria, dalla periferia. E un numero sempre crescente di questi immigrati è rappresentato da stranieri.

Così il centro storico che nel ‘51 aveva 24.000 abitanti, adesso ne ha meno di 10.000, ed è composto da anziani in misura superiore a tutte le altre circoscrizioni cittadine, da vedove che hanno paura e stanno chiuse dentro casa...

Per cui, chi vive ora nel centro storico? Ci sono questi abitanti anziani che hanno paura, poi i "colletti bianchi" e le commesse del commercio dalle nove fino alle diciannove. Poi, più tardi arriva il popolo della notte e il centro si popola di una umanità varia.

Questi sono gli elementi critici. Certo, non sono solo di Perugia. La città è scomoda orograficamente. Andava benissimo nel periodo etrusco, nel Medioevo e anche nell'Ottocento. Ma non va benissimo adesso. Perugia ha subito dei processi di cambiamento dovuti alle leggi del commercio, alla storia, alla modernità. Il giro della droga e degli affitti in nero è comune anche ad altre città. Ma la città aveva una autopercezione, un’identità di città aristocratica e stabile. Non è più così. Perugia rischia di perdere una identità che è smottata a valle insieme alle attività economiche. Tra l'altro, a differenza di altri periodi storici, la classe dirigente nel suo complesso sembra che si sia svegliata in ritardo. Mi sembra che in passato la classe dirigente abbia sempre avuto la capacità di precedere gli eventi. Quando si accorgeva che c’era un cambiamento in corso, si mettevano in atto degli accorgimenti. Penso all'apertura di una rete di parcheggi a metà collina e alla realizzazione di percorsi meccanizzati per l'accesso al centro. Un tempo si precedevano gli eventi critici. Da un certo momento in poi invece si inseguono. Ho l'impressione che il risveglio ci sia solo adesso. Con grande ritardo sulla questione della sicurezza urbana, nel senso che il dilemma è stato sempre: ne parliamo a rischio di enfatizzare l’allarme sociale o facciamo finta di niente? Per un lungo periodo di tempo si è scelta la seconda strada.

Ma adesso dobbiamo chiederci: stiamo prendendo dei provvedimenti per superare questa situazione? Ci confrontiamo di più con l'Università oppure ognuno lavora per proprio conto?

 

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Il problema è decidere cosa fare, puntando su una idea forte di città. Partendo da un metodo di lavoro, senza il quale, come si è detto, si procede a "spot", senza un disegno unitario.


Un bricolage che non fa bene a nessuno. Ma per chiarire meglio i problemi vanno fatte tre premesse veloci. La prima è sui tipi di città: non è possibile usare per Perugia la categoria indifferenziata di città. Perugia non può essere paragonata a Parigi, Londra, Barcellona, Milano o Roma. Perugia va pensata come Urbino, come Heidelberg, città orograficamente condizionate e che quindi meritano un esame specifico.
Secondo: il discorso della tecnologia, l’architetto Savarese lo diceva a proposito di altre condizioni, in realtà, se Perugia sopravvive, è grazie alla tecnologia. E se ha un deficit, ha un deficit di tecnologia; cioè le scale mobili sono state un’avventura tecnologica straordinaria, a partire da quelle sotto la Rocca Paolina. Quella è tecnologia. E così l’altro limite ancora di Perugia e di tutta l’Umbria, e forse dell’Italia, è che siamo tutti indietro sul Wi-Fi free. Mia moglie mi ha costretto ad andare quest’estate in Montenegro, Crna Gora, in questo paese strettissimo, con la montagna. Ero pieno di pregiudizi ma con mio grande stupore ho trovato un paese delizioso, ma soprattutto con  Wi-Fi free ovunque. In Umbria siamo ancora molto indietro. Per cui la tecnologia serve, eccome! Specialmente in città orograficamente condizionate e ristrette come Perugia.
Terzo: è vero che è stata la speculazione immobiliare a condizionare la città. Attenti! Anche in Spagna. È vero che la municipalità può avere fatto mosse sbagliate o può non averle fatte, ma questo è accaduto in tutte le città europee. È altrettanto vero che a Perugia c’è stato un legame particolarmente stretto tra la classe politica e determinati imprenditori, dal livello regionale, con la filiera delle cave e del cemento, al livello locale, con gli imprenditori dell’edilizia. Però intorno ci sono state responsabilità. Le banche hanno dato una mano: fino a ieri facevano anticipazioni di cassa a questi imprenditori. L’edilizia, al momento, vive una crisi che nasce da due tipi di arretratezze: le normative si sono fatte più strette (devi presentare il DURC, ma non basta neanche il DURC, devi certificare ciò che fai, nel senso che l’Amministrazione sta attenta a concederti più varianti in corso d’opera) e il "grasso" su cui speculare è calato. Così molti imprenditori sono entrati in crisi.
Però dietro a quella spinta edilizia, a quelle cordate immobiliari, c'erano anche qualcuno che frequenta le associazioni dei commercianti. Gli imprenditori del mattone sicuramente hanno avuto una sponda politica, sennò non avrebbero fatto tutte le gettate di cemento che a Perugia ci sono state, ma immediatamente vicino ci sono state le banche, e poi ci sono stati altri che avevano risorse finanziarie per dire: partecipo anch’io all’avventura.
Su queste tre cose dobbiamo essere laici. Primo: Perugia è una città particolare perché orograficamente condizionata e antica; secondo, la speculazione immobiliare c’è dappertutto; terzo, la tecnologia serve ancora, e siamo molto, molto indietro per costruire una città smart con il wi-fi free in ogni angolo.
Detto questo, che fare? Non solo diagnosi. Se continua lo smottamento verso il basso, la città perde la sua identità. Anche qui, veloce flashback, Carla Cicoletti lo ha accennato: l’identità di una città è una costruzione sociale.
In certi momenti della storia arriva il gruppo di intellettuali e dice: "Vi propongo io che cos’è questa città’, e se la proposta funziona, i cittadini ci si ritrovano. L’identità di Perugia come città aristocratica, stabile e laica nasce tra il 1840 e il 1880. Ci sono due grandi archeologi, che sono Vermiglioli, Fabretti e Bonazzi, uno storico, che scrive la storia di Perugia. Spiegano che la città è costruita su tre momenti storici spaziali identitari: l’età etrusca (si scopre l’Ipogeo dei Volumni, lo Sperandio, il sarcofago), la Perugia medievale del libero Comune e la città del 20 giugno 1859, che è libera, autonoma e antipapalina. Non a caso, quando arrivano gli inglesi (l’anno prossimo faremo 70 anni dalla Liberazione) la fanno cadere il 20 giugno di nuovo: 20 giugno 1859 - 20 giugno 1944). E' una Perugia che si dichiara libera, laica, anticlericale e antifascista.
Quella è l’identità che si costruisce. Giustamente Carla avvertiva: attenti! Io credo che nella testa di molti perugini di tradizione vi sia una specie di dissonanza percettiva. Credo che continuino a pensarsi come quelli, quando però Perugia sta diventando un’altra. Perciò, se si vuole salvare l’identità della città, non necessariamente statica ma pure dinamica, bisogna salvaguardare il centro storico.

Come fare?

In questa visione, significa applicare come parole d’ordine, politiche contro la speculazione immobiliare, favorire l’accessibilità, il rilancio della qualità del tessuto urbano e la qualità della vita.

Partiamo dalla accessibilità al centro storico. Il problema è datato...

Io non capisco quanto tempo ci vorrà per sperimentare a Perugia un radicale abbassamento dei prezzi di parcheggio. Gli albergatori già lo fanno, per arrivare al centro eccetera, io non so, magari è in corso questo che sto dicendo. L’associazione commercianti dica: benissimo, se uno fa uno scontrino di spesa pari a 50 euro, poi io rifondo il parcheggio. Ma non è possibile vedere una città con parcheggi dai costi così alti. Tra l’altro, chi gestisce i parcheggi (vedi il parcheggio di Piazza Partigiani) deve fare un calcolo, che è questo: se tengo i prezzi molto alti ho poche macchine, tanto varrebbe tenerli più bassi, così ho più macchine. Non è possibile che non si sperimenti un radicale abbassamento dei prezzi dei parcheggi. Pensate a una cosa banale: Perugia ha una straordinaria stagione degli Amici della Musica, non è così straordinaria come quella che c’era qualche decennio fa ma è comunque bellissima; ma come faccio io a venire a Perugia, al Morlacchi, per gli Amici della Musica, con tutti i problemi che ho per arrivarci? Lavorare forte sulla accessibilità è un imperativo. Quando nacque il Minimetro scrissi in un articolo: è un bellissimo ottovolante, però risolve solo il problema del traffico che viene da ovest. Da est, e da sud, chi viene da Città di Castello e Umbertide, o da Foligno, Spoleto e Assisi, non entra a Perugia. Ma vi pare che ancora la mattina flussi di persone come me devono passare per il Bulagaio, altrimenti non sanno come penetrare in città? E se mi chiudono via Fabbretti dove vado?


Vanno valorizzati nuovi spazi nel cuore della città.

Bisogna prima di tutto procedere in modo deciso con alcune iniziative che la Fondazione Perugia 2019 ha messo in cantiere. Il presidente Bracalente ha detto bene: non è detto che vinciamo, l’importante è che ci mettiamo tutti in questa prospettiva. Ci sono delle indicazioni: l’ex Carcere che può diventare la cultural fabric, dove i giovani vanno e sperimentano spin off creativi; il Comune stesso che sta parlando della Biblioteca degli Arconi; io aggiungerei anche un tentativo coerente per cercare di recuperare le multisala cinematografiche in città. I nostri studenti universitari dicono: "Noi siamo intrappolati nel centro storico. Che cosa pretendete che facciamo, se non andare a farci una birra? Se abbiamo una macchina è poi un problema dove tenerla; se non ce l’abbiamo, le corse del Minimetro finiscono a una certa ora; se andiamo giù al cinema, di sotto, non riusciamo a risalire. Siamo intrappolati, dateci respiro".
La città che sfottevamo prima, dove vado a dormire, cioè Foligno, che fra sei mesi sarà bellissima, perché con i soldi del terremoto hanno rifatto tutte le pavimentazioni urbane, sopravvive relativamente bene nel centro storico perché un imprenditore tradizionale ha aperto due multisala, per cui abbiamo sette sale cinematografiche, due multisala, nel centro storico. E la sera si esce...

Un altro tema è quello del tessuto urbano.

Bisogna incentivare e, se è il caso, sollecitare con ordinanze sindacali la manutenzione degli edifici di proprietà pubblica e privata. È ora di interrompere il decadimento residenziale della città. C’era stata l’associazione inquilini, che un po’ di tempo fa lamentava: aiutateci, non ce la facciamo più! Perché se io ho un fondo, basta che arrivi una prostituta abbastanza organizzata, che mi propone mille euro d’affitto e io glielo do, poi quello che fa dentro non m’interessa! Ho parlato di prostituta, ma vale anche per i quattro studenti disgraziati. Cioè è ora di invertire la tendenza, anche con ordinanze, e ridare qualità al tessuto urbano, all’abitato.


Il commercio è strategico.

Penso ad un recente convegno. Arriva Arcudi, il vicesindaco. Noi ci lamentavamo: guarda che qui ha chiuso Giorgetti, ha chiuso Servadio, e via dicendo. Aiuto! E lui risponde: sì, ma se voi guardate le statistiche, tra esercizi commerciali che hanno chiuso ed esercizi commerciali che hanno aperto alla fine il saldo è in attivo.
Che cosa aveva dimenticato di dire? Che hanno aperto un sacco di negozi di extracomunitari, che hanno il call center per le telefonate, il negozietto di abiti etnici, l’emporio di quel tipo e di quell’altro. Attenti! È chiaro che per noi autoctoni merceologicamente è un calo di qualità. La mia amica antropologa, Fiorella Giacalone, molto brava, che ha concorso con me a fare questo libro ed è andata a studiare queste comunità, ha detto: ma guardate che la contaminazione è una qualità delle città moderne, internazionali, multietniche. Allora che scopro io? Che hai, in realtà, una grande separatezza tra gli autoctoni e gli altri. Questo capita in tutta l’Umbria. C'è un fenomeno incredibile per cui – semplifico – marocchini e albanesi si sono impadroniti dei nuclei storici, e i residenti stanno tutti intorno, sulle aree residenziali. E poi sono come l’olio e l’acqua, cioè non comunicano.
Io vengo da un paesino piccolissimo, nel comune di Bevagna, da Cantalupo, che ha una Sagra della lumaca straordinaria e una Pro Loco attivissima.
Io vado giù e dico: "Ma il paese?". Mi rispondono:"Il paese lascialo stare, ci abitano marocchini e albanesi".
"E voi dove state?" "Nelle colline intorno".
"Ma voi non vi mescolate mai?" "No".
Di conseguenza, qual è il mio suggerimento, la mia proposta? Non è il caso di cominciare a includere i commercianti stranieri nei network delle associazioni dei commercianti? Voglio dire costringendoli anche a rivedere le modalità dei loro servizi e delle loro prestazioni.
Ma per quanto pensate di andare avanti con la separazione acqua e olio tra noi e questi commercianti, che, in realtà, se poi sono cinesi, chissà che qualità di prodotti vendono? È vero, però cominciamo a responsabilizzarli.
Questi sono i neo perugini, concorrono al Pil di Perugia, pagano le tasse in qualche modo, poi dato che adesso tutto andrà in Iva, pagano l’Iva. Quanto può durare questa separatezza tra i commercianti indigeni, autoctoni, e gli altri? Quand’è che cominciamo a contaminarci? Questa è un’altra sfida. Da questo nasce un’identità di Perugia, che resta aristocratica perché ha una qualità ambientale straordinaria, però è statica quando invece dovrebbe essere dinamica.
Non è vero che Perugia è una città internazionale e multietnica. Le studentesse straniere dicono: ma stiamo tra noi, al massimo ci incontriamo con non perugini, calabresi o altri.
E noi umbri a Perugia, siamo quelli della riva sinistra del Tevere, siamo i barbari. Però all’Università c’è il rettore Bistoni di Città di Castello, il prorettore è Pieretti di Gualdo Tadino, chi vi parla è Segatori di Foligno, Carla Cicoletti e Renzo Massarelli, che guidano “La Città di Tutti” sono di Terni. Ma dove sta questa commistione? Dove sta la Perugia dinamica? Le studentesse straniere dicevano: noi con i perugini non riusciamo a parlare, a parte che uscire la notte non ci rende sicure.
Finché non ci sarà questo lavoro di contaminazione, di integrazione, che sarà duro e faticoso, Perugia non potrà dire di essere una città internazionale e multietnica. Piuttosto una città di separatezze. E una città di separatezze non affronta bene il futuro.